Cause di esclusione della punibilità: la particolare tenuità del fatto.
Cosa succede se un uomo si introduce in un supermercato, sottrae alcuni generi alimentari di modesto valore e, nascondendoli sotto il giubbotto, cerca di uscire senza pagare ma viene fermato dal personale addetto al servizio antitaccheggio? Si integrerebbe la fattispecie di reato del “tentato furto in supermercato”. In questa ipotesi il disvalore penale è tanto significativo da comportare lo svolgimento dell’intero iter processuale culminante con una pronuncia di condanna?
Ebbene il decreto legislativo 28 del 2015 si riferisce proprio a queste eventualità quando introduce nel processo penale ordinario una nuova causa di esclusione della punibilità: la particolare tenuità del fatto. Il nuovo articolo del codice penale è dunque l’art 131 bis:
“Nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.”
Dobbiamo innazitutto chiederci quale è la finalità intrinseca del nuovo istituto: dunque tale disciplina risponde ad una principale e fondamentale esigenza di carattere sostanziale, quella di escludere la punibilità e il ricorso alla sanzione penale in tutti quei casi in cui il comportamento dell’imputato, seppur tipico, antigiuridico e colpevole, per le specifiche circostanze in cui è maturato e per gli effetti dallo stesso prodotti, è risultato concretamente privo di un effettivo disvalore penale. Questa innovazione legislativa dunque costituisce una applicazione pratica del principio per cui il processo penale si configura come “extrema ratio”, ovvero una sorta di “ultima spiaggia” a cui approdare in casi di assoluta necessità. Quindi quello che mi preme sottolineare è che l’istituto non comporta alcuna depenalizzazione: il giudice, prima di decidere per la non punibilità, svolge il suo consueto compito, ovvero accerta la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del reato, sia oggettivi, sia soggettivi; conseguentemente la sentenza con cui si dichiara la non punibilità per particolare tenuità del fatto contiene un vero e proprio accertamento della responsabilità penale dell’imputato che però, per scelta legislativa, non è punita. In tutto questo, che ruolo ha il principio di economia processuale? Sicuramente a questa finalità si accompagna anche la necessità di razionalizzare e rendere più efficiente il sistema processuale penale, decongestionandolo dalla trattazione di tutti quei fatti di minore rilevanza sociale e offensività.
Quali sono dunque i presupposti per consentire l’applicazione dell’istituto?
In primo luogo la “non abitualità”. È proprio il terzo comma dell’articolo a definire tale caratteristica: “Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonchè nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.” Tale concetto di abitualità è però riferito al comportamento e non al reato nella sua struttura, di conseguenza non coincide necessariamente con la unicità del comportamento, per cui non sarà ostativa all’ applicazione dell’istituto la presenza di un solo precedente per un reato di indole diversa o della stessa indole che, rispetto al fatto per cui si procede, appare non indicativo di una abitualità del comportamento criminoso.
Il secondo requisito è la “la particolare tenuità”. Per poter definire una condotta tenue bisogna fare riferimento a due indici: la modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo cagionati. Una definizione ci è fornita in negativo dal secondo comma dell’art 131 bis: “L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona.” Resta dunque, senza dubbio esclusa l’applicabilità della disciplina nell’ipotesi in cui la condotta abbia cagionato come conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Bisognerà infine rifarsi ad altri fondamentali criteri quali la valutazione degli effetti patrimoniali, tenuto conto delle condizioni della persona offesa, ovvero, nel caso di reati che ledano beni costituzionalmente tutelati in favore della collettività, bisognerà avere riguardo al livello di tutela assicurato al bene. Ad esempio la tenuità non sarà in ogni caso configurabile quando viene leso il bene vita.
Sorge però un dubbio angosciante: che natura ha la sentenza emessa ai sensi dell’art 131 bis del codice penale? È una sentenza di condanna o una sentenza di proscioglimento? La soluzione ci è fornita dallo stesso decreto legislativo 28 del 2015 che ha introdotto l’art 651 bis nel codice di procedura penale: “La sentenza penale irrevocabile di proscioglimento pronunciata per particolare tenuità del fatto in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato o del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale.”. Tale sentenza quindi si configura come una pronuncia di proscioglimento con cui si dichiara di “non doversi procedere” nei confronti dell’imputato per particolare tenuità del fatto. Presenta, tuttavia, una indubbia peculiarità: essa non può essere equiparata ad una sentenza di condanna perché all’imputato non viene inflitta alcuna sanzione penale né pena accessoria, ma non può nemmeno essere assimilata ad una vera e propria sentenza di assoluzione perché i fatti oggetto della sentenza, per quanto privi di un significativo disvalore, presentano tutti i requisiti del fatto di reato: devono cioè essere tipici, antigiuridici e colpevoli. Esistono poi, ulteriori effetti negativi per l’imputato, infatti il provvedimento deve essere necessariamente iscritto nel casellario giudiziale e l’accertamento fa stato nel giudizio civile e amministrativo. Per quanto la decisione non potrà essere considerata tecnicamente come una “precedente condanna” ai fini della applicazione di quegli istituti che presuppongono questo specifico elemento, potrà comunque essere ostativa alla concessione di una nuova pronuncia di proscioglimento ex art 131 bis c.p. e potrà influenzare il giudizio civile e amministrativo, nl quale si terrà conto di tutti gli elementi di prova acquisiti in sede penale. I risultati? L’istituto è di recente introduzione, dunque le applicazioni pratiche sono ancora ridotte. Solo un rischio va scongiurato: evitare l’alleggerimento del carico penale attraverso una generalizzazione ed astrazione dei comportamenti e procedimenti suscettibili di essere espunti dal sistema penale ai sensi dell’art 131 bis c.p.!
Claudia Ercolini, ha ventiquattro anni ed è laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti. Il suo obiettivo è accedere alla magistratura, la considera la carriera più adatta alla sua personalità, al suo istinto costante di ricercare meticolosamente le ragioni alla base di ogni problema. Svolge il tirocinio presso la Procura generale della corte di appello. Ha partecipato al progetto Erasmus in Portogallo dove ha sostenuto gli esami in lingua portoghese e ha proceduto alla scrittura della tesi. Ha deciso di fare questa esperienza all’estero per arricchirsi e scoprire come viene affrontato lo studio del diritto al di fuori dell’Italia. Ha conseguito il livello B2 di lingua inglese presso il British Council e il livello A2 di lingua portoghese. La sua tesi di laurea è relativa ad una recente legge di procedura penale: il proscioglimento del dibattimento per tenuità del fatto. Con questa tesi ha coronato quello che rappresenta il suo sogno sin da bambina: si è iscritta, infatti, a giurisprudenza proprio per la sua passione per il diritto penale, per il suo forte carattere umanistico e perché da sempre si interroga sul connesso concetto di giustizia. E ‘ membro della associazione ELSA che le ha permesso di partecipare alla “moot competition” relativa al diritto internazionale. Ha già partecipato alla stesura di articoli di giornale relativi al diritto penale e alla procedura penale. Le è sempre piaciuto scrivere, anche semplici pensieri e riflessioni, conciliare dunque la scrittura con la materia che maggiormente la fa sentire viva, rappresenta per lei una grandissima soddisfazione. Chiunque la volesse contattare la sua mail è: claudia.ercolini@virgilio.it