martedì, Aprile 16, 2024
Litigo Ergo Sum

Cause ed effetti dell’estinzione del processo civile di primo grado

Tra le vicende anomale che possono colpire il processo, determinandone una chiusura anticipata non satisfattiva, c’è l’estinzione. L’estinzione del processo di primo grado, sia ordinario che del lavoro, è espressione del principio dell’impulso della parte che, oltre ad avere il potere di iniziare un giudizio, ha anche l’onere di coltivarlo nel tempo, pena il venir meno dello stesso. Le cause estintive del processo, disciplinate dagli articoli 306 e 307 cpc, sono la rinuncia agli atti e l’inattività della parti.

La rinuncia agli atti del giudizio, ai sensi dell’art. 306 cpc, si configura quando questa “è accettata dalle parti costituite che potrebbero aver interesse alla prosecuzione”. La rinuncia è sempre posta in essere dall’attore che ha dato impulso al processo, ma può provenire anche dal convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale, con la conseguenza che, se verrà accettata dall’attore, il processo si estinguerà solo relativamente alla causa nata dalla domanda riconvenzionale. La norma parla di “rinuncia agli atti”, non di rinuncia all’azione, dunque non è preclusa la riproposizione della domanda. La rinuncia agli atti, tuttavia, per essere efficace necessita di essere accettata dalle “parti costituite (dunque non è richiesta l’accettazione delle parti contumaci)  che potrebbero avere interesse alla prosecuzione (se il convenuto non si è ancora costituito l’interesse si presume assente)”, ma come si fa a capire se una parte ha interesse alla prosecuzione del processo? In base alle sue difese:

-se il convenuto si è difeso in rito, dimostra di non avere interesse alla prosecuzione del processo fino al merito, perché la chiusura in rito, in caso di accoglimento delle sue difese, o l’estinzione producono effetti equivalenti: in entrambi i casi il convenuto rifonde le spese e si espone a una potenziale riproposizione della domanda;

– se il convenuto si è difeso sia in rito che in merito, dimostra di essere disposto ad accontentarsi di una chiusura in rito del processo che, come abbiamo visto, ha gli stessi effetti dell’estinzione;

– se il convenuto si è difeso nel merito, dimostra di avere interesse alla prosecuzione del processo e, dunque, solo in questo caso il convenuto ha possibilità di scegliere tra l’accettazione della rinuncia e la prosecuzione del processo, valutando le sue chances di vincere o soccombere.

L’art. 306 cpc stabilisce, inoltre, che “l’accettazione non è efficace se contiene riserve o condizioni” e che sia la rinuncia che l’accettazione sono atti personali della parte che possono essere compiuti dal difensore solo se munito di procura speciale.

L’inattività delle parti, ai sensi dell’art. 307 cpc, si configura in diverse ipotesi: al co. 1 è prevista l’estinzione dopo un periodo di quiescenza di tre mesi quando non ci sia stata iscrizione a ruolo per mancata costituzione di entrambe le parti o sia stata ordinata la cancellazione della causa dal ruolo, dopo la costituzione delle parti, per diverse ragioni: ad esempio, la parte che ha ricevuto l’ordine di chiamare in causa un terzo ai sensi dell’art. 107 non lo ha fatto oppure entrambe le parti non si sono presentate a due udienze consecutive. Al co. 2 è prevista l’estinzione immediata se, una volta riassunto il processo, nessuna delle parti si costituisca o se si verifichi nuovamente la cancellazione della causa dal ruolo. Al co. 3 è prevista una altra ipotesi di estinzione immediata per mancato compimento entro il termine perentorio di attività ordinata dal giudice per sanare un vizio come la rinnovazione della citazione, l’integrazione del contraddittorio oppure quando nessuna delle parti riassuma o prosegua un processo interrotto o sospeso.

L’ultimo co. dell’articolo 307 cpc stabilisce che “l’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio”. Con la riforma del 2009, infatti, l’estinzione può essere rilevata anche d’ufficio (e non più solo su eccezione di parte) o dal giudice istruttore con ordinanza, avverso la quale sarà ammesso reclamo davanti al collegio o dal collegio con sentenza impugnabile.

