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Cass. civ., sez. lav., sentenza 26 agosto 2020, n. 17788

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 26 agosto 2020, n. 17788

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Presidente: RAIMONDI GUIDO

Relatore: PICCONE VALERIA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 3874-2017 proposto da:

  1. G. elettivamente domiciliato in omissis, omissis presso lo studio dell’avvocato omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato omissis

– ricorrente –

contro

– S. A., elettivamente domiciliato in omissis, omissis, presso lo studio dell’avvocato omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato omissis;

– A. S., elettivamente domiciliato in omissis, VIA omissis, presso lo studio dell’avvocato omissis, rappresentato e difeso dall’avvocato omissis;

– controricorrenti –

nonchè contro

omissis.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1328/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/11/2016, R.G.N. 724/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2020 dal Consigliere Dott. VALERIA PICCONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALESSANDRO CIMMINO, che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato omissis;

udito l’Avvocato omissis.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 17 Ottobre 2016, la Corte d’Appello di Milano ha confermato la decisione resa dal locale Tribunale che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno differenziale avanzata da G. R. nei confronti di omissis– società unipersonale egt S. A. in relazione all’infortunio occorsogli in data 30 Agosto 2007; avverso la medesima pronunzia di primo grado era stato, peraltro, avanzato appello incidentale condizionato dalla S. e dall’A. mediante il quale si chiedeva che in caso di accoglimento della domanda venisse dichiarato che la omissis era tenuta a manlevarli, mentre analoga domanda di manleva era stata formulata dalla società assicuratrice nei confronti del terzo chiamato A. S. quale responsabile della progettazione del cantiere ove si era verificato il sinistro .

1.1. In particolare, il giudice di secondo grado / nel condividere integralmente le valutazioni del primo giudice con riguardo alla dinamica dell’infortunio, ritenuto, pacifica fra le parti, ha poi sottolineato il difetto di deduzioni probatorie da cui potesse evincersi la ricorrenza di una prassi ovvero di direttive atte ad indurre il dipendente a scaricare le attrezzature da un automezzo in prossimità della recinzione del cantiere e scendendo dal pianale posteriore anziché utilizzando normalmente il passo carraio.

Con tale modalità, infatti, il R. si era procurato un danno attingendo uno dei tondini che sorreggevano la rete plastificata posta a delimitazione dell’area.

  1. Per la cassazione della sentenza propone ricorso Gennaro Riccardi, affidandolo a tre motivi.

2.1. Resistono, con controricorso, S. A. e A. S. mentre la omissis e S. sono rimaste intimate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co.1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 2087, 2697 e 1218 c.c. in tema di ripartizione dell’onere della prova con riguardo all’infortunio subito dal ricorrente per essere stati imposti allo stesso oneri probatori asseritamente gravanti sulla controparte.

1.1. Con il secondo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione, in relazione all’ad 360 co.1, n.3 cod. proc. civ., dell’ad 2087 c.c. sul presupposto della ritenuta insussistenza di una precisa responsabilità in capo alla S. ed al proprio legale rappresentante pro tempore, sia per non aver predisposto misure idonee ad evitare l’insorgere di danni nello svolgimento di attività di carico e scarico in, ti prossimità della recinzione del cantiere, sia per non aver impedito l’assunzione da parte di R. della condotta posta in essere (ove da considerarsi vietata o non consentita).

1.2. Con il terzo motivo si deduce la violazione o falsa applicazione, in relazione all’art. 360 co.1, n.3 cod. proc. civ., degli artt. 421 e 437 cod. proc. civ. per non essere stati ammessi d’ufficio, nei precedenti gradi di giudizio, i necessari approfondimenti istruttori volti al contemperamento del principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale con riguardo alla responsabilità delle controparti.

  1. I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione di carattere logico – sistematico, sono infondati e non possono, pertanto, trovare accoglimento.

Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 26495 del 19/10/2018) l’art. 2087 cod. civ. non contempla una ipotesi di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, con la conseguenza di ritenerlo responsabile ogni volta che il lavoratore abbia subito un danno nell’esecuzione della prestazione lavorativa, occorrendo sempre che l’evento sia riferibile a sua colpa, per violazione di obblighi di comportamento, concretamente individuati, imposti da norme

di legge e di regolamento o contrattuali ovvero suggeriti dalla tecnica e dall’esperienza (ex plurimis, Cass. n. 3785 del 2009; Cass. n. 6018 del 2000, Cass. n. 1579 del

2000).

D’altro canto, ai fini dell’accertamento della responsabilità datoriale, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, mentre grava sul datore di lavoro – una volta che il lavoratore abbia provato le predette circostanze – l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno medesimo (ex plurimis, Cass. n. 24742 del 2018; Cass. n. 14865 del 2017; Cass. n. 2038 del 2013; Cass. n. 3788 del 2009; Cass. n. 12467 del 2003; di recente, in motivazione, Cass. n. 12808 del 2018).

2.1. E’ evidente, pertanto, in base alla giurisprudenza di questa Corte, che il mero fatto di lesioni riportate dal dipendente in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa non determina di per sé l’addebito delle conseguenze dannose al datore di lavoro, occorrendo la prova, tra l’altro, della nocività dell’ambiente di lavoro (cfr., tra le altre, Cass. n. 2038 del 2013) oltre che del nesso causale fra i due elementi costitutivi della fattispecie.

