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Cass. Pen., Sez. VI, 1 ottobre 2018, n. 43287

 

«Ai fini della configurabilità della responsabilità dell’extraneus per concorso nel reato proprio (nel caso di specie, nel reato di abuso di ufficio), è indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l’intraneus esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per la eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità.»

 

Pres. Petruzzellis
Est. Vigna

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecce in data 9 febbraio 2015 che condannava O.G. , O.R. (quali concorrenti morali estranei determinatori dell’altrui condotta criminosa) e S.A.M. (quale incaricato di pubblico servizio esecutore materiale della condotta criminosa), alla pena di mesi sei di reclusione per il reato di concorso in abuso d’ufficio.

1.1. In particolare:

– O.G. richiedeva il permesso a costruire per un progetto per l’ampliamento di volumi esistenti e realizzazione di due nuove strutture da destinarsi a turismo rurale in agro di (…), essendo priva dei requisiti soggettivi per farlo (non essendo iscritta all’albo regionale degli operatori agrituristici, non possedendo i requisiti di imprenditrice agricola, non avendo presentato il piano di utilizzazione aziendale, non avendo una disponibilità certa e duratura dei terreni, non avendo mezzi di produzione agricola né manodopera) e trattandosi comunque di un intervento in violazione della normativa urbanistica;

– O.R. , quale tecnico incaricato dalla proprietà redigeva la progettazione allegata alla domanda che, nella descrizione dell’intervento, celava la realizzazione dei due nuovi manufatti che pure erano ben rappresentati sugli elaborati grafici e descritti nella relazione tecnica oltre ad essere menzionati nella domanda del permesso a costruire;

– S.A.M. , quale responsabile del procedimento del Comune rilasciava il 20 ottobre 2011 l’autorizzazione paesaggistica n. 8/2011 all’intervento sulla base di un progetto che prevedeva un intervento edilizio sostanzialmente diverso da quello per il quale era stato richiesto e poi rilasciato il permesso a costruire, attestando inoltre falsamente che l’intervento ricadeva in un’area non sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004.

Gli imputati così concorrevano a procurare a O.G. un ingiusto vantaggio patrimoniale costituito dal rilascio del permesso a costruire numero 67 del 25 ottobre 2011, indebitamente rilasciato in quanto illecito per contrarietà a norme di legge dal pubblico ufficiale Sa.Gi. .

2. Avverso la sentenza ricorre per cassazione S.A.M. , a mezzo del difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi:

2.1. Erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 323 cod. pen. per mancata indicazione della norma di legge violata.

La Commissione locale per il paesaggio emanava inizialmente un parere sfavorevole al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica sulla scorta di rilievi critici sotto il profilo paesaggistico; la O. rimodulava -proprio sulla scorta di tali rilievi – l’intervento proposto; la Commissione riteneva quindi superati gli impedimenti e adottava parere favorevole; sulla scorta di ciò l’imputato, nei termini previsti per legge, rilasciava l’autorizzazione paesaggistica.

2.2. Manifesta illogicità della motivazione poiché l’assenza di vincoli alla quale fa riferimento l’imputato in sede di trasmissione della pratica alla Sovraintendenza riguardava pacificamente quelli ulteriori previsti dalla legge Galasso, che appunto non erano sussistenti.

2.3. Erronea applicazione della legge regionale Puglia n. 20/2009.

Si contesta all’imputato di non essersi discostato dal parere favorevole della Commissione per il paesaggio, rilasciando conseguentemente la autorizzazione paesaggistica, pur avendo egli piena contezza, per averlo precedentemente esaminato (nella veste di responsabile del procedimento urbanistico), delle asserite molteplici problematiche di natura urbanistica che l’intervento edilizio presentava.

S. , nella precedente veste di istruttore urbanistico, aveva espresso in data 23 agosto 2010 parere sfavorevole alla pratica edilizia limitandosi ad evidenziare: 1) il contrasto con le norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, relativamente alla superficie fondiaria minima; 2) la mancanza di iscrizione all’albo regionale degli operatori agrituristici; 3) la mancanza dei requisiti di imprenditore agricolo. Egli non entrò quindi nel merito della valutazione dell’intervento per i profili architettonici, di consistenza metrica o di compatibilità urbanistica.

Nella successiva valutazione in qualità di responsabile del procedimento per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, l’imputato, adeguandosi al parere favorevole della Commissione in applicazione dell’articolo 9 della legge regionale Puglia sopra citata, rilasciava la richiesta autorizzazione ai sensi dell’articolo 146 del decreto legislativo n. 42/2004, attenendosi al solo aspetto paesaggistico, non potendo più entrare nel merito della valutazione urbanistico edilizia di competenza esclusiva di altro organo amministrativo.

