sabato, Novembre 9, 2024
LabourdìLitigation & Arbitration

Il centro di imputazione unitario del rapporto di lavoro e litisconsorzio: il potere direttivo è un gioco a somma zero

 

A cura dell’ Avvocato Lorenzo Maratea – Foro di Napoli

 

Premessa

Il tema dell’unitarietà del centro di imputazione del rapporto di lavoro, risultato da sempre complesso sul piano del diritto sostanziale, ha evidenziato anche una sua interfaccia processuale rappresentata dalla controversa natura (necessaria o facoltativa) del litisconsorzio dei diversi soggetti facenti parte del centro unitario.

Ci dedicheremo a tale profilo dopo avere esaurito una brevissima disamina dell’aspetto sostanziale che, corrispondendo a una fattispecie di matrice giurisprudenziale, presenta, per forza di cose, contorni mobili.

Il centro di imputazione unitario del rapporto di lavoro

Sebbene il gruppo di imprese non costituisca di per sé un fenomeno rilevante in chiave di soggettività(1) la prassi applicativa non esclude che, a determinate condizioni, si possa realizzare, per effetto della decisione giudiziale, un’operazione di piercing the corporate veil e che, quindi, il Giudice del Lavoro possa giudizialmente individuare una persona giuridica unitaria e autonoma dietro il paravento di tante distinte legalentity. La relazione fra le imprese che può condurre a tale esito applicativo non è unica, bensì declinabile in varie forme(2); ciò che rappresenta il trait d’union fra una parte significativa dei casi emergenti a livello di prassi giurisprudenziale è una sorta di eccedenza nel controllo esercitato da una società (in posizione di capogruppo) rispetto al paradigma codicistico della direzione e del coordinamento. In tali casi, il rapporto di lavoro è, per l’appunto,costituito in capo ad un centro unitario rappresentato dalla capogruppo con la società controllata.

A tale riguardo, la Corte di Cassazione ha significativamente affermato che “in presenza di un gruppo di società, la concreta ingerenza della società capogruppo nella gestione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle società del gruppo, che ecceda il ruolo di direzione e coordinamento generale spettante alla stessa sul complesso delle attività delle società controllate, determina l’assunzione in capo alla società capogruppo della qualità di datore di lavoro, in quanto soggetto effettivamente utilizzatore della prestazione e titolare dell’organizzazione produttiva nel quale l’attività lavorativa è inserita con carattere di subordinazione”(3).

Vale, tuttavia, notare che l’eccedenza del controllo non integra una condicio sine qua non ai fini del delinearsi della fattispecie qui in esame che, viceversa, può aversi anche nei casi in cui il rapporto fra le diverse persone giuridiche sia di equi-ordinazione.

Nella giurisprudenza di merito e di legittimità si è, nel tempo, sviluppato un orientamento portato a riconoscere l’esistenza di un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro le quante volte si evidenzino (i) unicità della struttura amministrativa, (ii) stretta connessione funzionale fra le imprese e correlativo interesse comune, (iii) coordinamento tecnico-amministrativo finanziario, (iv) utilizzazione contemporanea delle prestazioni lavorative da parte delle varie società titolari di distinte imprese(4). Si tratta di indici che, in base a quanto recentemente affermato in giurisprudenza di merito equivalgono a “indici semantici di codatorialità”(5). Questo è, dunque, il fuoco della questione: più soggetti giuridici indicati dal lavoratore come “frazioni” di un’entità distinta, designata nel suo complesso come datore di lavoro; formalmente, un rapporto contrattuale con uno solo di tali soggetti, normalmente per il perseguimento di finalità in fraudem legis(6).

Il litisconsorzio.

Come detto, scopo del presente scritto è di natura eminentemente processuale.

Infatti, è meritevole di indagine se i soggetti indicati come parti del centro di imputazione che viene assunto come “unitario” integrino una fattispecie litisconsortile necessaria, ai sensi dell’art. 102 c.p.c..

Il tema potrebbe essere liquidato come “scolastico”, ma, come si vedrà, sarebbe un giudizio affrettato tenuto conto, per vero, del crescente interesse dottrinale verso l’istituto del litisconsorzio e, d’altro canto, della crescita della prassi applicativa in vario modo legata al tema, prassi che, per quanto banale possa risultare il rilievo, è alimentata dal fenomeno della frammentazione dell’impresa che finisce negli esiti più estremi a coinvolgere anche persone giuridiche costituite in base a legislazioni ed ordinamenti diversi(7).

