Cass. n. 1663/2020 (Foodora): il criterio della “debolezza economica” rilancia il lavoro oltre il contratto
Il 24 gennaio 2020 la Corte di Cassazione ha messo la parola fine al caso Foodora, ormai divenuto emblematico del conflitto tra i lavoratori della gig economy e le piattaforme della moderna economia digitale.
- Foodora: il caso e le sentenze di primo e secondo grado.
Nel 2016, in seguito agli scioperi dell’autunno mediante i quali si rivendicava una retribuzione migliore, alcuni fattorini legati alla piattaforma di consegna di cibo a domicilio Foodora da un contratto di collaborazione coordinata e continuativa si sono visti negare il rinnovo del contratto. Cinque di questi, allora, si sono rivolti agli avvocati Sergio Bonetto e Giulia Druetta al fine di chiedere che venisse accertato il rapporto sostanziale di subordinazione cui erano soggetti e, dunque, l’illegittimità del licenziamento subito[1].
Il Tribunale di Torino, in prima istanza, aveva rigettato in toto le loro richieste con una motivazione estremamente formalistica, dando peso cioè soltanto alla forma contrattuale utilizzata, ritenuta idonea a esprimere la libera volontà delle parti. Non è evidentemente sovvenuto al giudice di prime cure che la disparità economica e di forza contrattuale tra le due parti possa con ogni probabilità essere stata determinante nella scelta, se tale merita di essere considerata, di accettare il contratto in questione, né in ogni caso ha ritenuto doverosa alcuna tutela in relazione alla situazione di debolezza propria di quei lavoratori.
La sentenza del 2018[2] sembra sposare una visione formale e, si potrebbe dire, esteriore dello stesso lavoro, per cui quest’ultimo, con l’insieme dei diritti sociali che ne discendono, finirebbe per rappresentare solamente un bene o un interesse del tutto disponibile nei limiti di legge, dando per sottinteso inevitabilmente che nessuno degli obblighi e delle previsioni costituzionali al riguardo abbia efficacia diretta o vincolante tale da poter venire in considerazione in sede giurisdizionale[3].
La sentenza di appello n. 26/2019[4], al contrario, ha certamente il pregio di avere affrontato apertamente la questione sottesa a tutte le nuove forme di lavoro tipiche della gig economy, spesso assai poco garantite: si discute sull’estensione e sulla modulazione della tutela, ma la necessità di fornire misure di tutela idonee a tutte le categorie di lavoratori, a prescindere dal contratto in essere, incontra l’interesse e la preoccupazione dei giudici e diventa anzi uno dei principali temi di cui ragionare anche ai fini della decisione.
Concretamente, poi, la Corte d’Appello di Torino risolve il caso posto alla sua attenzione mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata[5] dell’art. 2 d.lgs. 81/2015, estendendo cioè ai fattorini le tutele proprie della subordinazione come prevede il citato decreto almeno per lo specifico caso delle collaborazioni coordinate e continuative.
Il vulnus, non trascurabile, di questa pronuncia, però, è che – a causa dell’elaborazione connessa alla teoria del tertium genus, individuata dai giudici di appello nel rapporto di lavoro in questione – non riconosce ai rider tutte le garanzie proprie dei lavoratori subordinati, estendendone tout court la disciplina, ma si attribuisce il compito di selezionare discrezionalmente alcune delle tutele di questi ultimi, garantendo ai fattorini di Foodora soltanto un discrezionale pacchetto di previsioni a tutela della persona sul posto di lavoro e riguardanti in particolare salute, orario, sicurezza e ferie, esclusa però, per esempio, proprio la disciplina riguardante il licenziamento.
- La sentenza della Cassazione.
La Suprema Corte, infine, con quest’ultima recentissima pronuncia[6] ha riconosciuto ai lavoratori la piena tutela della subordinazione riscontrandone nell’art. 2 d.lgs. 81/2015 tutti i presupposti.
La Corte non si pronuncia sull’effettiva possibilità di riscontrare un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato nel caso di specie, poiché – a fronte del ricorso per Cassazione presentato dalla società convenuta – i fattorini hanno rinunciato a presentare ricorso incidentale sostenendo anche in terzo grado la loro tesi originaria: non è dunque affatto escluso che una soluzione di tal genere potesse venire in considerazione, ma al contempo la non pertinenza di questa soluzione ha dato modo alla Corte di esprimersi al meglio su altre basi.
