Cass. Pen. sent. n. 44107 del 2018: la responsabilità dei sindaci per concorso omissivo nel reato di bancarotta
La sentenza n. 44107/18 della Suprema Corte di Cassazione prende in esame il tema della responsabilità dei sindaci per concorso omissivo nel reato di bancarotta.
Premessa
Per definizione è noto che i sindaci hanno una doppia responsabilità: civile e penale.
La responsabilità civile del sindaco per omissione dei doveri di vigilanza è consacrata nell’art. 2407 c.c., dal quale discende altresì una responsabilità penale ogni qual volta venga provato il coinvolgimento del sindaco nelle condotte distrattive dell’organo amministrativo.
In capo ai sindaci vi sono precisi obblighi di controllo, sanciti dagli artt. 2403 e 2407 c.c. volti alla tutela della società e dei creditori sociali. Dalla loro posizione di garanzia discende, ancora, un onere di particolare rilevanza ogni qual volta si contesti la bancarotta societaria nella sua forma omissiva impropria, per cui si estenderà il nesso di casualità nei loro confronti (art. 40 c.p.v.[1]).
I sindaci di una qualsiasi società hanno obblighi di controllo sull’operato dell’organo amministrativo: ricorrono ad ispezioni tutte le volte in cui ciò risulti necessario ed impediscono la formazione di falso nelle scritture contabili.
Il sindaco, dunque, per essere considerato responsabile per omesso impedimento del reato commesso dagli amministratori, deve omettere tutti quegli atti di impulso volti all’attivazione dei doveri che gli sono attribuiti ex lege.
Tra i doveri, recentemente ribaditi dalla Giurisprudenza di merito, vi sono i poteri di intervento, o anche poteri indirettamente impeditivi, che si attuano, in entrambi i casi, attraverso le segnalazioni e le denunce.
Tra i poteri direttamente impeditivi si menziona la possibilità di impugnare le delibere del Consiglio di amministrazione (art. 2388 c.c.) e il blocco dell’attività del Consiglio di gestione (art. 2409 terdecies lett. a) c.c.); mentre tutti gli altri poteri “atipici” sono indirettamente impeditivi.
Ma come si verifica l’esistenza di una responsabilità in capo al sindaco della società quando si concreta il reato di bancarotta?
Prima facie va esaminato l’elemento soggettivo del reato.
Nella fattispecie il dolo viene sempre configurato come dolo eventuale al fine di riferire psicologicamente l’evento – ovvero il dissesto – al soggetto attivo – il sindaco.
Il sopracitato articolo del codice penale sancisce che: “Non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Il sindaco, avrà sicuramente avuto conoscenza degli indizi volti a definire, sin da subito, la gravità dell’evento e la possibilità che si possano verificare altrettanti eventi dannosi, e deleteri, per la società, ma di fatto è rimasto inerme dinanzi le stesse.
Quali sono questi elementi indizianti?
In base a quanto stabilito dalla Cassazione Penale del 27 novembre 2017 n. 52433, suscettibili di valutazione idonea a predeterminare eventuali conseguenze dannose per la società sono:
- Acquisto da parte della società fallita di partecipazione in società decotta
- Errata contabilizzazione dei costi sullo smaltimento dei rifiuti
- Contabilizzazione di false ricevute bancarie
- Eccessivo accantonamento per indennità per infortunio di due lavoratori
- Pagamenti anomali in favore di società riconducibile agli amministratori
- Tutte quelle operazioni rilevanti che non possono sfuggire all’attenzione dei sindaci.
Prendendo in considerazione tutti questi segnali di allarme, la legge delega 155/2017 ha fatto sì che agli stessi seguissero delle vere e proprie procedure di allerta. Tali procedure si identificano come strumento in grado di far emergere ogni difficoltà di impresa ancor prima della autorità giudiziaria. Costituiscono uno strumento stragiudiziale, creato proprio in favor delle imprese, al fine di risolvere in maniera rapida e diretta ogni tipo di malessere economico.
