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Cass. Pen., sez. III, 17 luglio 2018, n. 32912

Penale Sent. Sez. 3 Num. 32912 Anno 2018
Presidente: RAMACCI LUCA
Relatore: GENTILI ANDREA
Data Udienza: 16/03/2018

Sentenza

sul ricorso proposto da:

GLIONNA Roberto, nato a Torino il 15 aprile 1977;

avverso la ordinanza n. 22/17 RMCR del Tribunale di Matera del 25 ottobre 2017;

letti gli atti di causa, la ordinanza impugnata e il ricorso introduttivo;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Andrea GENTILI;

sentito il PM, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Sante SPINACI, il
quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; sentito, altresì, per il ricorrente, in sostituzione dell’avv. Nicola CEA, del foro di Matera, l’avv. Carlo IZZO, del foro di Roma, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 25 ottobre 2017, il Tribunale di Matera, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari reali, ha rigettato la richiesta di riesame del provvedimento di sequestro probatorio disposto in data 5 ottobre 2017 di iniziativa della Pg e successivamente convalidato dal Pm in data 6 ottobre 2017 avente ad oggetto delle attrezzature informatiche, compresi hard disk e pc, e n. 9 programmi informatici, installati sulla predette attrezzature sebbene privi di licenza, in uso presso la Studio Energy Srl.

Il Tribunale, nel dare atto che i motivi di riesame avevano ad oggetto la mancata specificazione della condotta illecita, la insussistenza del reato, trattandosi al massimo di abusiva duplicazione di programmi e non di illecita detenzione di programmi contenuti su supporti privi di contrassegno nonché, infine, la violazione del principio di proporzionalità fra misura e fatto addebitato, ha rilevato che il decreto di convalida era sufficientemente motivato sia in punto di configurabilità della fattispecie richiamata sia in relazione alle finalità probatorie perseguite.

Sicché ha rigettato il ricorso.

Avverso il predetto provvedimento ha interposto ricorso per cassazione Glionna Roberto, in qualità di legale rappresentante della società sopra citata, articolando, quali motivi di impugnazione, la carenza di motivazione in ordine alla risposta offerta dal Tribunale relativamente alla censura avente ad oggetto la mancata specificazione della condotta illecita riguardo alla quale è stato disposto il sequestro; tale condotta sarebbe, infatti, descritta esclusivamente attraverso la indicazione delle disposizioni legislative che si assumono violate e non attraverso la indicazione delle condotte tenute. Il ricorrente ha, altresì, censurato la ordinanza impugnata in relazione alla carenza di motivazione relativamente alla dedotta carenza del fumus commissi delicti.

Infine ha dedotto, sempre sotto il profilo della carenza di motivazione, la
valutazione offerta in relazione alla eccepita mancanza di proporzionalità fra la misura e il reato in provvisoria contestazione.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto, con il conseguente annullamento della ordinanza impugnata.

Va al riguardo ribadito che parte ricorrente ha formulato tre motivi di impugnazione dei quali i primi due, in quanto strettamente connessi ed ambedue relativi al vizio di motivazione in ordine alla risposta data dal Tribunale del riesame alle censure riguardanti la carenza del fumus commissi delicti, possono essere congiuntamente esaminati ed unitariamente valutati.

Sul punto si ricorda che, stante la natura cautelare del provvedimento emesso – si tratta come dianzi rilevato di un sequestro probatorio disposto d’iniziativa dalla polizia giudiziaria e, successivamente, convalidato dal Pm – esso presuppone, per la sua adozione/la astratta configurabilità di una ipotesi di reato in relazione alla quale i beni sottoposti alla misura, in quanto in rapporto diretto ed immediato con l’azione delittuosa (laddove il sequestro ricada sul “corpo del reato”) ovvero in rapporto indiretto con essa (ove la misura concerna le “cose pertinenti al reato”), si pongono come strumentali ai fini dello svolgimento delle indagini dirette: all’accertamento dei fatti, ovvero alla dimostrazione del reato, delle sue modalità di preparazione ed esecuzione; alla conservazione delle tracce; all’identificazione del colpevole; all’accertamento del movente; alla determinazione dell’ante factum e del post factum comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all’iter criminis (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 26 gennaio 2011, n. 2622).

Compete, pertanto, all’autorità giudiziaria, in sede di adozione ovvero di convalida, nonché di conferma in caso di impugnazione, di un provvedimento cautelare del tipo di quello ora in esame un duplice ordine di valutazioni aventi ad oggetto, da un lato, l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, valutando la enucleabilità dal compendio informativo in atti, tenuto conto della congruità a tal fine degli elementi rappresentati, del fumus commissi delicti sebbene ciò non già nella prospettiva di un giudizio di merito sulla concreta fondatezza dell’accusa, bensì con esclusivo riferimento alla idoneità degli elementi, su cui si fonda la notizia di reato, a rendere utile l’espletamento di ulteriori indagini per acquisire prove certe o ulteriori del fatto (Corte di cassazione, Sezione II penale, 17 giugno 2016, n. 25320).

Ulteriore valutazione, per altro verso, riguarderà la necessità della acquisizione delle res in sequestro ai fini dell’accertamento del fatto illecito in provvisoria contestazione (Corte di cassazione, Sezione V penale, 30 novembre 2017, n. 54018).