2.4. Erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione con riferimento all’articolo 323 comma 1 cod. pen. e dell’art. 9 della legge regionale n. 20/2009. Si contesta all’imputato di essere stato troppo succinto e troppo sollecito nel rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Non vi è, però, alcuna norma di legge che imponga una motivazione articolata; a maggior ragione, nel caso in esame, essendo intervenuto parere favorevole della Commissione del paesaggio. Quanto alla presunta celerità, S. si è limitato a rispettare i modi e i tempi previsti dalla legge.

3. Avverso la sentenza ricorrono, con un unico atto, O.G. e O.R. , a mezzo del difensore di fiducia, deducendo come unico motivo la violazione di legge con riferimento agli articoli 110 e 323 cod. pen., e all’art. 6 e art. 1 prot. 1 CEDU, nonché il vizio di motivazione.

3.1. Nella richiesta di rinvio a giudizio erano individuati come concorrenti nel reato anche il tecnico responsabile del procedimento (Sa.Gi.) e i componenti la Commissione per il paesaggio. Il processo non ha visto la partecipazione degli stessi e per ciò solo il Tribunale avrebbe dovuto procedere ex art. 129 cod. proc. pen. e prosciogliere anche l’extraneus del reato.

3.2. È illogica e irragionevole la motivazione della Corte di appello allorché sostiene che non vi è alcuna norma che preveda la necessaria presenza del pubblico ufficiale nel medesimo processo dell’extraneus poiché non si comprende come sia possibile prosciogliere il pubblico ufficiale autore del reato proprio e condannare il concorrente morale.

3.3. La Corte evidenzia che il giudice di primo grado ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica per eventuali determinazioni in ordine alla posizione di Sa. . È evidente che lo stralcio della posizione processuale di Sa. deve derivare da un provvedimento giurisdizionale. La Corte avrebbe dovuto disporre l’acquisizione degli atti dell’udienza preliminare e/o almeno la richiesta di rinvio a giudizio e il provvedimento del G.u.p..

Per queste ragioni il processo è stato ingiusto iniquo e non imparziale.

3.4. Le ricorrenti nei motivi di appello hanno contestato in toto la sentenza di primo grado e ha quindi errato la Corte sostenendo che la ricostruzione dell’iter amministrativo non sia stata messa in discussione. Proprio per tale motivo era stata richiesta la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.

Non risulta che i giudici territoriali abbiano esaminato i certificati di destinazione urbanistica e verificato il volume esprimibile dai terreni in relazione all’intervento richiesto.

La Corte di appello sostiene che la normativa in materia di agriturismo consente soltanto di intervenire sulle strutture aziendali esistenti, escludendo interventi di nuova costruzione senza indicare però a quale normativa faccia riferimento.

Alla luce di tali considerazioni non è possibile ravvisare in capo alle ricorrenti il dolo intenzionale del reato dell’abuso d’ufficio.

3.5. La Corte territoriale sostiene che l’appello delle ricorrenti fosse sostanzialmente inammissibile perché privo di censure specifiche. In realtà si censurava chiaramente la violazione di legge in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato e la Corte non ha fornito risposta.

Considerato in diritto

1. I ricorsi colgono nel segno e la sentenza deve essere conseguentemente annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Lecce per i motivi di seguito esposti.

2. Mette conto evidenziare che l’integrazione del reato di abuso d’ufficio richiede una duplice distinta valutazione di ingiustizia, sia della condotta (che deve essere connotata da violazione di norme di legge o di regolamento), sia dell’evento di vantaggio patrimoniale (che deve risultare non spettante in base al diritto oggettivo); non è peraltro necessario, ai fini predetti, che l’ingiustizia del vantaggio patrimoniale derivi da una violazione di norme diversa ed autonoma da quella che ha caratterizzato l’illegittimità della condotta, qualora – all’esito della predetta distinta valutazione – l’accrescimento della sfera patrimoniale del privato debba considerarsi contra ius (Sez. 6, n. 11394 del 29/01/2015, Rv. 262793).

2.1. Per quel che inerisce l’elemento psicologico del reato, è nota la linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte, secondo cui, esclusa l’esigenza di un accertamento dell’accordo collusivo con la persona che si intende favorire poiché l’intenzionalità del vantaggio ben può prescindere dalla volontà di favorire specificamente il privato interessato alla singola vicenda amministrativa (Sez. 6, n. 31594 del 19/04/2017, Rv. 270460; Sez. 6, n. 36179 del 15/04/2014, Rv. 260233; Sez. F, n. 38133 del 25/08/2011, Rv. 251088) – la prova del dolo intenzionale che qualifica la fattispecie ben può essere desunta anche da altri elementi, quali, ad esempio, la macroscopica illegittimità dell’atto compiuto (Sez. 3, n. 48475 del 07/11/2013, Rv. 258290; Sez. 6, n. 49554 del 22/10/2003, Rv. 227205), ovvero l’erronea interpretazione di una norma amministrativa, il cui risultato si discosti in termini del tutto irragionevoli dal senso giuridico comune, tanto da apparire frutto di un’arbitraria decisione (Sez. 5, n. 10636 del 12/02/2009, Rv. 243296).