A tal fine, si legge nell’art. 4 della legge delega n. 155/2017[2], il Governo disciplina l’introduzione di procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, di natura non giudiziale e confidenziale, finalizzate a incentivare l’emersione anticipata della crisi e ad agevolare lo svolgimento di trattative tra debitore e creditori, attenendosi ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
-) porre a carico degli organi di controllo societari, del revisore contabile e delle società di revisione, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, l’obbligo di avvisare immediatamente l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi, da individuare secondo parametri corrispondenti a quelli rilevanti ai fini del riconoscimento delle misure premiali di cui alla lettera h), e, in caso di omessa o inadeguata risposta, di informare tempestivamente l’organismo di cui alla lettera b)[3];
-) determinare i criteri di responsabilità del collegio sindacale in modo che, in caso di segnalazione all’organo di amministrazione e all’organismo di cui alla lettera b), non ricorra la responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori per le conseguenze pregiudizievoli dei fatti o delle omissioni successivi alla predetta segnalazione.
La sentenza n. 44107/18 della Suprema Corte di Cassazione
Nel caso in esame nella sentenza della Suprema Corte di Cassazione, in capo all’imputato – sindaco nella società fallita – vi erano i seguenti capi d’accusa:
- appropriazione indebita per euro 235.710;
- distrazione del ramo di azienda più redditizio;
- distrazione di circa 100.000 euro per il noleggio di uno yacht utilizzato per fini puramente personali;
- appropriazione di somme a titolo di compenso per l’amministrazione non deliberate dall’assemblea.
Il difensore, avverso la pronuncia di condanna nei confronti del suo assistito ha adottato le seguenti motivazioni:
- Erronea applicazione dell’art. 40 c.p. in relazione a tutte le fattispecie di reato per cui è intervenuta condanna. Non è stata fornita la prova che le condotte penalmente rilevanti degli amministratori non si sarebbero verificate qualora l’imputato non avesse violato gli obblighi di legge che lo riguardavano. La struttura dell’art. 40 cpv c.p. comporta necessariamente il ricorso al ragionamento contro fattuale per assegnare giuridico rilievo penalistico al non agere. Inoltre, occorreva individuare i “poteri impeditivi” che caratterizzano la posizione di garanzia del sindaco all’interno della società;
- Vizio di motivazione in ordine all’individuazione dei poteri impeditivi del sindaco, tenuto conto del fatto che la compagine sociale della società Alfa S.r.l. coincideva con quella dell’organo amministrativo, sicchè non sarebbe valsa a distogliere gli amministratori dai loro propositi delittuosi una eventuale segnalazione all’assemblea;
- Vizio di motivazione in ordine alla prova del dolo, poichè era stata accomunata la posizione di M. a quella degli altri sindaci, senza tener conto delle difficili condizioni personali e familiari dell’imputato a partire dal 2008. Inoltre, perchè era stato attribuito rilievo, contro l’imputato, a fatti neutri (mancanza di dimissioni e falsificazione, post factum, dei verbali del collegio sindacale). Era stata illegittimamente equiparata la conoscibilità dei fatti delittuosi alla loro conoscenza effettiva;
- Erronea applicazione dell’art. 40 c.p. e L. Fall., art. 223, in quanto era stata affermata la responsabilità di M. per il noleggio dello yacht senza considerare che questi non avrebbe potuto impedire la distrazione delle somme necessarie al noleggio ma solo rilevarne, successivamente, la commissione, in quanto non rientra nei poteri del sindaco l’esercizio di un controllo preventivo sulle scelte dell’amministratore. Al più, M. avrebbe potuto rilevare l’eventuale, falsa appostazione contabile della spesa, con conseguente applicabilità dell’art. 223 L. Fall. in relazione all’art. 2621 c.c., nel concorso degli altre condizioni richieste dalla norma.
Nonostante le valide argomentazioni difensive dell’avvocato del sindaco della società fallita, la Corte di Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso[4].