Può, ad esempio, darsi il caso di un giudizio promosso nei soli confronti di una pluralità di società di diritto italiano nel corso del quale – poco importa se per effetto della difesa delle resistenti o delle emergenze istruttorie –emerga il ruolo pregnante di una persona giuridica estera, sollevando l’interrogativo circa l’esigenza della sua partecipazione in giudizio(8).

Il dubbio, dunque, in un’eventualità come quella ora sommariamente descritta investirebbe la natura necessaria o meno dell’ipotetico litisconsorzio.

Le soluzioni giurisprudenziali che si sono prospettate sono state variegate. In taluni casi, si è optato per una valorizzazione della necessarietà del litisconsorzio ex art. 102 c.p.c. ma non mancano affermazioni di segno contrario(9).

Il silenzio della legge che non regola espressamente la fattispecie e la nota sinteticità dell’art. 102 c.p.c. rendono complessa la soluzione.

Se si privilegiasse lo scenario che la giurisprudenza di legittimità ha modellato come autentico criterio guida, vale a dire la necessarietà del litisconsorzio in tutti i casi di attitudine della pretermissione di qualche soggetto a minare l’efficacia della decisione, il test da adottare corrisponderebbe automaticamente alla necessità di valutare latenuta della decisione in caso di pretermissione di una o più società appartenenti al centro.

Vale però notare – ad una livello descrittivo del modo in cui processualmente la fattispecie si manifesta di regola – che la geometria della compagine costituente il centro unitario non è altro che variabile dipendente della scelta strategica del ricorrente, scelta che potrebbe, sì, essere influenzata da elementi ad essa esterni come, per l’appunto, l’emergere di prove della partecipazione alla complesso unitario di altri soggetti, ma che, nei fatti, è esposta a censure di segno opposto, con il tentativo non infrequente dei soggetti resistenti di provare causali di esonero dalla partecipazione al centro unitario.

In altri termini, è oggettivamente arduo che una delle società resistenti indichi uno o più soggetti pretermessi(10)ciò potrebbe porsi come elemento in grado di minare la ricostruzione dell’ipotesi in esame come litisconsortile/necessaria.

Si tratta, tuttavia, di un dato che non soddisfa.

In verità, ciò che occorre fare è scindere in elementi semplici la fattispecie, convenendo sul fatto che (almeno) nei casi in cui parte del giudizio sia una datrice formale ed il lavoratore deduca il co-interesse di altri soggetti possa valere, come vedremo di qui a breve, l’analogia con l’ipotesi interpositoria.

Il parallelo con la fattispecie interpositoria.

L’abrogazione della Legge 23 ottobre 1960 n. 1369 non preclude un confronto con l’ipotesi dell’interposizione(11).

Nella fattispecie del centro unitario di soggetti plurimi, analogamente a quanto avviene nell’interposizione, si registra una sfasatura fra piano formale (titolarità del rapporto in capo ad un soggetto giuridico) e sostanziale (titolarità del rapporto in capo a una pluralità di soggetti indicati come effettivi datori). Anche nelle azioni di accertamento dell’unitarietà del centro di imputazione, si profila una analoga distanza fra ciò che emerge formalmente e la sostanza di un rapporto che vede il convergere di interessi diversi.

Da questo punto di vista è, per esempio, illuminante una sentenza che, per quanto datata, ha affrontato con chiarezza il problema statuendo che “nelle controversie aventi ad oggetto situazioni di interposizionefittizia nella prestazione di lavoro non sussiste litisconsorzio necessario tra interponente ed interposto, perché la domanda del lavoratore diretta a fare accertare la sussistenza del rapporto di lavoro con il committente non comporta necessariamente anche una pronuncia di accertamento negativo, con efficacia di giudicato, nei confronti del soggetto interposto; pertanto, nell’ipotesi in cui il giudizio vertente sulle richieste dei lavoratori nei confronti dell’interponente si sia svolto nei gradi di merito in contraddittorio anche con il soggetto interposto, l’omessa notificazione a quest’ultimo del ricorso per cassazione non impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 331 c.p.c.”(12).

