giovedì, Aprile 18, 2024
Diritto e Impresa

Cass. civ., Sez. I, ordinanza 9 novembre 2020 n. 25025

commento breve a cura di Sabino Quercia

“Per verificare i requisiti di fallibilità il giudice deve prendere in considerazione i dati raccolti dalla Guardia di finanza e i bilanci di esercizio anche se il registro vendite è inattendibile.”

Questo, il principio di diritto sancito dalla Prima Sezione della Suprema Corte di Cassazione che, con l’ordinanza in commento, ha accolto le doglianze di un investigatore privato che, opponendosi alla dichiarazione di fallimento pronunciata dal Tribunale di Cagliari ed a sua volta confermata dalla Corte di Appello di Cagliari, affermava l’insussistenza dei requisiti dimensionali previsti dall’art. 1, comma 2 L. Fall., quale requisito soggettivo per l’assoggettabilità degli imprenditori commerciali alla procedura fallimentare.

Occorre premettere che l’istruttoria prefallimentare rappresenta un procedimento di cognizione dal carattere prevalentemente sommario, teso esclusivamente all’accertamento di quelle condizioni, oggettive e soggettive, che la legge richiede affinché un imprenditore possa essere assoggettato alla dichiarazione di fallimento.

Tuttavia, seppur dovendo adeguarsi alle incalzanti sequenze procedimentali stabilite dall’art. 15 L. Fall., l’organo giudicante resta deputato a svolgere un accertamento pieno e rispettoso del contraddittorio fra le parti, al punto che la contumacia (o la non efficace difesa del debitore convenuto) non impedisce il rigetto dell’istanza di fallimento qualora l’assenza dei presupposti di legge sia rilevabile d’ufficio dalla documentazione disponibile in atti.

Nel caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di legittimità, le Corti di merito, nonostante l’ingente produzione documentale di parte convenuta, ritenevano non provata l’insussistenza dei suddetti requisiti dimensionali sulla scorta, da un lato, dell’inattendibilità del registro delle vendite e, da altro lato, di una generale “confusione contabile” emersa dalla documentazione versata in atti.

Chiamati a pronunciarsi sul punto, gli Ermellini, partendo dal presupposto che la verifica dei requisiti di fallibilità non viene a soffrire limitazioni o preclusione alcuna, offrono una valida ed esaustiva rappresentazione dei canoni ermeneutici che l’organo giudicante è chiamato ad applicare in sede di istruttoria prefallimentare.

Innanzitutto, se da un lato è indubbio che i bilanci di esercizio restino e costituiscano un “canale privilegiato” per rappresentare l’oggettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa di riferimento, da altro lato, deve ritenersi che l’accertamento dei presupposti di cui all’art. 1 comma 2 L. Fall. non debba essere affidato all’esclusiva sussistenza di un determinato documento, dovendo prendere in considerazione, piuttosto: “la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa medesima, comunque questa sia raggiungibile”.

Ne consegue che, allo stesso modo in cui le visure dei carichi pendenti, ottenute dal Giudice Delegato dall’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, possano essere utilizzate per innalzare l’ammontare dell’esposizione debitoria del fallendo anche in assenza dei bilanci di esercizio (al punto che la presenza di debiti anche non scaduti verso l’Amministrazione finanziaria per un valore superiore ad Euro 500.000,00 costituisce ex se prova del superamento del requisito di cui all’art. 1, comma 2, lett. c) L. Fall.), l’organo giudicante è tenuto ad avvalersi di qualunque altra documentazione, formata da terzi o dalla parte stessa, che possa nel concreto risultare utile.

Sulla scorta di tali principi i Giudici di legittimità hanno censurato le decisioni delle Corti cagliaritane nella parte in cui non hanno preso in considerazione parte della documentazione (tra cui: il libro giornale, i partitari clienti e fornitori e le movimentazioni bancarie), ignorando, nello specifico, la documentazione riproduttiva degli accertamenti condotti dalla Guardia di Finanza nell’ambito della istruttoria prefallimentare che, per loro natura, si sottraggono a valutazioni generali di inattendibilità.

Cass. civ., Sez. I, ordinanza 9 novembre 2020 n. 25025

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

Fatti di causa

1.- Con sentenza depositata il 12 giugno 2018, il Tribunale di Cagliari ha dichiarato il fallimento della s.r.l. ISIP Investigazioni. La società ha proposto reclamo ex art. 18 legge fall. avanti alla Corte di Appello di Cagliari. Che la ha respinta con sentenza depositata in data 18 dicembre 2018.

