Caso Ilva: la Corte EDU condanna l’Italia
Il 24 gennaio la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso la sentenza che condanna lo Stato italiano per i fatti riguardanti il caso Ilva. Il nostro paese è stato dunque riconosciuto colpevole della violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).
All’origine del provvedimento giudiziario vi è la domanda di 180 richiedenti che, per lungo tempo, hanno subito danni alla loro salute e all’ambiente causati dalle emissioni dell’acciaieria Ilva. La condotta omissiva dell’Italia, la quale non avrebbe adottato misure idonee e necessarie per proteggere la salute e l’ambiente della comunità locale, è stata al centro delle loro doglianze. Proprio su tali basi, il 31 marzo del 2011 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva già condannato l’Italia in virtù del mancato rispetto della direttiva 2008/1/CE, riguardante la prevenzione e riduzione dell’inquinamento.
Le circostanze di fatto
L’Ilva S.p.a. ha cominciato ad operare a Taranto nel 1965. Divenuta il più grande complesso siderurgico in Europa, a partire dal 1997, l’azienda è stata oggetto di molteplici studi scientifici riguardanti la relazione tra le emissioni di gas e la salute della popolazione[1]. L’Agenzia Regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) nel 2002 ha dichiarato che i diversi rapporti tecnici avevano constatato un aumento del numero di tumori nella zona cosiddetta “ ad alto rischio ambientale” già a partire dagli anni ‘70.
Nel 2012, su richiesta del Ministero della Salute, l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato lo Studio Epidemiologico nazionale del Territorio e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento (SENTIERI). Il rapporto conteneva numerose raccomandazioni in materia di sanità pubblica sulla base dei preoccupanti dati riguardanti l’aumento della mortalità, nei pressi del sito pugliese dell’Ilva[2], durante il periodo 1995-2009. Di estrema rilevanza è stata inoltre la constatazione dell’esistenza di “un nesso di causalità tra l’esposizione ambientale a delle sostanze cancerogene inalabili e lo sviluppo di tumori”[3].
Appurata l’esistenza di un grave rischio ambientale, i rapporti hanno cominciato ad analizzare aspetti sempre più specifici. Uno studio congiunto, che ha coinvolto diversi istituti scientifici delle regioni di Lazio e Puglia, ha esaminato un totale di 321.356 persone residenti nell’area inquinata per il periodo compreso tra il 1 gennaio 1996 e il 31 dicembre 2010. Anche in questa occasione, i risultati hanno dimostrato l’esistenza di un “nesso di causalità tra l’esposizione al PM10[4] e SO2[5] di origine industriale, dovuta all’attività produttiva dell’Ilva, e l’incremento della mortalità per tumori”[6].
Nonostante i molteplici atti d’intesa conclusi tra l’Ilva e le amministrazioni locali per l’adozione di misure idonee a ridurre l’impatto ambientale dell’attività industriale, gli obiettivi sono stati continuamente posticipati e mai raggiunti. Inoltre, nel 2011 l’azienda ha ottenuto l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) potendo così proseguire legittimamente la propria attività produttiva. Da qui in poi abbiamo assistito ad un susseguirsi di decreti legge cosiddetti “salva Ilva“. Tali testi si sono rivelati assolutamente inadeguati e inefficaci per far fronte ai problemi ambientali, consentendo al contrario la prosecuzione delle attività industriali inquinanti[7].
Questi decreti tuttavia non si sono limitati a porre delle soglie di inquinamento, hanno infatti concesso un’amministrazione provvisoria, attraverso la nomina di un commissario straordinario immune dalla responsabilità penale o amministrativa[8]. Inoltre, con l’avvio della procedura di vendita aperta nel 2016, tali immunità verranno estese anche al futuro acquirente dello stabilimento[9]. L’ultimo di questa lunga serie di testi normativi è il decreto del Presidente del Consiglio del 29 settembre 2017, il quale ha ulteriormente posticipato il termine per l’esecuzione del piano ambientale di risanamento al 2023[10].
In diritto
I richiedenti hanno posto a fondamento delle loro doglianze gli articoli 2, 8 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Le accuse rivolte allo stato italiano sono di “non aver adottato le misure giuridiche e regolamentari necessarie per proteggere la loro salute e l’ambiente, e d’aver omesso di fornire le informazioni riguardanti l’inquinamento e i rischi correlati per la loro salute”[11].
Per quanto riguarda l’articolo 2, i richiedenti avevano contestato il rispetto del loro diritto alla vita. Sul punto, la Corte EDU ha scelto di non pronunciarsi, ritenendo più appropriato esaminare le doglianze unicamente sotto il profilo dell’articolo 8[12].
Nella pronuncia, la Corte di Strasburgo ha innanzitutto constatato come non vi sia alcuna disposizione posta a garanzia di una protezione generale dell’ambiente all’interno della Convenzione. Pertanto elemento cruciale del caso era rilevare dai pregiudizi ambientali ne fosse derivata una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare[13]. Ed infatti, secondo la giurisprudenza della Corte[14], gravi danni all’ambiente possono incidere sul benessere delle persone privandole del godimento del loro domicilio in maniera tale da nuocere alla loro vita privata[15].
