venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Cass. pen., sez. II, 18 settembre 2020, n. 26225

breve commento a cura di Rossella Giuliano

In tema d’illecita occupazione di un immobile altrui, prevista e punita dall’art. 633 c.p., la scriminante dello stato di necessità di cui all’art. 54 c.p. (ai sensi del quale non è punibile colui che abbia commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale, non volontariamente causato, né altrimenti evitabile di un danno grave alla persona, purché il fatto sia proporzionato al pericolo) può essere invocata solo in presenza di un pericolo imminente: l’ordinamento giuridico, nelle ipotesi d’indigenza permanente non connotata da prossimità, non può legittimare una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia.

Più precisamente, dall’esplicito riferimento all’attualità del pericolo nel dettato dell’art. 54 consegue che nel momento in cui il soggetto agisce contra ius, al fine di scongiurare un danno grave alla persona, il pericolo dev’essere individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio.

Per converso, è escluso il carattere attuale del pericolo ogniqualvolta sussistano situazioni non contingenti, caratterizzate da una sorta di cronicità, come tali destinate a durare nel tempo; quella in materia di stato di necessità è una norma di natura eccezionale, da interpretare in senso stretto, il cui significato e la cui ratio sarebbero inesorabilmente alterati qualora in essa fosse sussunta la generica esigenza di una soluzione abitativa, giacché si opererebbe un’inammissibile sostituzione del requisito dell’attualità del pericolo con quello della permanenza.

Presidente Diotallevi – Relatore Pacilli

Ritenuto in fatto

Con sentenza dell’8 luglio 2019 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa l’8 gennaio 2018 dal Tribunale della stessa città, con cui – per ciò che rileva in questa sede – CA. LO. e DE NI. GI. TI. sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorsi per cassazione il difensore degli imputati CA. LO. e DE NI. GI. TI., che ha dedotto i seguenti motivi:
1) vizio della motivazione, per avere la Corte territoriale dato risposta solo apparente allo specifico motivo di gravame relativo alla scriminante dello stato di necessità, senza soffermarsi sulle deduzioni difensive e sulla valutazione concreta delle posizioni degli imputati;
2) vizio di motivazione, per non essere stato applicato l’art. 131 bis c.p. con argomentazioni che escluderebbero in radice la configurabilità dell’esimente speciale nell’ipotesi del reato di cui agli artt. 633 e 639 bis c.p. e in contraddizione rispetto a quelle del giudice di primo grado, che aveva valorizzato le complete ammissioni degli imputati, le condizioni di marginalità sociale, le accertate difficoltà economiche e la protrazione dell’occupazione per un tempo significativo.
All’odierna udienza pubblica è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, la parte presente ha concluso come da epigrafe e questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in pubblica udienza.

Considerato in diritto

1. I ricorsi sono inammissibili, perché fondati su motivi privi di specificità.
1.1 Riguardo alle censure concernenti il mancato riconoscimento della scriminante dello stato di necessità, deve rilevarsi che la Corte distrettuale ha disatteso la relativa istanza, avendo ritenuto inesistente il pericolo di danno grave alla persona.
In tal modo il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati in sede di legittimità (Sez. 2, n. 28067 del 26/3/2015, Rv. 264560), secondo cui l’illecita occupazione di un immobile è scriminata dallo stato di necessità solo in presenza di un pericolo imminente di danno grave alla persona, non potendosi legittimare – nelle ipotesi di difficoltà economica permanente, ma non connotata dal predetto pericolo – una surrettizia soluzione delle esigenze abitative dell’occupante e della sua famiglia.
Si è ritenuto, in particolare, che il dettato dell’art. 54 c.p., che presuppone l’attualità del pericolo, richiede che, nel momento in cui l’agente agisce contra ius – al fine di evitare “un danno grave alla persona” – il pericolo sia imminente e, quindi, individuato e circoscritto nel tempo e nello spazio. “Non può infatti parlarsi di attualità del pericolo in tutte quelle situazioni non contingenti, caratterizzate da una sorta di cronicità, essendo destinate a protrarsi nel tempo, quale appunto l’esigenza di una soluzione abitativa. Infatti, ove, nelle suddette situazioni, si ritenesse la configurabilità dello stato di necessità, si effettuerebbe una torsione interpretativa del dettato legislativo in quanto si opererebbe una inammissibile sostituzione del requisito dell’attualità del pericolo con quello della permanenza, alterando così il significato e la ratio della norma che, essendo di natura eccezionale, necessariamente va interpretata in senso stretto” (Sez. 2, n. 19147 del 16.4.2013, Rv. 255412).
1.2 Riguardo al secondo motivo, deve evidenziarsi che la Corte d’appello non ha riconosciuto la causa di esclusione della punibilità, considerate la violenza, con cui era avvenuto l’ingresso in casa, e “l’ammissione solo molto parziale dei fatti”, oltre alla protrazione a lungo del fatto.
Questa Corte (Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Rv. 266590) ha già avuto modo di affermare che, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo.
Il Giudice, accertato il reato, deve motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena.
A tali coordinate ermeneutiche si è correttamente conformato il giudice d’appello.
2. La declaratoria di inammissibilità totale dei ricorsi comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché – apparendo evidente che i medesimi hanno proposto i ricorsi determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto dell’entità di detta colpa – al versamento della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Lascia un commento