La sentenza ora richiamata non è un unicum e si innesta in un filone sufficientemente consolidato, ma è corretto notare che la decisione non lascia del tutto soddisfatti, se si ritiene di espandere i presupposti da cui essa muove alla fattispecie qui in esame.

Se si guarda con attenzione alle specificità del centro unitario di imputazione, diversamente dalla fattispecie nella citata sentenza, si nota che il centro unitario di imputazione si caratterizza per l’esistenza di più datori sostanziali e, quindi, per una pluralità di interponenti. In altre parole, mentre in Cass. 23 dicembre 1999 n. 14510 si guarda al rapporto fra interposto ed interponente e, quindi, fra datore fittizio e datore reale, nel caso che ci occupa si è al cospetto di una pluralità di segmenti (ciascuno dotato di distinta personalità) a loro volta indicati come titolari di una porzione di rapporto, ciascuno, cioè, indicato come componente di una entità destinata a essere qualificata come unitaria dalla decisione giudiziale.

Quale norma regola correttamente il rapporto fra una pluralità di interponenti? Una prima epidermica disamina porta dritti a ritenere che l’apparentamento con l’art. 102 c.p.c. derivi dall’assioma secondo cui il rapporto di lavoro sia sempre, e comunque, un rapporto bilaterale e che, quindi, ex latere datoris, non possa che esservi un solo soggetto(13).

Vale però notare che l’emersione di fenomeni come quello della codatorialità potrebbero avere in nuce la sconfessione del modello(14). In altri termini, come è stato notato in dottrina “non può escludersi che, nel contesto delle cosiddette fattispecie di impresa a struttura complessa (…) la figura del datore di lavoro possa passare da una concezione realistico-unitaria a una ideale pluri-soggettiva”(15);ciò l’idea che, con il tramonto della prima concezione, non possa che aversi l’ammissibilità di un modello anche pluralistico di gestione del potere direttivo.

Qualche conferma emerge anche a livello giurisprudenziale. L’“impresa unitaria” infatti, nel meccanismo elaborato dalla prassi applicativa di merito ed, oramai, riconosciuto anche da quella di legittimità, non presuppone sempre la necessità di superare lo schermo della persona giuridica “ben potendo esistere un rapporto di lavoro che vede nella posizione del lavoratore una unica persona e nella posizione di datore di lavoro più persone, rendendo così solidale l’obbligazione del datore di lavoro”(16).Non è casuale che la stessa dottrina prima richiamata indichi la solidarietà passiva come prima conseguenza del tramonto della concezione realistico-unitaria(17). In buona sostanza, le singole persone giuridiche che compongono il centro di imputazione non sarebbero altro che condebitori solidali e, di regola, l’area delle obbligazioni solidali si associa all’art. 103 c.p.c., escludendo così  il litisconsorzio necessario (18).

Il problema è, tuttavia, solo apparentemente risolto, in quanto il titolo in forza del quale i diversi soggetti giuridici indicati come “datore di lavoro” sono chiamati a rispondere verso il ricorrente ha, per sua natura, la peculiarità di porsi come contrassegnato dall’“inscindibilità”.

Ciò che, infatti, contraddistingue la fattispecie sul piano processuale, è la scissione della decisione demandata al giudice in due netti tronconi: il primo, dichiarativo, funzionale all’accertamento della unicità sostanziale contro l’apparente frammentazione delle distinte soggettività; il secondo, condannatorio, che determina la propagazione in solido della responsabilità.

Senza il primo, il teorema della solidarietà avrebbe ben poco senso, anzi, sarebbe corretto ricostruire i diversi resistenti come, ciascuno, titolare di un distinto rapporto. Senza la ricostruzione dell’“uno” in luogo dei “tanti”, l’accertamento giudiziale potrebbe dare luogo alla formazione di distinte obbligazioni uni-soggettive a carico di ciascuno dei soggetti resistenti.

La prima fase determina, quindi, le condizioni per la costituzione ope iudicis del soggetto unitario (il centro di imputazione) dal quale si ritiene sia scaturito l’esercizio del potere direttivo e non è casuale che attenta dottrina nell’organizzare una tassonomia dei casi di litisconsorzio necessario abbia annoverato l’ipotesi in cui, all’azione dichiarativa, sia sottesa l’esigenza di eliminare “un titolo apparente ed in genere, una situazione di apparenza giuridica”(19).