La Cassazione, in particolare, afferma che “non ha decisivo senso interrogarsi sul se tali forme di collaborazione, […] di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia” e non perché simile qualificazione sia di per sè irrilevante, quanto piuttosto perché ciò che veramente è necessario è un sistema di protezione in grado, al contempo, di non farsi imbrigliare nella varietà tipologica del dato normativo e contrattuale e d resistere agli “esiti talvolta incerti e variabili delle controversie qualificatorie ai sensi dell’art. 2094”[7].
La Suprema Corte dunque, pur rigettando la dottrina del tertium genus elaborata dalla Corte d’Appello di Torino – evitando in tal modo anche la censura di incostituzionalità mossa all’art. 2 d.lgs 81/2015 per contrasto con l’art. 76 Cost. – giunge a conclusioni sostanzialmente analoghe: eliminata quella sorta di discrezionalità selettiva attribuitasi dalla Corte territoriale, riconosce piena efficacia all’art. 2 d.lgs. 81/2015, stabilendo che “quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”.
La Cassazione ha preso le mosse nella sua motivazione da una valutazione sincera dello stato dei fatti, che vede un problema effettivo di carenza di tutele per ampie categorie di lavoratori non più forti o più autonomi dei subordinati, ma inquadrati e differenziati nei modi più vari.
Ad essa va riconosciuto dunque il merito di aver restituito una concezione sostanziale del lavoro, nella quale trova espressa rilevanza il criterio della “debolezza economica” del lavoratore, criterio che prescinde dalle modalità in cui si svolge la prestazione lavorativa o dal contratto in essere tra le parti, per focalizzarsi piuttosto sulla persona del lavoratore e sulla sua esposizione a situazioni di sfruttamento, alla mancanza di alternative per la sopravvivenza al di fuori di un rapporto subalterno. Si tratta di un’affermazione di grande importanza anche dal punto di vista pubblicistico e dei principi costituzionali, perché una caratteristica intrinseca, propria del lavoratore, viene in considerazione quasi in antitesi rispetto al contratto di diritto privato o, in ogni caso, si pone come fondamento di diritti e tutele che ne prescindono.
- Il lavoro al centro della Costituzione sociale: superare e non contrattualizzare la debolezza economica.
La Costituzione viene citata poco opportunamente dagli avvocati di Foodora, i quali riscontrano addirittura alcuni motivi di incostituzionalità[8] della norma che estende la subordinazione[9].
La Corte di Cassazione, invece, compie un’osservazione corretta proprio in occasione di quel ristretto passaggio nel quale richiama il criterio di debolezza economica: a ragione, prima la Corte d’Appello, sia pure tramite una soluzione più contestabile, poi la Suprema Corte affermano che la legge ordinaria vada interpretata nel modo in cui possa avere un significato non solo intrinseco, ma anche coerente con il testo costituzionale.
Non c’è dubbio, a tal proposito, che l’intento protettivo di ampie fasce di lavoratori non adeguatamente garantiti sia non solo conforme, ma dovuto ai sensi quantomeno dei primi quattro articoli della Costituzione, oltre che dell’art. 35, così come dovuta è anche l’adeguata retribuzione, prevista dall’art. 36, la cui insufficienza spingeva i rider ricorrenti allo sciopero.
La Costituzione italiana, infine, non considera il lavoro come un mero fenomeno economico o qualunque altro aspetto della vita, pur meritevole di protezione, ma lo riveste di una finalità essenziale, che giustifica la sua permanenza nell’art. 1 in qualità di fondamento[10], come forza in grado di spingere i soggetti più deboli e fragili verso una prospettiva di uguaglianza e di realizzazione personale e sociale[11].
In questo senso, il lavoro va senza alcun dubbio molto al di là della fattispecie contrattuale, e la tutela che incontra di conseguenza non è una tutela meramente contrattuale o privatistica, poiché vengono in gioco interessi pubblici di primaria importanza: si tratta, infatti, del fondamento dei diritti sociali, che vengono protetti prima di tutto nel momento della prestazione lavorativa, la quale può essere considerata, in un certo senso, il momento “genetico” della doverosa tutela, rispetto anche alle molte protezioni, oggi sempre più richieste da parte degli stessi utenti, differite in altri momenti della vita, come in particolare quello del consumo[12].
