giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

Cass. pen., sez. I, 22 luglio 2020, n. 21963

commento breve a cura di Rossella Giuliano

La Corte di Cassazione, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale consolidatosi in sede di legittimità, ha affermato che ai fini dell’estinzione della pena per decorso del tempo, in ipotesi di sospensione dell’esecuzione disposta dal Pubblico ministero per consentire al condannato di presentare istanza di concessione di una misura alternativa alla detenzione ai sensi dell’art. 656, 5° comma, c.p.p., il termine prescrizionale decorre dalla data nella quale la sentenza di condanna è divenuta irrevocabile a norma dell’art. 172, 4° comma, c.p. e non da quella in cui è stato emesso il provvedimento di revoca della sospensione: l’istituto della sospensione dell’esecuzione della pena infatti, applicabile soltanto in caso di condanna eseguibile, non ha incidenza sull’andamento della prescrizione, non configurando una causa di sospensione del relativo termine.

La Suprema Corte è pervenuta alla medesima conclusione anche con riguardo all’ipotesi della sottrazione volontaria alla principiata esecuzione della pena, contemplata dalla seconda parte dell’art. 172, 4° comma, cit.: più precisamente, affinché il dies a quo possa coincidere con il giorno in cui il condannato si è volontariamente sottratto all’esecuzione della pena, non è sufficiente che l’ordine di carcerazione sia stato emesso e che questo sia rimasto ineseguito per volontà dello stesso condannato, ma è necessario che l’esecuzione della pena detentiva sia di fatto già iniziata, con la conseguenza che nel computo del tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna non rileva l’inattività degli organi dell’esecuzione.

Si tratta, del resto, di un principio di civiltà giuridica che discende dall’esigenza di fissare un termine certo per l’eseguibilità della pena restrittiva della libertà personale diversa da quella perpetua, poiché altrimenti il condannato sarebbe assoggettato sine die alla pretesa punitiva dello Stato, anche quando questo, attraverso gli organi preposti all’esecuzione, abbia di fatto manifestato il disinteresse ovvero l’incapacità di eseguire la pena: compete infatti agli organi che devono curare l’esecuzione della pena inflitta (precipuamente al Pubblico ministero) di assumere le iniziative idonee all’individuazione ed alla sottoposizione del condannato all’autorità statuale, tra le quali emergono le ricerche in campo internazionale, la richiesta di estradizione ed il Mandato di arresto europeo (MAE); non può dunque volgersi in danno del condannato il tempo impiegato dalle autorità pubbliche per l’adempimento dei compiti ad esse conferiti dalla legge.

 

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 – 22 luglio 2020, n. 21963
Presidente Mazzei – Relatore Aprile

