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Cass. Civ., Sez. VI, sent. 4 marzo 2021, n. 6030 sul fallimento della c.d. supersocietà di fatto

Introduzione

Nella presente pronuncia la Corte di Cassazione affronta il tema del fallimento della cosiddetta supersocietà di fatto.

Nello specifico, la Suprema Corte ha stabilito che la dichiarazione di fallimento della supersocietà di fatto implichi necessariamente l’accertamento della sua specifica insolvenza, la quale presenta carattere autonomo rispetto all’insolvenza di uno o più soci, potendo quest’ultima costituire un mero fatto indiziante.

La supersocietà di fatto (cenni)

In via preliminare, occorre precisare che per supersocietà di fatto si intende quella società personale di fatto alla quale partecipano, in qualità di soci illimitatamente responsabili, più soggetti, persone fisiche o giuridiche, società tanto di persone quanto di capitali.

Secondo quanto rilevato dalla dottrina, gli elementi che giustificano l’individuazione di una supersocietà di fatto sono da individuare in:

  • una forte influenza e un potere di condizionamento da parte di un soggetto nei confronti di una o più imprese sottoposte al suo potere, con un’intensità e con delle modalità che superano la mera direzione e coordinamento; nonché
  • una sovrapposizione dei ruoli e un’intersecazione dei flussi finanziari mediante i quali si realizzano gli investimenti, al punto tale da far pensare ad un’unica società di fatto tra i diversi soggetti coinvolti[1].

Il fatto

 Mediante sentenza emessa nel giugno 2018, il Tribunale di Sciacca ha dichiarato il fallimento della società di fatto corrente tra la E. s.r.l., società già dichiarata fallita con sentenza del febbraio 2017, e la S. di S. C. & P. s.a.s., nonché il fallimento di quest’ultima e dei suoi soci illimitatamente responsabili.

La S. s.a.s. e i suoi soci illimitatamente responsabili hanno proposto reclamo ex articolo 18 regio decreto 16 marzo 1942, numero 267 (la “Legge Fallimentare”) innanzi alla Corte di Appello di Palermo, che lo ha successivamente respinto.

La Corte di Appello ha rilevato sussistere, nel caso concreto, un “comune scopo imprenditoriale” perseguito dalle società, dando così vita al fenomeno della supersocietà di fatto.

I giudici palermitani, rilevata la fallibilità della supersocietà, hanno poi ritenuto sussistere lo stato di insolvenza della medesima.

Avverso la pronuncia della Corte di Appello, la S. s.a.s. e i suoi soci hanno presentato ricorso presso la Corte di Cassazione.

La motivazione

 Il primo motivo posto a fondamento del ricorso, relativo ad un assunto “vizio di sussunzione” nel quale sarebbe incorsa la Corte di Appello, è stato ritenuto inammissibile da parte della Suprema Corte, in quanto lo stesso avrebbe comportato un esame del merito della controversia, precluso ai giudici di legittimità.

Gli Ermellini hanno invece ritenuto fondato e, pertanto, ammissibile, il secondo motivo. La giurisprudenza della Corte ha infatti ritenuto che, ai fini della dichiarazione di fallimento della supersocietà di fatto, risulti necessario che la medesima sia insolvente, trattandosi, peraltro, di un fallimento autonomo rispetto a quello dei suoi soci illimitatamente responsabili.

In tale prospettiva, è necessario verificare la sussistenza di un’autonoma insolvenza in capo alla supersocietà, cosicché il fallimento della stessa può costituire unicamente il “presupposto logico e giuridico della dichiarazione di fallimento, per ripercussione, dei soci”.

Gli Ermellini rilevano come la Corte di Appello di Palermo si sarebbe limitata a prendere in esame i debiti in capo ai singoli soci della supersocietà, non curandosi, invece, di indagare l’effettivo stato di insolvenza della supersocietà medesima.

Pertanto, è la supersocietà il soggetto “che deve essere preso in considerazione quale soggetto imprenditore e quale soggetto eventualmente insolvente”, potendo i suoi soci fallire esclusivamente per “ripercussione”.

Mediante la sentenza de qua, la Suprema Corte, accogliendo il secondo motivo di ricorso e dichiarando inammissibile il primo, ha così cassato, per la relativa parte, il provvedimento impugnato, rinviando la controversia alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE – 1

ORDINANZA

FATTI DI CAUSA

1.- Con sentenza del giugno 2018, il Tribunale di Sciacca ha dichiarato il fallimento della società di fatto corrente tra la s.r.l. Essetre, già dichiarata fallita con sentenza del febbraio 2017, e la s.a.s. Sabimm di Schittone Calogero & Paolo, nonché della stessa Sabimm e dei soci di illimitatamente responsabili di quest’ultima.