La pronuncia della Cassazione, di certo soddisfazione sotto il piano della tutela offerta, è esemplare, in quest’ultimo piccolo stralcio e nell’argomentazione complessiva, nel restituire al lavoro la sua veste strumentale e non di semplice fenomeno esteriore bisognoso di regolamentazione e tutela: il lavoro che la Costituzione considera come mezzo per realizzare gli interessi e gli obiettivi più importanti, quelli per cui la Repubblica è nata e in vista dei quali giustifica ogni giorno la sua esistenza: la realizzazione personale del lavoratore e l’elevazione sua e della società tutta nella direzione di siffatta uguaglianza sostanziale corrisponde infatti all’imperativo costituzionale di superare in via definitiva la subalternità dei rapporti personali e lavorativi.
[1] Sulla vicenda: S. Bonetto, Il caso Foodora, in A. Somma (a cura di), Lavoro alla spina, welfare à la carte, Milano, Meltemi, 2019.
[2] Trib. Torino, 7 maggio 2018, n. 778.
[3] I. Massa Pinto, La libertà dei fattorini di non lavorare e il silenzio sulla Costituzione: note in margine alla sentenza Foodora (Tribunale di Torino, sent. n. 778 del 2018), «Osservatorio Costituzionale AIC», n. 2/2018, 12/06/2018.
[4] App. Torino, 4 febbraio 2019, n. 26.
[5] C. Salazar, Diritti e algoritmi: la gig economy e il “caso Foodora”, tra giudici e legislatore, «Consulta Online», n. 1/2019; diversi autori, però, sostenevano già in occasione delle due sentenze di merito l’opportunità, seppure non l’inevitabilità, di un’estensione pura e semplice della subordinazione (tra costoro: I. Massa Pinto, opera cit.).
[6] Cass., sez. lav., 24 gennaio 2020, n. 1663.
[7] Ivi
[8] Questo profilo verrà approfondito con un diverso articolo, di prossima pubblicazione: D. Testa, Il paradosso dell’art. 3: la ragionevolezza usata contro l’uguaglianza. La questione di legittimità costituzionale sollevata da Foodora in Cass. 1663/2020, Ius in Itinere, 02/2020.
[9] Art. 2 d.lgs. 81/2015.
[10] C. Mortati (et al.), Art. 1-12: Principi fondamentali, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, Zanichelli, 1975.
[11] A. Cessari, Il favor verso il prestatore di lavoro subordinato, Milano, Giuffrè, 1966: l’ordinamento “favorisce il pieno sviluppo della persona del singolo lavoratore, considerato come elemento anche individualmente inserito nell’organizzazione sociale”. Con riguardo a tali obietti, come postulati in particolare dall’art. 2 Cost: F. Pizzolato, Finalismo dello Stato e sistema dei diritti nella Costituzione italiana, Milano, Vita e Pensiero, 1999.
[12] R. Bin, Lavoro e Costituzione: le radici comuni di una crisi, in G. G. Balandi, G. Cazzetta (a cura di), Diritti e lavoro nell’Italia repubblicana, Milano, Giuffrè, 2008; A. Somma, Dal lavoratore al consumatore. Cittadinanza e paradigma giuslavoristico nell’economia sociale di mercato, in G.G. Balandi, G. Cazzetta (a cura di), Diritti e lavoro nell’Italia repubblicana, Milano, Giuffrè, 2008.
Davide Testa è dottorando di ricerca presso la LUISS – Guido Carli e City Science Officer a Reggio Emilia, cultore della materia in Diritto Costituzionale e avvocato nel Foro di Padova.
Dopo aver conseguito gli studi classici presso il Liceo Marchesi, ha studiato Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, svolgendo un periodo di mobilità di due semestri presso l’University College Dublin. Nel 2019 si laurea in Diritto Costituzionale con una tesi intitolata “Fondata sul lavoro: dall’Assemblea costituente alla gig economy”.
A partire dallo stesso anno, collabora con l’area di Diritto Costituzionale della rivista Ius in Itinere e partecipa ai lavori del gruppo di ricerca “Progetto Città”, promosso dal Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario dell’Università di Padova. Nel 2020-2021 è inoltre stato titolare di un assegno di ricerca FSE intitolato “Urban Data Regulation – Best practices locali per un uso condiviso” presso il medesimo ateneo.
Dal 2022 è dottorando di ricerca industriale presso LUISS – Guido Carli e, nell’ambito del dottorato, svolge attività di ricerca applicata presso il City Science Office attivato presso l’amministrazione di Reggio Emilia, nell’ambito della City Science Initiative promossa dal JRC della Commissione Europea. È inoltre avvocato presso il Foro di Padova.