La massima.
“Con riferimento al reato di violenza sessuale, ex art. 609-bis c.p. qualora la condotta dell’imputato sia intenzionale, è ovvio che sussista l’elemento soggettivo e che nessun rilievo può riconoscersi alla cecità dello stesso”. (Cass. pen., sez. III, 09.02.21, n. 5043).
Il caso.
La pronuncia in esame origina dal ricorso presentato dal difensore dell’imputato contro la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Torino la quale aveva confermato la decisione emessa dal Tribunale di primo grado che aveva ritenuto sussistente la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 609-bis c.p.. Nell’unico motivo di gravame veniva dedotta l’erronea applicazione dell’art. 609-bis c.p. ed il vizio di mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla prova dell’elemento soggettivo del reato.
La motivazione.
In via preliminare la Corte di Cassazione afferma che il ricorso è caratterizzato da genericità richiamando la propria giurisprudenza sul punto (Cass. pen., sez. VI, 11.03.09, n. 20377), secondo la quale si devono considerare non specifici, ma soltanto apparenti, quando omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso sicché è inammissibile il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato.
Inoltre il controllo di legittimità consentito sulla motivazione non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo sorreggono, che il discorso giustificativo sia effettivo e non meramente apparente e che nella motivazione non siano riscontrabili contraddizioni, né illogicità evidenti.
Quanto alla illogicità della motivazione la Corte afferma che: “la menzionata disposizione vuole peraltro che essa sia manifesta, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, restando ininfluenti le minime incongruenze e dovendosi considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, appaiano logicamente incompatibili con la decisione adottata”.
Per quanto attiene poi alla condizione fisica dell’imputato, ed in particolare alla dedotta cecità, lo stesso consulente tecnico della difesa aveva escluso che il trattamento delle cefalee richieda contatti con le zone genitali o il seno.
La Suprema Corte ritiene che: “tale valutazione di merito all’evidenza esclude, implicitamente ma inequivocabilmente, che la cecità dell’imputato possa aver avuto un qualsivoglia rilievo nella condotta contestata, stante la chiara intenzionalità della stessa, sicché nessun vizio di carenza di motivazione è al proposito ravvisabile. Se dunque la condotta è intenzionale è ovvio che sussiste l’elemento soggettivo e che nessun rilievo può riconoscersi alla cecità dell’imputato”.
Conseguentemente la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Nato a Treviso, dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia.
Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studio.
Ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia; ha inoltre effettuato un tirocinio di sei mesi presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia in qualità di assistente volontario.
Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia ed è attualmente iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia.
Da gennaio a settembre 2021 ha esercitato la professione di avvocato presso lo studio legale associato BM&A; attualmente è associate dell’area penale e tributaria presso lo studio legale MDA di Venezia.
Da gennaio 2022 è Cultore di materia di Diritto Penale 1 e 2 presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. E. Amati).
È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici” e membro della Commissione per la formazione e la promozione dei giovani avvocati; è altresì socio AIGA – sede di Venezia e di AITRA giovani.
Email di contatto: francescomartin.fm@gmail.com