2.- Per quanto qui ancora in interesse, la Corte territoriale ha in primo luogo osservato che la procedura di notifica ex art. 15 legge fall. era stata correttamente seguita. Posto che la s.r.l. ISIP non possedeva un proprio indirizzo pec, la notifica andava infatti effettuata presso la sede legale; nel caso di riscontrata irriperiblità del destinatario presso questo indirizzo, a mezzo di deposito presso la casa comunale: senza previa ricerca di una eventuale sede effettiva, come per contro assunto dal reclamante.

Anche richiamando la pronuncia della Corte Costituzionale n. 146/2016, la sentenza ha rilevato che la norma dell’art. 15 legge fall. «si propone di coniugare la finalità di tutela del diritto di difesa dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerità e speditezze proprie del procedimento concorsuale».

3.- La Corte territoriale ha ritenuto, inoltre, che non risultava dimostrata l’«insussistenza dei requisiti dimensionali previsti dalla norma dell’art. 1 comma 2 legge fall.», come invece era sostenuto dalla società. «La reclamante ha prodotto copia del tutto informale dei bilanci degli ultimi tre anni, elaborati, unitamente alla situazione patrimoniale, in occasione e in funzione del reclamo proposto avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, giacché gli stessi non sono sottoscritti, non risulta siano stati approvati»; «dalla visura camerale in atti risulta che era stato omesso il deposito di tutti i bilanci fino al 2017».

Non può ritenersi – ha proseguito il giudice del merito – che l’ulteriore documentazione, che è stata prodotta «in alternativa» dalla società, sia sufficientemente significativa al riguardo. «Con riferimento agli anni 2015 e 2016 risultano due registri vendite, in uno dei quali, denominato “Vendite 02”, sono registrate fatture recanti la dicitura “bis”; per contro, tutte le dichiarazioni fiscali ai fini della liquidazione IVA, prodotte dalla reclamante, sono state fatte sulla base delle fatture con numerazione ordinaria». Sussiste dunque – ha affermato la pronuncia – una «confusione contabile» nell’ambito della documentazione.

4.- Avverso questo provvedimento la s.r.l. ISIP Investigazioni propone ricorso, formulando tre motivi di cassazione. Resistono, con separati controricorsi, il Fallimento e Davide Cossu, quale soggetto che ebbe a presentare l’istanza di fallimento.

Non ha svolto attività difensive la Procura generale.

Ragioni della decisione

5.- Il primo motivo di ricorso lamenta «nullità della sentenza o del procedimento per carenza dei presupposti soggettivi per la dichiarazione di fallimento (art. 360 comma 1 n. 4 cod. proc. civ.) o, in subordine, violazione o falsa applicazione degli artt. 2082, 2221, 2222, 2229, 2230, 2232, 2238 cod. civ., degli artt. 1, 15, 18, 22 legge fall., e dell’art. 738 cod. proc. cic. (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.)».  Ritiene dunque il ricorrente che la società dichiarata fallita sia priva del «requisito di “imprenditorialità”».  «Il dott. Brunello Masile» – così si sviluppa il motivo – «esercita l’attività di investigatore privato», che è «attività palesemente non imprenditoriale, ma libero professionale»; la ISIP rappresenta un «mero veicolo societario attraverso il quale il dott. Masile esercita la propria attività individuale»; il «mero utilizzo di una “forma” societaria per l’esercizio di una professione intellettuale non consente di attrarre l’esercizio di quest’ultima nell’area dell’impresa»; «non è assoggettabile a fallimento la società costituita per l’esercizio in via esclusiva di attività professionale».

6.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso infatti sollecita – prima ancora che una valutazione dell’eventuale rispondenza delle tesi così manifestate alla vigente normativa in materia di requisiti di fallibilità – l’esame e la valutazione della catena fattuale che viene nel contempo esposta: dall’identificazione in quanto tale dell’attività svolta da Brunello Masile, al carattere puramente strumentale della s.r.l. ISIP, come pure al rapporto che nel concreto è venuto a intercorrere tra la seconda e il primo. Nei fatti, simile genere di riscontri e giudizi rimane precluso all’attività di questa Corte.

Per completezza è da rilevare, altresì, che il ricorrente nemmeno indica dove, e come, avrebbe sollevato i riportati rilievi nell’ambito dei procedimento del merito.

