venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Cass. Pen. SS.UU., 26 febbraio 2021 n. 7578 in tema di violazione dei minimi edittali e riduzione della pena in appello ai sensi dell’art. 442 c.p.p.

“Il giudice di appello, investito dell’impugnazione del solo imputato che, giudicato con il rito abbreviato per reato contravvenzionale, lamenti l’illegittima riduzione della pena ai sensi dell’art. 442 c.p.p. nella misura di un terzo anziché della metà, deve applicare detta diminuente nella misura di legge, pur quando la pena irrogata dal giudice di primo grado non rispetti le previsioni edittali, e sia di favore per l’imputato”.

Il caso.

Il Tribunale di Como, in seguito a giudizio abbreviato, condannava l’imputato alla pena di due mesi di arresto per il reato di cui all’art. 699 c.p., per aver portato fuori dall’abitazione un coltello a serramanico, operando una riduzione della pena di un terzo in ragione del rito abbreviato.

Avverso detta sentenza proponeva appello l’imputato, lamentando l’erronea qualificazione giuridica del fatto, atteso che la condotta sarebbe riconducibile all’art. 4 commi II e III l. 110/1975. L’imputato lamentava inoltre l’erronea riduzione della pena, operata nella misura di un terzo anziché della metà, come stabilito dall’art. 442 c.p.p. per le contravvenzioni.

La Corte d’appello di Milano, in accoglimento del gravame, riqualificava il fatto ai sensi dell’art. 4 l. 110/1975. Tuttavia, il giudice di seconde cure, pur ravvisando la fondatezza del motivo di impugnazione relativo all’erronea diminuzione della pena, non operava alcuna riduzione della stessa. In particolare, si osservava che, nonostante la mancata applicazione della riduzione nella misura della metà per il giudizio abbreviato, la condanna era comunque più favorevole all’imputato rispetto alla sanzione prevista dall’art. 4 l. 110/1975, che prevede un minimo edittale superiore.

Avverso tale statuizione l’imputato proponeva ricorso per cassazione, rilevando che la Corte d’appello avrebbe eluso il disposto che impone al giudice di ridurre la pena per il rito in modo predeterminato a seconda che il reato sia un delitto o una contravvenzione. Inoltre, si sarebbe effettuato una commistione dei motivi, in luogo di procedere a un esame distinto della riqualificazione del reato e successivamente della diminuzione della pena.

La prima Sezione penale, investita del ricorso, ha rilevato un contrasto in giurisprudenza circa la possibilità per il giudice d’appello di applicare la riduzione della metà prevista dall’art. 442 c.p.p. anziché di un terzo quando la pena irrogata non rispetti la cornice edittale e sia favorevole all’imputato.

Secondo un primo orientamento, il trattamento sanzionatorio consistente in una pena inferiore ai limiti edittali, quindi favorevole all’imputato, non può essere ulteriormente ridotto in appello. L’art. 597 co. IV c.p.p. presupporrebbe infatti che la pena su cui operare la riduzione sia stata irrogata nei limiti di legge.

Un secondo orientamento sostiene che l’art. 597 c.p.p. non presuppone la conformità ai limiti edittali della pena irrogata in primo grado. Piuttosto, si esclude il riconoscimento in appello di effetti di ulteriore favore in seguito all’irrogazione in primo grado di una pena illegale vantaggiosa in virtù del principio di intangibilità della pena in assenza dell’impugnazione del pubblico ministero.

La motivazione.

La Corte osserva che i due indirizzi menzionati non si riferiscono in maniera specifica alla questione dell’applicabilità della diminuente del rito abbreviato a una pena illegittimamente determinata in primo grado in senso favorevole all’imputato. L’art. 579 fa infatti esclusivo riferimento all’inderogabilità degli effetti sanzionatori favorevoli derivanti dell’esclusione in appello di reati concorrenti o circostanze aggravanti.

La Corte rileva che occorre piuttosto far riferimento al principio devolutivo di cui al co. I dell’art. 597 c.p.p., in forza del quale la cognizione del giudice d’appello è limitata ai motivi proposti e non può estendersi a punti diversi da quelli toccati dall’impugnazione.

Si è ad esempio escluso in giurisprudenza che il giudice d’appello possa applicare d’ufficio sanzioni sostitutive brevi, non richieste in sede di impugnazione, al di fuori delle ipotesi tassativamente individuate nell’art. 597 co V c.p.p.. Il giudice di seconde cure può quindi conoscere solo dei punti relativi alle componenti del trattamento cui si riferiscono specificamente i motivi di impugnazione.

In riferimento al caso in esame, ne deriva che, una volta riconosciuta la fondatezza del motivo relativo all’illegittima riduzione della pena in misura inferiore a quella prevista per legge, occorre rideterminare la riduzione di pena nella misura corretta. In questo modo, il giudice dell’impugnazione assolve anche il proprio dovere di decidere sulle richieste dell’appellante e pronunciarsi sul tema dedotto.

Il giudice non potrebbe invece compensare la mancata applicazione della riduzione prevista nel codice di rito con la pena irrogata in violazione dei minimi edittali in senso favorevole al reo.

Il giudice d’appello ha quindi errato nell’escludere l’applicazione dell’art. 442 co. II c.p.p., norma che impone una diminuzione obbligatoria pari alla metà delle pene previste per le contravvenzioni per effetto della scelta difensiva del rito abbreviato, senza lasciare margini di discrezionalità circa il quantum della riduzione. Peraltro, occorre precisare che, in applicazione dell’art. 597 co III c.p.p. (divieto di reformatio in pejus), a fronte dell’appello del solo imputato, dopo aver riqualificato il fatto in virtù dell’art. 4 l. 110/1975, il giudice d’appello correttamente non ha riformato in senso sfavorevole la pena irrogata, in applicazione del più elevato minimo edittale.

Scarica la sentenza: 7578_02_2021_ss uu

 

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