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Cass. Civ., sez. III, 10 luglio 2018 n. 18047

Repubblica Italiana

In nome del Popolo Italiano

la Corte Suprema di Cassazione


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente
Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere
Dott. CIGNA Mario – Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

Sentenza

sul ricorso 19821/2016 proposto da:

SETTEMARI SPA, in persona del Legale Rappresentante Sig. B.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ISACCO NEWTON 34, presso lo studio dell’avvocato SILVANA VERA DURANTE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE LIONELLO SAVASTA FIORE giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE CLODIO 61, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO RIVA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO BLUNDO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1447/2016 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 03/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ROBERTO BLUNDO.

Svolgimento del processo

1. A.A. e L.L. convennero in giudizio, dinanzi al giudice di pace di Bologna, la Settemari Spa e, premesso di aver acquistato presso la società un pacchetto turistico “all inclusive” al quale avevano dovuto rinunciare a causa della grave ed improvvisa patologia che aveva colpito l’ A., domandarono la condanna della società alla restituzione della somma da loro pagata come prezzo dell’intera prestazione pattuita.

2. Il giudice di pace accolse la domanda; il Tribunale di Bologna, per ciò che interessa in questa sede, respinse l’appello della società, compensando parzialmente le spese del grado.

3. Ricorre per la cassazione della sentenza la Becana Srl in liquidazione (già Settemari Spa) affidandosi a cinque motivi illustrati anche con memoria.

4. La parte intimata ha resistito con controricorso. 

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, la società ricorrente deduce ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1463, 1256, 1325 e 1345 c.c., ed art. 3 Cost., nonchè, ex art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Al riguardo:

a. contesta l’interpretazione degli artt. 1463 e 1345 c.c., assumendo che il giudice d’appello aveva confuso la causa del contratto con i motivi di esso;

b. deduce l’inconferenza degli arresti di legittimità richiamati, riguardanti la diversa ipotesi di impossibilità sopravvenuta per un fatto ascrivibile a terzi e non alle parti: assume che non era stato considerato che la mancata partecipazione al viaggio non era dipesa da fatti relativi all’esercizio dell’attività imprenditoriale, ma ad un impedimento soggettivo del fruitore della prestazione che non poteva determinare un effetto completamente liberatorio/risolutorio in suo favore;

c. assume che l’art. 1463 c.c., non prescriveva una regolamentazione inderogabile nè l’inserimento di clausole che potessero implicare uno sbilanciamento del sinallagma contrattuale con trasferimento del rischio solo a carico dell’operatore turistico.

1bis. Il motivo è complessivamente infondato.

Circa il primo rilievo, si osserva che il Tribunale ha fatto corretta applicazione delle norme sopra richiamate, inquadrando la fattispecie in esame nell’ipotesi in cui la causa del contratto, consistente nella fruizione di un viaggio con finalità turistica, diviene inattuabile per una causa di forza maggiore, non prevedibile e non ascrivibile alla condotta dei contraenti.

Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di chiarire che “la causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra”. (cfr. Cass. 8100/2013; Cass. 12069/2017).

Pertanto il Tribunale, nella congiunta valutazione della causa e dei motivi che avevano indotto all’acquisto del pacchetto turistico, ha dato forma al concetto di “causa concreta del contratto” attinente all’aspetto della funzione economico – sociale del negozio giuridico posto in essere (cfr. anche in motivazione Cass. 26958/2007) e, valutando il gravissimo impedimento che non aveva consentito ai contraenti di fruirne, ha correttamente applicato il principio sopra enunciato con il quale la previsione di cui all’art. 1463 c.c., risulta perfettamente compatibile, con riferimento a tutti i contraenti.

E, tanto premesso, anche il secondo rilievo non è condivisibile.

Questa Corte ha affermato che “la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell’art. 1463 c.c., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare, l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione”. (cfr. Cass. 26958/2007).

Tale arresto che, per gli aspetti fattuali, risulta sovrapponibile al caso in esame contiene principi ai quali questo collegio intende dare seguito, dovendosi escludere che l’impossibilità sopravvenuta debba essere – come prospettato dal ricorrente – necessariamente ricollegata al fatto di un terzo: la non imputabilità al debitore (v. art. 1256 c.c.) non restringe il campo delle ipotesi ma, per quanto sopra argomentato, consente di allargare l’applicazione della norma a tutti i casi, meritevoli di tutela, in cui sia impossibile, per eventi imprevedibili e sopravvenuti, utilizzare la prestazione oggetto del contratto.

Anche il terzo rilievo non può essere condiviso.