7.- Il secondo motivo assume «nullità della sentenza o del procedimento per violazione del principio del contraddittorio e del “giusto processo”, oltre che per vizi della notifica effettuata in primo grado (art. 360 comma 1 n. 4 cos. proc. civ.) o, in subordine, violazione o falsa applicazione degli artt. 21 e 111 Cost.; degli artt. 137, 138, 139, 140, 143, 145 e 160 cod. proc. civ.; dell’art. 15 comma 3 legge fall.; degli artt. 2475 e 2475 bis cod. civ. (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.»).

«La sede effettiva della società» – così si afferma – «è stata trasferita fin dal mese di febbraio 2018». La «vecchia sede, benché ancora risultante quale sede legale indicata nel registro delle imprese, risulta non più operativa da tempo»; altro è il luogo dove la società «ha il proprio ufficio»; ed è in questo luogo che «il curatore ha agevolmente rintracciato, il giorno stesso della dichiarazione di fallimento, il legale rappresentante di ISIP».  Ha quindi errato – si viene per l’effetto ad affermare – la Corte territoriale a non considerare «come la mancata notificazione effet tiva alla ISIP abbia irrimediabilmente compresso il suo diritto di difesa ex art. 24 Cost. e violato irrimediabilmente il principio del “giusto processo” ex art. 111 Cost. e come tale grave vulnus avrebbe potuto essere evitato, senza alcuna lungaggine procedimentale, interpretando in maniera differente, e corretta, la disciplina in materia di notificazione».

8.- Il motivo non merita di essere accolto.

La giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le più recenti, le pronunce di Cass., 28 ottobre 2019, n. 27539 e di Cass., 26 giugno 2018, n. 16864) è ferma nel ritenere che la norma dell’art. 15 legge fall. abbia «introdotto in materia una disciplina speciale, del tutto distinta da quella che, nel codice di rito, regola le notificazioni degli atti di processo». Se l’art. 145 cod. proc. civ. «è esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa» (cfr. Cass., 20 marzo 2014, n. 6559), la norma dell’art. 15 legge fall. intende invece mediare e fare convivere la finalità di tutela del soggetto collettivo con quella di «celerità e speditezza» dei procedimenti concorsuali, come caratterizzati dal perseguimento di peculiari interessi di natura pubblica, senz’altro idonei a rendere ragionevole, e adeguato, un meccanismo di tutela del diritto di difesa che tenga in particolare conto le previsioni normative relative all’obbligo di munirsi di un indirizzo pec e alla rilevanza da assegnare alle iscrizioni camerali (su questi punti specifici, si vedano, in particolare, Cass. 20 dicembre 2016, n. 26333 e anche, da ultimo, Cass, 27 febbraio 2020, n. 53111).

9.- Con il terzo motivo, il ricorrente censura «violazione o falsa applicazione degli artt. 1, 15, 18, 22 legge fall. (art. 360 comma 1 n. 3 cod. proc. civ.) o, in subordine, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 comma 1 n. 5 cod. proc. civ.)».
Nei suoi contenuti, il motivo rileva che la «Corte di Cagliari, in buona sostanza, si è rifiutata di procedere all’accertamento dell’effettivo superamento delle soglie dimensionali di cui trattasi in ragione dell’asserita inattendibilità delle scritture contabili, derivante, nella prospettazione del giudicante, dalla mera irregolarità nella tenuta dei registri “vendite”, in quanto contenenti due diverse numerazioni delle medesime fatture”». La «parziale discrepanza nella numerazione delle fatture» non avrebbe in ogni caso potuto, né dovuto – così si precisa inoltre -, «precludere l’esame della rimanente documentazione» prodotta in punto di scritture contabili, per contro ignorata dalla Corte cagliaritana.
Con distinto e ulteriore rilievo il motivo segnala, poi, che la pronuncia impugnata non ha preso in alcuna considerazione neppure  gli «accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza nel corso del procedimento prefallimentare», che avevano «confermato (i) la sostanziale inesistenza di attivo patrimoniale; (ii) la dimensione dei ricavi lordi ben al di sotto della soglia di C 200.000,00 per ciascun esercizio»; (iii) l’esistenza, oltre al debito del creditore procedente (pari a C 16.020,15), di soli debiti nei confronti dell’Agenzia dell’Entrata per C 114.066,71 e dell’INPS per C 46,69».
Aggiunge ancora il ricorrente di avere in più occasioni richiesto fosse disposta, per una conferma dei dati e documenti presentati, un’apposita consulenza tecnica; anche questa richiesta, tuttavia, non aveva ricevuto nessun tipo di riscontro, neanche nell’ambito della impugnata pronuncia.