L’art. 310 cpc, invece, si occupa di disciplinare gli effetti dell’estinzione del processo:

-dal co. 1 “l’estinzione del processo non estingue l’azione” si ricava che l’estinzione del processo non determina il venir meno del potere d’azione ex art. 24 cpc, per cui la stessa domanda è riproponibile, sempre che non sia venuto meno il diritto soggettivo, fatto valere con l’azione, per prescrizione. Infatti, la domanda giudiziale produce un duplice effetto interruttivo sulla prescrizione: istantaneo e permanente. Dunque, l’interruzione della prescrizione si determina nel momento in cui è notificato l’atto introduttivo e non inizia a decorrere di nuovo da quello stesso giorno (effetto interruttivo istantaneo), ma dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio (effetto interruttivo permanente), rimanendo interrotto per tutto il corso del processo;

– dal co. 2 “l’estinzione rende inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze di merito pronunciate nel corso del processo e le pronunce che regolano la competenza” si ricava che l’estinzione del processo determina la caducazione di tutti gli atti compiuti, con due eccezioni:  i provvedimenti della Cassazione che regolano giurisdizione e competenza che, in virtù della loro efficacia panprocessuale, determinano una preclusione esterna creando un vincolo a carico del giudice di quel processo e di tutti gli altri processi in cui si riproponga la stessa domanda; e le sentenze di merito, chiaramente non definitive.

Queste ultime possono essere di vari tipi, ma non tutte sopravvivono all’estinzione: si ritiene che sicuramente abbiano efficacia panprocessuale e siano idonee al giudicato le sentenze di merito non definitive su domanda, cioè le sentenze parziali che decidono una delle domande cumulate, in quanto aventi alla base un diritto soggettivo che potrebbe costituire oggetto di un’autonoma domanda; e  le sentenze di condanna generica con o senza provvisionale, con cui il giudice accerta l’esistenza della prestazione senza determinarne il quantum.

Il problema si è posto per le sentenze non definitive su questioni di merito:

le sentenze su questioni preliminari di merito in senso stretto si limitano a risolvere questioni, cioè meri fatti e non accertano un diritto, perciò sarebbero inidonee a passare in giudicato in ragione del loro oggetto (un fatto e non un diritto);

le sentenze su questioni pregiudiziali di merito decise con efficacia di giudicato per effetto di domanda di accertamento incidentale della parte o di previsione di legge ex art. 34 cpc, sarebbero idonee al giudicato e quindi sopravvivrebbero all’estinzione del processo perché, a seguito della domanda di accertamento, la questione si trasformerebbe in causa pregiudiziale e quindi la sentenza solo apparentemente sarebbe su questione, in realtà sarebbe analoga alla sentenza con cui si decide una domanda ab origine;

le sentenze su questioni pregiudiziali di merito da risolvere incidenter tantum, in ragione del loro oggetto sono astrattamente idonee al giudicato, ma concretamente non possono essere decise con efficacia di giudicato se non commettendo una violazione dell’ art. 34 cpc, trasformando una cognizione incidenter tantum in  accertamento con efficacia di giudicato. Dunque, queste sentenze non potrebbero sopravvivere all’estinzione del processo perché concretamente inidonee al giudicato.

– dal co. 3 “le prove raccolte sono valutate dal giudice a norma dell’art. 116 cpc secondo comma” si ricava che le prove raccolte nel processo estinto, in caso di riproposizione della domanda, valgono come argomenti di prova. In realtà, ciò è valido solo per le prove costituende liberamente valutabili e non per quelle precostituite, perché i documenti potranno essere riprodotti ed avranno la stessa efficacia probatoria. Le prove legali, invece, non sembrerebbero subire la stessa capitis deminutio, ma conserverebbero il loro valore.

-dal co. 4 “le spese del processo estinto stanno a carico delle parti che le hanno anticipate” si ricava che in caso di estinzione del processo per inattività, non si applica il criterio della soccombenza (perché non c’è stata sentenza definitiva che determini il soccombente), ma le spese sono a carico di chi le anticipa. Se invece il processo si estingue per rinuncia, le spese sono a carico del rinunciante.

Ilaria Nebulosi

Classe 1995. Diplomata al liceo classico con il massimo dei voti, segue la sua vocazione umanistica iscrivendosi alla facoltà di Giurisprudenza nel 2014. Dopo un breve stage a Londra, migliora la sua conoscenza dell'inglese e consegue diverse certificazioni. Appassionata lettrice di romanzi distopici, coltiva la sua passione per la scrittura collaborando con l'area contenzioso di Ius in itinere. Membro attivo di diverse associazioni di giuristi, si impegna con le stesse in iniziative di sensibilizzazione su temi giuridici attuali.

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