2.2. Nel caso di specie, la Corte d’appello, ritenuta pacifica la dinamica del sinistro, nonché la circostanza che il cantiere fosse munito di apposito accesso carraio idoneo a consentire l’ingresso degli automezzi, ha evidenziato come lo stesso non fosse stato, inopinatamente, utilizzato in specie dal Riccardi, il quale aveva invece intrapreso lo scarico sulla sede stradale, in prossimità della recinzione, scendendo dal pianale posteriore del veicolo e scavalcandone la sponda, così procurandosi

l’infortunio.

Orbene, con valutazione di fatto, immune da vizi logici e, pertanto, sottratta al sindacato di legittimità, la Corte ha poi ritenuto non sussistente la prova della circostanza allegata da parte ricorrente di una prassi nel senso di utilizzare tale modalità di scarico ed in particolare in ordine alla asserita ammissione in merito da parte dei convenuti Silcos e Alghisi essendosi gli stessi limitati ad affermare che “il ricorrente aveva in più occasioni avuto modo di trasportare materiali e attrezzature

presso il predetto cantiere, nel quale erano in corso in fase avanzata lavori di demolizione e ricostruzione di un edificio” reputando che da tale brano non fosse dato evincere alcun riconoscimento in ordine al fatto che, in pregresse occasioni, il Riccardi avesse provveduto a scaricare materiali o attrezzature non già entrando nel cantiere dall’apposito passo carraio bensì posizionando il mezzo a fianco della recinzione, come avvenuto nella specie.

Rispetto a tale valutazione, si ripete, sottratta al sindacato di legittimità, null’altro è stato aggiunto, non essendo emersi ulteriori elementi, secondo l’iter motivazionale del giudice di secondo grado, da cui arguirsi la nocività dell’ambiente ed il nesso di causalità fra questa e l’evento dannoso.

  1. Il terzo motivo, con cui si deduce l’omessa utilizzazione da parte del giudice dei propri poteri officiosi in punto di prova non può trovare accoglimento. Giova rilevare, al riguardo, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel rito del lavoro, il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito, ed allegare, altresì, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio, non potendo ammettersi in alcun modo una sollecitazione dei poteri istruttori meramente

“esplorativa”(cfr., sul punto, Cass. n. 22628 del 10/09/2019).

Sul punto, con congrua ed articolata motivazione, la Corte territoriale da conto della assoluta genericità della prova invocata da parte ricorrente che, inoltre, non aveva curato di indicare i testimoni da escutersi.

Dopo aver sottolineato, infatti, che “nel rito del lavoro, qualora la parte abbia, con l’atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale mediante

indicazione specifica dei fatti, ma omettendo l’enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, incorre nella decadenza della relativa istanza istruttoria, con la conseguenza che il giudice non può fissare un termine, ai sensi dell’ad 421 cod. proc. civ., per sanare la carente formulazione” (Cass. n. 5950 del 14/03/2014), ha

rilevato come, in ogni caso, il carattere assolutamente generico oltre che valutativo della prova da ammettersi ne determinava ex se l’inammissibilità.

Essa ha evidenziato, invero, come nell’atto introduttivo ci si limitasse alla menzione di un non meglio precisato “bisogno di posizionare veicoli in prossimità della recinzione” senza alcuna spiegazione delle circostanze da cui detto bisogno” sarebbe derivato.

La Corte di Appello ha, quindi, ritenuto la correttezza delle valutazioni operate in primo grado, sulla base di diverse valutazioni: in primo luogo, con riguardo al discusso aspetto della esistenza o meno di una prassi (o quantomeno di precedenti) di operazioni poste in essere con modalità analoghe a quelle poste in essere dal R., ha affermato che sia la memoria difensiva della datrice di lavoro sia il verbale di infortunio non contenevano riferimento alcuno, o perlomeno alcuna affermazione che potesse essere ricondotta in tal senso, a pregresse circostanze ed operazioni analoghe a quelle del fatto di specie. D’altro canto, proprio il carattere generico e non circostanziato delle affermazioni contenute nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado del R., a parer della Corte d’appello aveva impedito di rinvenire in capo a S. A alcun onere di specifica contestazione.

Ciò appariva ancor più evidente, come sottolineato dal giudice di secondo grado, se si osservava che lo stesso R., nelle dichiarazioni allegate al rapporto di infortunio, aveva affermato di aver posizionato il mezzo in prossimità della recinzione – non per ragioni di necessità – bensì “per lasciare libero il transito dei veicoli sulla strada”, dimostrando così di aver operato su sua scelta personale e non necessitata né prescritta dal datore di lavoro.

  1. Alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere respinto.
  2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, nel rispetto dei parametri di cui al D.M. 8 marzo 2018, n. 37, recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55.
  3. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n.

115 del 2002, se dovuto.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente alla rifusione, in favore delle parti costituite, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 2.000,00 ciascuna per compensi e 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 1 5 % e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della La Corte d’appello ha, quindi ritenuto la correttezza delle valutazioni operate in sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, 1’11 febbraio 2020.

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