La Sabimm e i suoi soci illimitatamente responsabili hanno proposto reclamo ex art. 18 legge fall. avanti alla Corte di Appello di Palermo. Che lo ha respinto con sentenza depositata in data 12 luglio 2019.
2.- Per quanto qui ancora in interesse, la Corte territoriale ha rilevato essere nella specie «manifesto che le due società abbiano collaborato per il perseguimento di un comune scopo imprenditoriale», così dando nel concreto vita al fenomeno della c.d. supersocietà di fatto.
3.- A conforto di tale rilevazione, la sentenza ha poi proceduto a evidenziare una fitta rete di dati, legami e rapporti anche contrattuali nei fatti intercorsi tra Essetre e Sabimm e i soci illimitatamente responsabili di quest’ultima.

Per poi concludere, sul tema, che l’insieme di questi elementi propende senz’altro per «far ritenere che le due società avessero costituito, ciascuna effettuando versamenti, un fondo comune, che condividessero le scritture contabili, mentre l’affectio societatis è attestata dalle reciproche prestazioni di garanzie e sostegno economico».

4.- Rilevata la fallibilità della supersocietà, la Corte territoriale ha poi ritenuto sussistente lo stato di insolvenza della medesima. In proposito, ha osservato che «Sabimm registra alla data del fallimento un debito erariale» di rilevante importo; che anche a carico dei suoi soci illimitatamente responsabili risultano debiti erariali; che pure di elevato montante risulta il passivo fallimentare di Essetre: a una cifra assai significativa – si è ragionato – «si staglia il grave indebitamento di ciascuno dei componente della società di fatto».

D’altra parte – si è aggiunto -, il «patrimonio “essenzialmente immobiliare” intestato alla sola Sabimm … non costituisce in sé considerato indice di solvibilità della supersocietà giacché necessita di essere liquidato e non consente dunque di procedere con correntezza e regolarità all’assolvimento delle obbligazioni».

5.- Avverso questa pronuncia la s.a.s. Sabimm e i suoi soci, Calogero Schittone e Paolo Schittone hanno presentato ricorso, articolando due motivi di cassazione.

Hanno resistito, con unico controricorso, il Fallimento della s.r.l. Essetre e il Fallimento della s.a.s. Sabimm e dei suoi accomandatari.
6.- Entrambe la parti hanno anche depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

7.- Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., come anche dell’art. 147 comma 5 legge fall.
La Corte di Appello – si assume – è «incorsa nel cosiddetto “vizio di sussunzione” per avere confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha fondato la presunzione di esistenza della “supersocietà di fatto” tra la Sabimm s.a.s., i suoi soci illimitatamente responsabili e la s.r.l. Essetre su indizi privi della gravità, precisione e concordanza, incorrendo un una falsa applicazione della norma».

A quest’enunciato di base fa seguito, nel corpo del motivo svolto, l’indicazione di una serie di precedenti di questa Corte, sia in punto di identificazione dei tratti costitutivi della supersocietà di fatto, sia pure in tema di sindacabilità nel giudizio di legittimità dei criteri di formazione delle prove presuntive da parte del giudice di merito. Segue ancora l’affermazione che taluni degli aspetti, che sono segnalati dalla Corte di Palermo, in realtà «difettano dei requisiti di gravità e precisione».
8.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, infatti, si risolve nel richiedere un nuovo esame degli elementi materiali della fattispecie, secondo quanto non è per contro consentito alla valutazione di questa Corte.

D’altro canto, il ricorso all’argomento della «cattiva gestione» da parte degli amministratori e soci delle società implicate – a cui ricorre il motivo per spiegare parte sostantiva degli elementi ritenuti rilevanti dalla Corte siciliana in punto di identificazione della supersocietà di fatto – non è rilievo che possa, sul piano oggettivo, stimarsi idoneo a «ridurre» la gravità e la precisione degli elementi stessi. Trattasi, in definitiva, di un semplice artificio verbale.

9.- Il secondo motivo di ricorso rileva «nullità della sentenza (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) in relazione all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte di Appello omesso di motivare sulla prova dello stato di insolvenza della “supersocietà di fatto” tra la Sabimm s.a.s., i soci illimitatamente responsabili e la Essetre s.r.l.».