10.- Nell’avviare l’esame del motivo, appare opportuno muovere da un’osservazione di tratto generale. La giurisprudenza di questa Corte risulta ormai consolidata – è dunque da mettere in evidenza – nel ritenere che la dimostrazione della non sussistenza dei requisiti di cui all’art. 1 comma 2 legge fall. non venga a soffrire preclusioni o limitazioni particolari.  Se il bilancio di esercizio rimane il «canale privilegiato» per la valutazione di cui all’art. 1 comma 2, ciò è solo nel senso che la sua funzione specifica è proprio quella di rappresentare la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa a cui fa riferimento, secondo quanto puntualizzato dalla norma dell’art. 2423 comma 2 cod. civ. La verifica della sussistenza dei requisiti di non fallibilità si manifesta, in altri termini, campo di indagine aperto e disponibile.  A contare in proposito non è, dunque, l’effettiva sussistenza di un dato, particolare documento. A contare è, piuttosto, la rappresentazione storica dei fatti e dei dati economici e patrimoniali dell’impresa medesima, comunque questa sia raggiungibile.  Con la conseguente possibilità di avvalersi dell’intero arco documentale costituito dalle scritture contabili provenienti dalla medesima impresa del cui fallimento si discute (ivi compresa pure la c.d. corrispondenza d’impresa di cui all’art. 2220 cod. civ.), come pure di qualunque altra documentazione, formata da terzi o dalla parte stessa, che possa nel concreto risultate utile (per questi profili, tra le altre si possono consultare le decisioni di Cass., 23 novembre 2018, n. 30516; di Cass, 11 marzo 2019, n. 6991; di Cass., 18 giugno 2018, n. 16067; di Cass., 26 novembre 2018, n. 30541; di Cass., 27 settembre 2019, n. 24138).

11.- Nel caso di specie, il giudice cagliaritano ha ritenuto l’inattendibilità del registro «vendite», che era stato prodotto dalla società reclamante, e ha ampiamente motivato questa sua valutazione. Attendendo al merito, un simile giudizio sfugge evidentemente al sindacato di questa Corte (cfr., pure per questo riguardo, la decisione di Cass., n. 30516/2018).  Questa parte del motivo risulta, perciò, inammissibile.

12.- La detta valutazione di inattendibilità non risulta tuttavia estesa, né oggettivamente riferibile, all’ulteriore documentazione che la società reclamante ha tratto dalle proprie scritture contabili. In effetti, questa documentazione ulteriore non viene proprio presa in considerazione dalla sentenza impugnata: nei fatti, questa si limita a prendere atto dell’avvenuta produzione in giudizio di tali documenti («la reclamante ha quindi prodotto la stampa del libro giornale …  delle schede contabili e partitari clienti e fornitori, … dei movimenti bancari e gli estratti conto delle carte di credito relativi agli anni 2015, 2016 e 2017»). Così come, d’altra parte, la sentenza non risulta prendere in nessuna considerazione la documentazione riproduttiva degli accertamenti che sono stati condotti dalla Guardia di Finanza nell’ambito della istruttoria prefallimentare: accertamenti che, per loro natura, comunque si sottraggono a valutazioni generali di (in)attendibilità. Ciò posto, non vi è poi da dubitare della potenziale decisività della documentazione appena sopra indicata, e il cui esame è stato omesso dal giudice del merito. Tanto quella contabile, quella quella  tratta dagli accertamenti prefallimentari della Guardia di Finanza viene ad avere a proprio oggetto diretto, e centrale, l’attività imprenditoriale svolta dalla società, poi dichiarata fallita, e le relative consistenze patrimoniali.

13.- Nei termini e limiti appena sopra tracciati – di omesso esame dei documenti contabili prodotti dalla società, come diversi dai registri “vendite” e dalle copie informali di bilanci, nonché degli accertamenti posti in essere dalla Guardia di Finanza – il terzo motivo risulta dunque fondato.

14.- In conclusione, dichiarati inammissibili il primo e il secondo motivo di ricorso, va accolto il terzo motivo di ricorso, nei termini sintetizzati nel precedente n. 13.

Di conseguenza, va cassata, per la correlativa parte, la sentenza impugnata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Cagliari che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso nei termini e limiti di cui in motivazione; dichiara l’inammissibilità del primo e del secondo motivo. Cassa, per quanto di ragione, la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Cagliari che, in diversa composizione, provvederà pure alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione, addì 8 settembre 2020.

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