Ritenuto in fatto

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’opposizione proposta nell’interesse di E.M.S. avverso l’ordinanza emessa dallo stesso giudice dell’esecuzione in data 14 febbraio 2019 con la quale era stata rigettata la richiesta di estinzione per prescrizione ex art. 172 c.p.p., della pena di mesi 3 e giorni 17 di reclusione (residuo della pena di mesi 10 di reclusione, detratti gg. 12 di custodia cautelare per tale causa nonché mesi 6 e giorni 17 di reclusione per fungibilità ex art. 657 c.p.p.), inflitta con la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 23 settembre 2008, irrevocabile il 18 novembre 2008.
2. Ricorre E.M.S. , a mezzo del difensore avv. Luciano Bertoluzza, che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando la violazione di legge perché non può essere considerata, ai fini della sospensione del termine di prescrizione della pena inflitta, la sospensione dell’ordine di carcerazione disposta dal Pubblico ministero ai sensi dell’art. 656 c.p.p., in attesa della decisione del Tribunale di sorveglianza.
3. Fissata la trattazione del ricorso per l’udienza del 18/3/2020, il procedimento veniva rinviato ex lege in forza del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, e successivi. In forza dei provvedimenti emessi a norma del D.L. n. 18 del 2020, art. 83, commi 6 e 7, e successivi, il ricorso veniva quindi fissato per l’odierna udienza, con regolare avviso alle parti, nel rispetto del termine di legge tenuto conto dei sopra richiamati provvedimenti di fissazione.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.
1.1. Il giudice dell’esecuzione ha premesso che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza (18/11/2008), il Pubblico ministero aveva emesso in data 16/9/2010 l’ordine di carcerazione con contestuale sospensione, al quale aveva fatto seguito l’istanza di misure alternative presentata dal condannato in data 7/10/2011. Il Tribunale di sorveglianza aveva, poi, deciso in data 27/7/2017 per l’inammissibilità e il rigetto delle istanze, sicché il Pubblico ministero aveva, previa revoca della sospensione precedentemente disposta, emesso l’ordine di carcerazione in data 3/8/2017, rimasto non eseguito.
1.2. Il giudice dell’esecuzione ha quindi respinto la richiesta avanzata dal condannato, decorsi d’est anni dal passaggio in giudicato della sentenza, volta a ottenere la declaratoria di estinzione della pena; il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che la sospensione dell’esecuzione, disposta dal Pubblico ministero ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, in attesa della decisione da parte del Tribunale di sorveglianza, impedisce, fino a tale data, il decorso del termine di cui all’art. 172 c.p., richiamando un precedente di questa Corte di legittimità (Sez. 1, n. 9854 del 16/01/2007, Corio, Rv. 236289).
2. Ciò premesso, l’interpretazione della legge seguita dal giudice dell’esecuzione non può essere condivisa.
2.1. La giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata, nonostante il remoto dissonante pronunciamento citato dal giudice dell’esecuzione (Sez. 1, n. 9854 del 16/01/2007, Corio, Rv. 236289), ad affermare che “ai fini dell’estinzione della pena per decorso del tempo, nel caso di sospensione dell’esecuzione disposta dal Pubblico ministero ai sensi dell’art. 656 c.p.p., comma 5, il termine di prescrizione decorre dalla data di irrevocabilità della condanna, ai sensi dell’art. 172 c.p., comma 4, e non da quella del provvedimento di revoca della sospensione” (Sez. 1, n. 49747 del 26/06/2018, PMT c/Kaja Saymir, Rv. 274536; conformi: Sez. 6, n. 21627 del 29/04/2014, Antoszek, Rv. 259700; Sez. 1, n. 31196 del 17/06/2004, Giorgetta, Rv. 229286).
Nell’affermare tale principio, la Corte ha osservato che l’istituto della sospensione dell’esecuzione della pena, in quanto applicabile solo nel caso di condanna eseguibile, è estraneo alla ratio dell’art. 172 c.p., comma 5, che disciplina i casi di condanna non eseguibile per la pendenza di un termine o di una condizione; nè lo stesso configura alcuna causa di sospensione del predetto termine prescrizionale.
Del resto, anche la sentenza SU Maiorella (cfr. Sez. U, n. 2 del 30/10/2014 dep. 2015, Maiorella, Rv. 261399), nell’affrontare la questione della prescrizione della pena in relazione all’indulto (pag. 13), ha escluso che la sospensione dell’esecuzione ex art. 656 c.p.p. abbia influenza sul diverso termine di prescrizione della pena.
3. La giurisprudenza di legittimità è, del resto, stabilmente orientata ad affermare che “in tema di estinzione della pena per decorso del tempo, perché si possa fare riferimento, come dies a quo, al giorno in cui il condannato si è sottratto volontariamente all’esecuzione della pena, non è sufficiente che il provvedimento di carcerazione sia stato emesso e sia rimasto ineseguito per volontà dello stesso condannato, ma è necessario che l’esecuzione della pena sia di fatto già iniziata, in mancanza di che il termine iniziale non può che decorrere dal giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile” (Sez. 1, n. 4060 del 10/06/1997, Gallo, Rv. 207956; nello stesso senso: Sez. 5, n. 32021 del 14/04/2003, PM in proc. Costanzo, Rv. 226501), così dovendosi computare il tempo trascorso dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna, senza che abbia rilievo la (in) attività degli organi dell’esecuzione e l’eventuale irreperibilità o latitanza derivanti cioè dal comportamento del condannato.
Il principio è stato ribadito anche in riferimento all’estradizione; si è chiarito che “in tema di estinzione della pena per decorso del tempo, il dies a quo, ai sensi dell’art. 172 c.p., comma 4, si individua nel giorno in cui la sentenza è divenuta irrevocabile o in quello in cui il condannato si è volontariamente sottratto alla sua esecuzione, se già iniziata, mentre le cause di sospensione di tale termine, di cui al comma 5 del predetto art. 172, sono esclusivamente quelle riferite alla sentenza di condanna e non invece quelle riferibili all’attività posta in essere dagli organi deputati all’esecuzione” (Sez. 6, n. 21627 del 29/04/2014, Antoszek, Rv. 259700).
3.1. Si tratta, del resto, di un principio di civiltà giuridica che discende dalla necessità di porre un termine certo alla possibilità di eseguire la pena detentiva, diversa da quella perpetua, perché, altrimenti, il condannato sarebbe indefinitamente soggetto alla pretesa punitiva dello Stato anche quando questo, per mezzo degli organi preposti all’esecuzione, abbia di fatto manifestato il proprio disinteresse ovvero l’incapacità di eseguire la pena.
Compete, infatti, agli organi che devono curare l’esecuzione della pena – in primis il Pubblico ministero ex art. 655 c.p.p. – di assumere le iniziative (tra cui spiccano per importanza le ricerche in campo internazionale, la richiesta di estradizione e il mandato di arresto Europeo) che si palesino opportune per individuare il condannato e, quindi, sottoporlo all’autorità dello Stato, sicché non può tornare a danno del condannato il tempo impiegato dalle autorità pubbliche per portare a compimento il compito loro affidato dalla legge.
3.2. Analogamente, come si è visto al paragrafo n. 2., non può essere addebitato al condannato il tempo impiegato dal Tribunale di sorveglianza per valutare l’istanza di misura alternativa che è stata avanzata a seguito dell’ordine di carcerazione – con contestuale sospensione – emesso dal Pubblico ministero a norma dell’art. 656 c.p.p., comma 5.
4. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al giudice dell’esecuzione perché proceda a nuovo giudizio, attenendosi ai sopra richiamati principi di diritto e verificando l’eventuale ricorrenza delle cause ostative di cui all’art. 172 c.p., comma 7, accertamento cui non può procedere questa Corte di legittimità.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Bologna.

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