La società ricorrente lamenta, infatti, che la decisione impugnata contiene argomentazioni che si traducono in uno sbilanciamento del sinallagma contrattuale e nel trasferimento del rischio dell’evento accidentale a totale carico del tour operator, con conseguente costituzione di una sorta di responsabilità oggettiva.

L’assunto è infondato.

L’art. 1463 c.c., assume una funzione di protezione in relazione alla parte impossibilitata a fruire della prestazione pattuita e ciò è funzionale, in linea generale, proprio alla ricostituzione del sinallagma compromesso, non spostando l’ambito contrattuale della responsabilità.

2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1463 e 2033 c.c.: assume che la malattia dell’ A. si era verificata il giorno prima della partenza quando la prestazione era già iniziata, e che la società aveva iniziato ed in parte completato l’esecuzione del contratto. Si configurava, in tal modo, a suo carico un’ipotesi di indebito arricchimento in favore della parte attrice.

Il motivo è infondato.

Le parti contraenti, infatti, non hanno minimamente fruito della prestazione: al riguardo questa Corte ha avuto modo di chiarire che “l’azione generale di arricchimento ingiustificato, avendo natura sussidiaria, può essere esercitata solo quando manchi un titolo specifico sul quale fondare un diritto di credito” (Cfr. Cass. 26199/2017): nel caso di specie, le pretese dell’odierna parte controricorrente si fondano legittimamente sull’applicazione dell’art. 1463 c.c., e trovano pertanto un fondamento specifico che non consente neanche di ipotizzare l’ipotesi di cui all’art. 2033 c.c..

3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 1385 c.c., ed alla direttiva comunitaria 90/314 in tema di recesso del viaggiatore; lamenta altresì l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti e consistente nella mancata stipula della polizza assicurativa che era stata offerta ai contraenti per garantire gli derivanti da inconvenienti imprevedibili.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

La censura, infatti, è espressamente riferita agli artt. 90 e 91, del Codice del Consumo sui quali il Tribunale ha congruamente argomentato (cfr. pag. 6 della sentenza): il ricorrente, chiede, dunque, pur denunciando formalmente il vizio di violazione di legge, una rivisitazione del merito e della motivazione della controversia sul punto, preclusa in sede di legittimità in presenza di motivazione logica e sufficiente.

Nè la mancata stipula, da parte dei contraenti, della polizza assicurativa volta a coprire eventi imprevedibili come quello in esame, sposta i termini della decisione.

Tale possibilità, infatti, all’epoca in cui venne acquistato il pacchetto turistico costituiva una mera facoltà sia per il cliente che per l’operatore turistico: ciò non incide, dunque, sulla valutazione dell’impossibilità sopravvenuta alla prestazione, secondo quanto sinora argomentato.

Vale al riguardo rilevare che proprio la recente Direttiva Comunitaria del 2015/2302 sui pacchetti turistici, richiamata dal ricorrente, è stata recentemente recepita ma non è ancora in vigore nel nostro ordinamento: ciò rafforza la dimostrazione che all’epoca della controversia prevaleva la disciplina correttamente applicata dal Tribunale, la cui interpretazione deve tenere conto sia del rischio generale connaturato all’attività imprenditoriale sia del dovere di solidarietà sociale universalmente applicabile (Cass. 14662/2015).

4. Con il quarto motivo, la ricorrente, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1463 e 1672 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, consistente nell’applicazione delle norme relative al contratto di trasporto ed al contratto di mandato; censura, altresì, il richiamo del Tribunale all’art. 1672 c.c., ritenendolo inconferente rispetto al caso in esame.

Il motivo è inammissibile.

Nonostante la formale evocazione del vizio di violazione di legge, il ricorrente chiede una diversa motivazione della sentenza prospettando un vizio che non può più trovare ingresso in sede di legittimità, vista la modifica dell’art. 360, n. 5, introdotta con al L. n. 134 del 2012.

Circa la postulata applicazione degli artt. 1686 e 1720 c.c., si osserva, poi, che la censura risulta nuova e quindi inammissibile.

5. Infine, con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 91 c.p.c.: chiede la compensazione delle spese anche del primo grado visto che l’appello era stato parzialmente accolto.

Il motivo è inammissibile, in quanto, in presenza di parziale soccombenza in appello la statuizione di compensazione delle spese di primo grado non è sindacabile in sede di legittimità (cfr. ex multis Cass. 18236/2003; Cass. 4799/2006; Cass. 30599/2017) In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. 

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rifondere del grado che liquida in Euro 1400,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre accessori e rimborso spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2018.

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