Concludendo, è inevitabile ritenere, riguardando la vicenda dal punto di vista di quelli che si sono definiti interponenti (ossia le società indicate come componenti il centro di imputazione unitario) che la conformazione del potere direttivo – quale precondizione per l’assegnazione a ciascuno dei soggetti componenti il centro di imputazione della qualità di datore – esiga il simultaneus processus; sarebbe, del resto, assurdo sostenere il contrario, specie in quei casi in cui la tipologia di tutela (si pensi alla fase estintiva del rapporto) è funzione delle dimensioni dell’impresa ed è, quindi, variabile dipendente della consistenza numerica del personale di ciascuno dei resistenti.

Il potere direttivo integra, in fondo, “un gioco a somma zero” nel senso che al crescere di manifestazioni di esercizio da parte di uno dei soggetti indicati come appartenenti al centro unitario, si ha quale manifestazione uguale e contraria il decrescere degli spazi concretamente goduti dall’altro o dagli altri(20); da ciò, sul piano processuale una situazione che è corretto qualificare in chiave di “dipendenza reciproca” il che, a sua volta, è sinonimo di litisconsorzio necessario(21).

Conclusioni

Alla luce di quanto precede, residua poco spazio per ritenere percorribile la strada dell’art. 102 c.p.c. solo con riferimento alla posizione del soggetto che, nella relazione fra le diverse società indicate come appartenenti al centro unitario, abbia una funzione di mera interposizione. Il datore fittizio non può essere riguardato, quindi, come litisconsorte necessario in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nella parte in cui la negazione del rapporto con l’interposto è guardata come “accertamento negativo del rapporto fittizio” e, quindi, come mera “questione pregiudiziale”, non vincolante per il terzo e “senza alcuna lesione del suo diritto di difesa”(22).

Viceversa, il rapporto fra soggetti interponenti risulta meglio compatibile con l’art. 102 c.p.c.; la sentenza ora citatacontiene adeguati elementi a supporto di tale conclusione(23). Infatti, mentre la mera negazione del rapporto con il datore di lavoro fittizio è vista come causa di esclusione di ogni spazio per l’applicazione dell’art. 102 c.p.c., di contralto, tanto l’allegazione di un “rapporto plurisoggettivo” quanto la prospettazione di una “situazione di contitolarità” nella pronuncia ora citata sono approcciate come fattori del tutto meritevoli di dare luogo a litisconsorzio necessario; ciò in quanto l’effettività del rapporto coniugata con le peculiarità del potere direttivo non consentono dissonanze.

Sembra, peraltro, confermato tale ragionamento le quante volte il lavoratore agendo in base all’art. 18 St. lav. svolga la domanda di reintegrazione nei confronti delle diverse persone giuridiche componenti il centro, senza limitare la stessa ad una sola di esse (ipotesi, per vero non infrequente). Ognun vede come in ipotesi del genere sia ben difficile pensare alla possibilità di “sciogliere” il sodalizio processuale senza ripercussioni sulla tenuta della decisione(24).

Riassumendo, nel rapporto fra interposto ed interponente – in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza – va riconosciuta la natura facoltativa del litisconsorzio, mentre – in rapporto alla relazione fra i diversi datori effettivi – non può che farsi riferimento alla nozione di unitarietà del rapporto sostanziale e di inscindibilità delle posizioni coinvolte.

Note

1 – A livello legislativo, l’irrilevanza del gruppo ai fini della soggettività è dimostrata inter alia dal dettato dell’art. 31 d.lgs. 276/2003; a livello giurisprudenziale, resta fermo l’orientamento secondo cui “l’appartenenza dell’impresa a un gruppo economico e societario non ha alcuna efficacia unificante”. Cfr. Cass. 9 maggio 2018 n. 11166.

2 – V.in tema O. Mazzotta, Diritto del lavoro, 2013, VI Edizione, Milano, pag. 257 che, appunto, indica rapporti di controllo fra “società madre” e “società figlia”, modelli “a catena” ed ancora il cosiddetto “sistema stellare”.

3 – V. Cass. 29 novembre 2011 n. 25270.

4 – V. Cass. 24 marzo 2003 n. 4274.

5 – V. Tribunale di Milano 24 ottobre 2017 in Archivio Giuffrè.