2.2. La Corte di appello, nel caso in esame, non ha fatto corretta applicazione di tale regula iuris ed è incorsa in diversi vizi motivazionali che saranno di seguito esposti.

3. Deve, in particolare, evidenziarsi, quanto a S. , che nella sentenza impugnata non viene indicato chiaramente da quali elementi sia desumibile la sussistenza del dolo intenzionale in capo allo stesso, né si fa riferimento ad alcuna macroscopica illegittimità da lui posta in essere quale R.U.P. paesaggistico.

Il ricorso coglie nel segno nell’evidenziare il vizio motivazionale, per carenza illogicità e contraddittorietà, in cui è incorsa la Corte di appello di Lecce che non ha superato le doglianze difensive che hanno posto in evidenza che risulta che il parere di S. sia intervenuto su un progetto diverso rispetto a quello per cui è stato successivamente concesso il permesso a costruire e che il progetto sottoposto all’autorizzazione paesistica non risulta difforme dalla normativa di settore, mentre l’attestazione della insussistenza di ulteriori vincoli concerne unicamente quelli relativi alla legge Galasso che difatti non risultano contestati.

Il ricorrente, nella veste di istruttore urbanistico, aveva inizialmente espresso parere sfavorevole alla pratica edilizia limitandosi ad evidenziare il difetto di prerequisiti senza entrare nel merito della valutazione dell’intervento per i profili architettonici di consistenza metrica o di compatibilità urbanistica. La Corte territoriale non ha fornito adeguata motivazione in ordine alla rilevanza di tale condotta ai fini della prova del dolo intenzionale.

Del pari la sentenza impugnata non supera i rilievi difensivi in ordine al fatto che l’autorizzazione paesaggistica rilasciata da S. si pone del tutto autonomamente rispetto alla valutazione urbanistica che attiene al rilascio del permesso di costruire (come ribadito dall’art. 9 della legge della Regione Puglia n. 20 del 2009) e che, quindi, il ricorrente, nella successiva valutazione in qualità di Responsabile del procedimento per il rilascio della autorizzazione paesaggistica, non aveva violato alcuna norma di legge non discostandosi dal parere favorevole della Commissione per il paesaggio e non potendo più entrare nel merito della valutazione urbanistico edilizia di competenza di altro organo amministrativo.

Si contesta, infine, all’imputato di essere stato troppo succinto e troppo sollecito nel rilascio dell’autorizzazione paesaggistica. Anche in questo caso i Giudici di merito non hanno adeguatamente confutato le deduzioni difensive che evidenziavano le ragioni per le quali S. aveva potuto evadere velocemente la pratica (in particolare il precedente parere favorevole della Commissione del paesaggio) e che S. si era limitato a rispettare i modi e i tempi previsti dalla legge per il rilascio della autorizzazione paesaggistica.

4. Il ricorso di O.R. e O.G. coglie nel segno laddove denuncia un’ incertezza sulla responsabilità del pubblico ufficiale, concorrente necessario dell’ipotesi delittuosa come contestata.

In particolare, con riferimento a S. già si è detto nel paragrafo precedente; quanto al pubblico ufficio che ha curato la pratica per il rilascio della concessione edilizia, la sentenza non riporta alcun elemento da cui possa trarsi l’affermazione della sua responsabilità a titolo di concorso nel reato di abuso di ufficio per cui si procede.

Deve ricordarsi, sul punto, che, ai fini della configurabilità della responsabilità dell’extraneus per concorso nel reato proprio (nel caso di specie, nel reato di abuso di ufficio), è indispensabile, oltre alla cooperazione materiale ovvero alla determinazione o istigazione alla commissione del reato, che l’intraneus esecutore materiale del reato sia riconosciuto responsabile del reato proprio, indipendentemente dalla sua punibilità in concreto per la eventuale presenza di cause personali di esclusione della responsabilità (Sez. 6, n. 40303 del 08/07/2014, Rv. 260465).

4.1 D’altra parte la sentenza impugnata risulta priva di idonea motivazione per quello che riguarda la ritenuta violazione della disciplina urbanistica che avrebbe impedito il rilascio della concessione; il giudice di rinvio dovrà chiarire in cosa consista detta violazione precisando, altresì, la rilevanza dal punto di vista dell’elemento soggettivo della condotta come contestata alle due imputate.

4.2. Le restanti censure delle ricorrenti devono ritenersi assorbite.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce

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