A avviso del ricorrente, la sentenza afferma, «ma non dimostra, né motiva», l’incapacità della società di fatto di adempiere con regolarità alle obbligazioni da essa assunte. La sentenza è nulla per omessa motivazione sullo stato di insolvenza: «non è dato arguirsi sulla base di quali elementi il giudice di secondo grado abbia dedotto l’insolvenza della supersocietà di fatto».

10.- Il motivo è fondato e merita quindi di essere accolto.
11.- La giurisprudenza di questa Corte ha già chiarito che, per potersi dichiarare il fallimento della c.d. supersocietà di fatto, è necessario, tra l’altro, che la stessa risulti insolvente: posto in specie che non si tratta di un fallimento dipendente (com’è, invece, per il caso dei soci illimitatamente responsabili rispetto al fallimento della supersocietà), ma autonomo. Identificato l’imprenditore fallibile in una supersocietà, la dichiarazione di fallimento non può che scontare un’insolvenza che a questa sia positivamente riferibile.

Il fallimento della supersocietà – si è appunto precisato in questa prospettiva – «costituisce presupposto logico e giuridico della dichiarazione di fallimento, per ripercussione, dei soci»; perciò, l’indagine del giudice dev’essere indirizzata all’accertamento sia dell’esistenza di una società occulta (o di fatto) cui sia riferibile l’attività dell’imprenditore già dichiarato fallito, sia della sua insolvenza»: «all’insolvenza del socio già dichiarato fallito», del resto, «potrebbe non corrispondere l’insolvenza della s.d.f.» (così Cass., 20 maggio 2016, n. 10507).
È dunque necessario il riscontro di una «autonoma e affatto propria insolvenza» della supersocietà, che nel concreto sia fatta oggetto di analisi: con la puntualizzazione che all’esito di questa verifica sarà possibile «giungere anche eventualmente muovendo – quale fatto indiziante – dalla rilevazione dell’insolvenza di uno o più soci, ovvero del socio cui era inizialmente imputabile l’attività economica, ma senza alcuna automatica traslazione ovvero dogmatico esaurimento in esse della prova richiesta, come per tutti gli insolventi fallibili, dall’art. 5 legge fall.» (cfr. la pronuncia di Cass., 13 giugno 2016, n. 12120).

11.- Nel caso di specie, la sentenza della Corte di Appello ha sì affermato che si «impone la verifica della insolvenza della supersocietà», ma non ha poi proceduto a effettuare questa pur necessaria verifica. O meglio e con maggior precisione: prima di ogni altra cosa, essa ha trascurato di approntare una verifica che sta a monte di quella relativa alla sussistenza dello stato di insolvenza.

Nei fatti, la sentenza si è limitata a prendere in considerazione dei debiti riferiti (secondo le sue testuali espressioni) a singoli soci della supersocietà (cfr. n. 4). È quest’ultima, tuttavia, il soggetto che deve essere preso in considerazione quale soggetto imprenditore e quale soggetto eventualmente insolvente, i suoi soci fallendo solo per «ripercussione» (cfr. n. 10). Per potere procedere alla verifica dell’eventuale insolvenza del soggetto che fallisce in via autonomo., dunque, occorre prima definire il perimetro delle obbligazioni che a questo soggetto – e cioè all’attività di impresa da questo svolta, risultano riferibili.

La constatazione, che una simile verifica – concernendo una società di mera fatto – di necessità prescinde da criteri di imputazione formale e di «spendita del nome», non può certo fare dimenticare l’eventuale esistenza di debiti che siano solo «personali» dei soci.
12.- In conclusione va accolto il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo. Di conseguenza, va cassata per quanto di ragione la sentenza impugnata e la controversia rinviata alla Corte di Appello di Palermo che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorsa dichiarato inammissibile il primo. Cassa, per la relativa parte, la sentenza impugnata e rinvia la controversia alla Corte di Appello di Palermo che, in diversa composizione, provvederà anche alle determinazioni relative alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile – 1, addì 27 ottobre 2020.

 

 

[1] M. SCIUTO, Le ragioni della liquidazione giudiziale di gruppo, in D. VATTERMOLI, I gruppi nel Codice della crisi, Pisa, Pacini Giuridica, edizione 2020, p. 68.

 

 

Andrea Di Gregorio

Andrea Di Gregorio è junior associate presso Chiomenti, prestando assistenza nell’ambito del diritto bancario e finanziario ed in quello di composizione della crisi di impresa e debt restructuring. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Brescia, discutendo una tesi in Diritto Fallimentare dal titolo "I gruppi di imprese nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza" e riportando una votazione di 110/110 cum laude. Collabora con la rivista Ius in itinere da maggio 2020.

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