6 – In una recente sentenza di legittimità (Cass. 28 marzo 2018 n. 7704) la Suprema Corte fa correttamente riferimento alla categoria del “frazionamento” per descrivere il rapporto fra le diverse legalentities.

7- Per quanto concerne l’interesse dottrinale verso il tema del litisconsorzio, si rinvia a U. Corea, Processo civile ed obbligazioni solidali, Pacini, 2018

8 – La società estera può sia risultare come datore effettivo di lavoro, ossia come esercente il potere direttivo, sia come datore formale,nell’ipotesi in cui (ad esempio per ragioni elusive) le parti abbiano inteso indicare in contratto come soggetto datore di lavoro, una legalentity straniera.

9 – Propende per l’ipotesi del litisconsorzio necessario, Tribunale di Milano 27 aprile 2017 n. 2017 (inedita a quanto consta); contra Tribunale di Milano 7 maggio 2013 n. 1784.

10 – V., sul tema, Cass. 4 dicembre 2001 n. 15289.

11- In tema R. Del Punta, Le molte vite del divieto di interposizione nel rapporto di lavoro in Riv. It. Dir. Lav., 2, 2008, pag. 129

12 – V. Cass. 23 dicembre 1999 n. 14510

13 – Per una diffusa disamina del tema, si rinvia a S. P. Emiliani, Il datore di lavoro nei gruppi di imprese, fra ipotesi di imputazione complementare, cumulativa e alternativa in Dir. Rel. Ind., 2, 2012 pag. 493 e ss.

14 – In Cass. 9 maggio 2018 n. 11166 è ben chiarito l’apparentamento fra la codatorialità e la fattispecie in esame.

15 – V. L. G. Papaleo, L’imprenditore che di fatto fruisce della prestazione lavorativa assume lo status di datore di lavoro in Dir. Giust., 2011, pag. 479.

16 – V. Cass. 24 marzo 2003 n. 4274 e Cass. 10 aprile 2009 n. 8809; sul tema v. anche A. Donini, Oltre la direzione e coordinamento: quando la capogruppo è datore di lavoro in Giur. comm., 4, 2012.

17 – V. L. G. Papaleo, L’imprenditore cit., ibid.; nello stesso senso, depone l’osservazione di O. Razzolini, La Corte di Cassazione aggiorna i criteri elaborati dalla giurisprudenza per distinguere fra gruppo fraudolento e gruppo genuino in Riv. It. Dir. Lav., 2, 2012, pag. 379 e ss., l’A. evoca la figura della “contitolarità” affermando subito dopo che di essa “l’effetto tipico è la solidarietà”.

18 – V. Cass. 28 marzo 2018 n. 7704 in cui è fatto espresso riferimento all’art. 1294c.c

19 – V. F. Agnino, La natura solidale dell’obbligazione esclude il litisconsorzio necessario in Ridare.it, 21 settembre 2015

20 – I soggetti che, nella prospettazione del soggetto ricorrente, vengono qualificati come parte del centro di imputazione unitario sono, a loro volta, indicati come datori effettivi nel quadro di una relazione che, tuttavia, è descritta come unica. Se si guarda al quarto requisito (i.e. la cosiddetta “utilizzazione contemporanea”) che la giurisprudenza indica come viatico per l’operazione di piercing(cfr. supra nota n. 4) ci si avvede che ciascuna delle persone giuridiche assunte come parte del centro unitario debba avere fruito della prestazione del lavoratore/ricorrente il che come, ovvio, si traduce in unfattore in grado di incidere direttamente sulla posizione degli altri compartecipi. Il crescere dell’utilizzazione da parte di uno dei datori si ripercuote in senso inversamente proporzionale sull’utilizzazione da parte dell’altro o degli altri. In questo senso, è calzante il parallelo con il modello dei giochi a somma zero.

21 – V. Cass. 12 dicembre 2006 n. 26420

22 – Cass. 29 luglio 2009 n. 17643.

23 – Cfr. Cass. 29 luglio 2009 n. 17643

24 – In tema, v. Tribunale di Ancona, 16 ottobre 2017 n. 415. Nella pronuncia il Giudice del Lavoro pone a carico solidale di tutte le società convenute (in quanto parti del centro unitario di imputazione) l’obbligo di procedere alla reintegrazione.

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