Tale onere probatorio sarà, peraltro, assolto, ove si tratti di cose che si assumono essere “corpo del reato” attraverso la semplice indicazione della sussistenza di un rapporto di immediatezza fra queste e l’ipotesi di reato interessata dalle indagini penali, purché di quest’ultima siano tuttavia, descritti gli estremi essenziali di tempo, di luogo e di azione in modo da dar conto della relazione di immediatezza descritta nell’art. 253 cod. proc. pen. fra la cosa oggetto di sequestro e l’illecito penale (Corte di cassazione, Sezione II penale, 21 dicembre 2015, n. 50175), mentre, ove si tratti di “cose pertinenti al reato”, siffatto onere sarà più stringente, in quanto la soddisfazione di esso transiterà attraverso la dimostrazione, sia pure nei limiti delle esigenze probatorie proprie della fase cautelare del giudizio, non solo del rapporto di strumentalità fra esse ed il reato presupposto, ma anche della esistenza della loro necessità in funzione dell’accertamento dei fatti (sul diverso atteggiarsi dell’onere motivazionale in caso di sequestro probatorio avente ad oggetto il corpo del reato ovvero le cose pertinenti al reato cfr.: Corte di cassazione, Sezione II penale 7 dicembre 2016, n. 52259; idem Sezione III penale, 30 ottobre 2001, n. 38851).

Ciò posto dal punto di vista sistematico, osserva il Collegio, quanto al caso sottoposto all’odierno esame della Corte, dovendo ritenersi che i beni in sequestro costituiscano corpo del reato, che non vi è necessità di una specifica motivazione in ordine alla funzionalità del loro sequestro allo svolgimento di ulteriori indagini o, comunque, alla acquisizione agli atti del procedimento della prova dell’illecito in ipotesi commesso, atteso che gli stessi, costituendo la materiale res la cui illecita acquisizione e detenzione integrerebbe gli estremi del reato in provvisoria contestazione ovvero ne consentirebbero la fruizione, appaiono connotati da quella ontologica ed immanente funzione probatoria di immediata percepibilità, la quale consente, onde dimostrare la necessità istruttoria della loro acquisizione, l’uso di formule motivazionali strettamente sintetiche (cfr., fra le altre, Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 marzo 2017, n. 11935; idem Sezione III penale, 11 gennaio 2017, n. 1145; la tematica in questione è stata, in particolare, esaminata ed approfondita con riferimento al sequestro probatorio del danaro – bene che, stante la sua naturale fungibilità, non è, in sé considerato, particolarmente eloquente dal punto di vista probatorio – in ordine al quale si vedano: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 11 maggio 2017, n. 23046: idem Sezione VI penale, 3 maggio 2017, n. 21122). Doverosa è, viceversa, in ogni caso la adeguata motivazione in relazione alla sussistenza del fumus del reato in questione (individuato dal Tribunale del riesame nella violazione dell’art. 171-bis della legge n. 633 del 1941), tanto più ove si consideri come sul punto questa Corte si sia pronunziata osservando che, in relazione all’utilizzo, in contrasto con la normativa in materia di tutela del diritto d’autore, di programmi informatici installati su elaboratori elettronici la illiceità penale sussiste solo in caso o di abusiva duplicazione, per trarne profitto, di programmi per elaboratore ovvero in caso di importazione, distribuzione, vendita, detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale (e quindi non anche nello svolgimento di un’attività libero professionale) o, infine, di concessione in locazione non già di programmi abusivamente duplicati ma esclusivamente di programmi contenuti in supporti non contrassegnati dalla Siae.

Siffatta disciplina, non suscettibile di un’interpretazione tale da comportare, in via analogica, un’inammissibile dilatazione delle fattispecie penalmente rilevanti, deve essere intesa nel senso della irrilevanza penale della mera detenzione, laddove non si sia concorso nella loro illecita duplicazione, di programmi informatici per elaboratori elettronici nel caso in cui gli stessi – sempre che siano funzionali allo svolgimento di un’attività commerciale od imprenditoriale e, quindi, non esclusivamente libero professionale – non siano materialmente presenti su supporti fisici privi del contrassegno della Siae (Corte di cassazione, Sezione III penale, 22 dicembre
2009, n. 49385).

La assenza di verifiche da parte del Tribunale di Matera in ordine a tali profili della vicenda, pur sollevati di fronte a detto organo giudiziario, come emerge dalla sintesi dei motivi di censura dedotti in sede di riesame dalla difesa del ricorrente, laddove si legge che gli stessi avevano riguardato, fra l’altro, la non ravvisabilità del reato in quanto “la norma persegue la detenzione di programmi contenuti su supporti privi del contrassegno Siae”, giustifica l’accoglimento del ricorso, con assorbimento del secondo motivo di impugnazione, e, pertanto, l’annullamento della ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Matera che, in diversa composizione personale, rivaluterà, alla luce dei principi esposti e nei soli limiti necessari ai fini della presente fase cautelare del giudizio, la sussistenza o meno, quanto al caso di specie, del fumus commissi delicti in provvisoria contestazione.

P.Q.M

Annulla la ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Matera.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2018

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