Il primo motivo, per il quale la Corte si rende conto della non possibilità di accogliere il ricorso, è fortemente ricollegato al principio consacrato nell’art. 27 Cost[5]. La responsabilità penale, in questo caso per condotta omissiva, deve presupporre il nesso di causalità tra condotta tra omissione ed evento. Ciò non basta in quanto, per essere considerati responsabili, è altresì necessario avere coscienza e volontà delle conseguenze dell’omissione.
Ripercorrendo l’excursus normativo, volto all’analisi degli articoli del codice civile, ci si rende conto dell’importanza dei poteri di vigilanza riservati al collegio sindacale. Tra i compiti di “vigilanza” vi sarebbe anche la preservazione del patrimonio sociale rispetto ai comportamenti distrattivi dell’organo gestorio.
La violazione degli obblighi iscritti in capo ai sindaci è fonte di responsabilità risarcitoria, in quanto il danno non si sarebbe prodotto se i sindaci avessero vigilato e agito in conformità agli obblighi istituiti in relazione alla carica ricoperta.
Al di là degli aspetti civilistici, non di poco conto, è interessante comprendere i motivi per i quali la Corte rigetta il ricorso in tema di dolo. Seppur vere e costatate dalle scritture contabili le condotte manipolatorie precedenti al fallimento, nessuno si era mai posto il problema di verificare crediti e debiti ivi iscritti. La società è venuta meno agli obblighi tributari nel corso degli anni in cui viene sottolineata la condotta illecita del sindaco, gli amministratori avevano alienato un ramo d’azienda, falsificato i bilanci e distratto risorse sociali per scopi personali[6]. Seppur vero che l’insieme di queste condotte è illegale, ciò non può essere preso in considerazione dall’organo giudicante per comprendere l’elemento soggettivo del soggetto gravato da obblighi di garanzia: I singoli atti, a detta dei giudici della Corte di Cassazione, connotano i “segnali d’allarme”[7] che avrebbero avvisato l’organo di controllo al fine di attivarsi per porre rimedio. Inoltre, era proprio l’imputato a tenere le scritture contabili, di conseguenza per primo si sarebbe dovuto rendere conto della condotta illecita del Consiglio d’amministrazione[8].
In sintesi, per concludere, le motivazioni addotte per formulare la responsabilità dell’imputato non sono manifestamente illogiche[9]. Le circostanze esterne sono espressioni palese di “atteggiamenti psichici” che hanno causato difficoltà, non di poco valore, nella sfera privata – nonchè familiare – dell’imputato.
La Corte non ammette il ricorso ma condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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[1]Art. 40 c.p.: nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.
[2]Legge delega 155/2017.
[3]AMBROSETTI, MEZZETTI, RONCO, Diritto penale dell’impresa., Bologna, 2016
[4]MUSCO, ARDITO, Diritto penale fallimentare., Bologna, 2018
[5]MOCCIA, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali., Napoli, 1988
[6]BERTOLETTI, Poteri e responsabilità nella gestione di società in crisi. Allerta, autofallimento e bancarotta, Torino, 2018
[7]AMBROSETTI, MEZZETTI, RONCO, Diritto penale dell’impresa., Bologna, 2016
[8]RUSSOTTO, Codice della crisi d’impresa e legge fallimentare. Confronto normativo., Rimini 2019.
[9]LONGOBARDO, L’infedeltà patrimoniale., Napoli, 2013.
Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell’area Fashion Law e vice responsabile dell’area di Diritto Penale di Ius in itinere.
Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l’Università degli Studi del Sannio.
Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo “Mass Media e criminalità” seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società.
Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d’Impresa presso l’Università degli Studi di Padova – sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell’economia, con una tesi dal titolo “Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa”, sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell’economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l’Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All’età di 27 anni consegue l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia.
Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing.
Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky.
Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall’Università degli Studi di Firenze.
Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza.
Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere.
email: mariaelena.orlandini@iusinitinere.it