Il dovere di proteggere i diritti dell’individuo e quindi, nel caso di specie, adottare delle misure adeguate per far fronte ai rischi legati all’attività industriale è un’obbligazione positiva dello Stato. Tuttavia, i diversi tentativi delle autorità nazionali di risanare i siti inquinati si sono rivelati completamente inadeguati e inefficaci. La Corte constata che “le autorità nazionali hanno omesso di prendere tutte le misure necessarie per assicurare la protezione effettiva del diritto degli interessati al rispetto della loro vita privata”[16] e, pertanto, dichiara la violazione dell’art. 8 CEDU.
Per quanto riguarda invece il diritto a un ricorso effettivo, la Corte EDU conclude che, considerata la doglianza relativa all’impossibilità di poter ottenere delle misure atte a garantire la bonifica delle zone inquinate interessate attraverso delle vie effettive di ricorso interno, sia ravvisabile anche la violazione dell’articolo 13 della Convenzione[17].
Infine, a fronte della richiesta di risarcimento per danni morali, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che la constatazione della violazione degli articoli 8 e 13 della Convenzione EDU costituisce per sé una soddisfazione sufficiente per i danni morali subiti dai richiedenti[18]. Ha dunque ammesso solo il rimborso delle spese processuali per un ammontare di soli 5 000 euro[19].
Una decisione storica
Uno degli obiettivi del procedimento giudiziario era far accertare alla Corte europea dei diritti dell’uomo dell’esistenza di una violazione sistemica della Convenzione EDU da parte dello Stato italiano. I richiedenti avevano dunque sollecitato l’applicazione della procedura della sentenza pilota, affinché l’Italia adottasse tutte le misure necessarie per far cessare da un lato le attività all’origine della violazione e dall’altro lato per eliminarne gli effetti. Tuttavia, vista la complessità tecnica delle misure di bonifica da adottarsi, la Corte non ha ritenuto necessario applicare la procedura della sentenza pilota[20]. Pertanto, i giudici si sono limitati a chiedere all’Italia la messa in opera di misure generali nel più breve tempo possibile.
La decisione presa all’unanimità è stata accolta con sollievo e soddisfazione dalla comunità tarantina. La prof.ssa Lina Ambrogi Melle ha dichiarato che “il Governo italiano, consentendo all’Ilva di proseguire l’attività industriale, ha determinato la perdurante situazione di grave inquinamento delle aree limitrofe al siderurgico e subordinato la tutela della vita e della salute dei residenti ad asserite esigenze produttive”[21].
Nonostante il grande valore, la sentenza si limita a riconoscere la responsabilità dello Stato italiano. Adesso è dunque necessario rendere effettiva tale pronuncia attraverso dei procedimenti interni. Le prime richieste riguardando la sospensione dell’autorizzazione ambientale nonché la cancellazione dell’immunità penale ed amministrativa concessa ai gestori dell’acciaieria.
[1] Caso Cordella e altri c. Italia, Richieste n° 54414/13 e 54264/15, 24 gennaio 2016, p. 2.
[2] Sito di interesse nazionale di Taranto.
[3] Caso Cordella e altri c. Italia, op. cit., p. 4.
[4] Materia particolata che resta sospesa nell’aria.
[5] Diossido di zolfo
[6] Caso Cordella e altri c. Italia, op. cit., p.5.
[7] Ibid. p. 27 § 167-168.
[8] Ibid., p. 10 § 58.
[9] Ibid., p. 10 § 59
[10] Ibid., p. 11 § 68
[11] Ibid., p. 15 § 93.
[12] Ibid. p. 15 § 94.
[13] Art. 8 §1 Convenzione europea dei diritti dell’uomo: “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”..
[14] Per approfondire vedi caso López Ostra c. Spagna del 9 dicembre 1994, serie A n° 303-C §51.
[15] Caso Cordella e altri c. Italia, op. cit., p. 25.
[16] Ibid. p. 28 § 173.
[17] Ibid. pp. 28-29 §175-176.
[18] Ibid. p.30 § 187.
[19] Ibid. p.31 § 191.
[20] Ibid. p. 29 § 177-179
[21]Dichiarazione completa consultabile al sito http://www.ecodallecitta.it/notizie/390626/ilva-condanna-italia-sentenza-sovranazionale-cui-lo-stato-dovra-necessariamente-attenersi
Nata a Torino nel 1993, sono attualmente iscritta all’ultimo anno di Giurisprudenza Ciclo Unico presso l’Università di Torino.
Durante la mia carriera universitaria ho sviluppato un grande interesse per il diritto internazionale. Grazie alla partecipazione alle attività di Msoi, sezione Piemonte e Valle d’Aosta, ho potuto approfondire e ampliare le mie conoscenze in tale ambito. Nel 2015 ho iniziato a collaborare con la rivista di politica internazionale Msoi thePost, potenziando le mie capacità in qualità di redattrice per la sezione Unione Europea.
Durante l’anno accademico 2016/2017 ho partecipato al Programma Erasmus+ per studio presso l’Università Jean Moulin Lyon III. Stimolata dall’ambiente multiculturale di Lione, ho deciso di tornarci per svolgere un periodo di Traineeship presso il “Centre de droit international” della medesima Università. Tale ultimo periodo mi ha consentito di svolgere in modo appropriato le ricerche per la redazione, in francese, della tesi di laurea. Il titolo è “Catastrophes environnementales et droits de l’Homme: du fait au droit”, attraverso lo studio delle più grandi catastrofi ambientali, il mio obiettivo è quello di mettere in evidenza le problematiche sollevate dall’azione dell’uomo sull’ambiente.