venerdì, Marzo 29, 2024
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Cessione di cubatura: le Sezioni Unite chiudono il dibattito sulla natura di tale accordo contrattuale

A cura del Dott. Matteo Castiglione

  •  Premessa. La proprietà edilizia e la cessione di cubatura.

La disciplina della proprietà edilizia è contenuta nel codice civile, in numerose leggi speciali, nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi predisposti dal comune nel quale è situato l’immobile o il fondo edificabile.

La relativa sezione del codice stabilisce che i proprietari sono tenuti ad osservare le prescrizione stabilite nei piani regolatori qualora intendano effettuare opere di costruzione, riedificazione o modificazione e, nel caso siano previsti comparti diversi, gli aventi diritto dovranno regolare i propri rapporti in modo da renderne possibile l’esecuzione.[1]

Più specificatamente, in relazione al processo di costruzione, l’articolo 871 c.c. rinvia alle regole stabilite nelle leggi speciali e nei regolamenti edilizi comunali la cui violazione è fonte di responsabilità di carattere amministrativo[2].

I citati piani regolatori e regolamenti edilizi sono strumenti urbanistici adottati dall’ente locale. Il primo è diretto ad organizzare l’attività edificatoria all’interno dell’intero territorio comunale mentre il secondo, assieme al piano operativo, può essere considerato un’attuazione del piano regolatore e stabilisce più specificatamente gli standard tecnici, estetici, igienico-sanitari e di sicurezza da seguire nella costruzione degli immobili, come la distanza minima tra le costruzioni, la loro altezza o quelle delle relative pertinenze.

Il ruolo del privato in materia di pianificazione ha assunto caratteri di sempre maggiore rilevanza; la dottrina per spiegare questo fenomeno ha coniato l’espressione “urbanistica contrattata o consensuale”[3] indicativa sia dei rapporti dei rapporti contrattuali assunti con la pubblica amministrazione, come nei casi di “edilizia abitativa convenzionata” ex art. 17 d.p.r. 380/2001, sia dei rapporti intercorrenti tra i privati stessi per la circolazione di quote di cubatura (o volumetria) da ciascuno di essi detenute.

La cubatura non è però un concetto di carattere giuridico, bensì una formula ingegneristica rappresentativa della dimensione che potrà avere una costruzione, espressa in termini matematici quali i metri cubi, edificabile in base agli strumenti urbanistici[4].  Essa rappresenta quindi sia la potenzialità edificatoria di un fondo sia la misura massima del volume dell’edificio che potrà essere costruito sullo stesso[5].

Questo diritto (o facoltà) di costruire viene definito anche jus aedificandi, e rappresenta una delle caratteristiche della proprietà edilizia da esercitare nel rispetto della regolamentazione predisposta dalla pubblica amministrazione, volta a contemperare gli interessi del privato con quelli della collettività ad un regolare ed ordinato sviluppo dell’edilizia secondo gli standard predisposti.

Come accennato, i privati possono disporre anche dello jus aedificandi, trasferendo in tutto o in parte il proprio diritto edificatorio relativo ad un’area; il mezzo contrattuale con il quale viene effettuato è la cessione di cubatura o volumetria. Nella stipulazione di questo contratto, essendo espressione dell’autonomia negoziale delle parti, non è necessario il coinvolgimento della pubblica amministrazione ma solo il rispetto delle prescrizioni urbanistiche[6], essendo quest’ultime norme imperative la cui violazione è idonea a rendere nullo il contratto[7]. Inoltre, a seguito dell’inciso aggiunto dal D.L. 70/2011 tale negozio è soggetto a trascrizione ai sensi dell’art. 2643 co. 2-bis c.c.[8].

Il contratto obbliga quindi la parte a cedere dietro compenso, totalmente o in parte, l’indice edificatorio di spettanza al proprio vicino, realizzando così l’asservimento urbanistico di un fondo ad un altro senza alterarne l’indice territoriale di zona.

Affinché il cessionario possa successivamente ottenere il permesso, da parte del Comune, di edificare un immobile di volume superiore rispetto a quello che avrebbe potuto originariamente costruire (cd. permesso di costruire maggiorato) è necessaria la sussistenza di due caratteri relativi ai fondi proprietà delle parti del contratto: l’omogenea destinazione d’uso e la loro contiguità territoriale[9].

Il primo requisito è volto ad assicurare che non vengano stravolte le condizioni del piano regolatore legate alla rilevazione della volumetria esistente, in modo da poter determinare a quale tipologia di comparto edificabile appartiene l’area; se fosse ammessa la cessione di cubatura tra fondi appartenenti a zone territoriali omogenee differenti si otterrebbe che l’indice di densità territoriale potrebbe essere alterato o superato nei limiti massimi. Il secondo requisito, invece, è inteso dalla giurisprudenza come una condizione giuridica riscontrabile sotto l’aspetto fisico, non solo nel caso di lotti confinanti ma anche quando siano materialmente vicini tra loro o siano congiunti in solo qualche punto, venendo tuttavia a mancare quando tra i fondi sussistano una o più aree aventi destinazioni urbanistiche incompatibili con l’edificazione[10].

Con la cessione di cubatura il cessionario potrà quindi costruire sul proprio terreno assommando alla sua volumetria anche quella acquisita dalla controparte contrattuale, come se perciò fosse proprietario di entrambi i fondi[11].

Per lungo tempo la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate sulla natura di tale accordo contrattuale con conseguenze pratiche completamente differenti a seconda della tesi adottata.

  • La natura del contratto di cessione di cubatura.

Il dibattito, seppur oggetto di studi e pronunce sin dagli anni ’70 da parte del Supremo Consesso,  è rimasto a lungo acceso con tesi che riconducevano al negozio effetti meramente obbligatori ovvero reali.

Secondo il primo orientamento, il contratto di cessione di cubatura integra una fattispecie a formazione progressiva costituita dall’accordo dei privati e dall’emanazione del provvedimento amministrativo.  Il primo elemento è ovviamente idoneo a produrre effetti obbligatori che consistono nell’impegno del cedente, rinunciante la volumetria, di non richiedere il permesso di costruire in relazione alla cubatura trasferita nonché in quello di collaborare con il cessionario affinché questi ottenga il permesso maggiorato per l’edificazione. Gli effetti traslativi sorgono tuttavia con l’atto amministrativo, essendo questo un elemento perfezionativo della fattispecie e non mero requisito di efficacia[12]. Seguendo questo schema, la violazione del contratto sarebbe fonte di responsabilità da inadempimento dell’obbligazione  e non sarebbero ovviamente utilizzabili azioni reali a difesa della proprietà, essendo ad essa accordata una tutela di tipo personale. I maggiori inconvenienti sorgevano però antecedentemente all’introduzione del 2643 co. 2-bis, prima della quale non vi era obbligo di trascrizione di contratti dispositivi di diritti edificatori. In tal caso ad esempio, qualora la pubblica amministrazione non avesse dato assenso alla cessione di cubatura e successivamente avesse concesso al cedente di costruire, quest’ultimo avrebbe comunque costruito legittimamente nonostante si fosse reso inadempiente nei confronti della controparte[13].

È con riguardo alle cd. tesi reali che gli studi si sono frammentati ulteriormente.

Parte minoritaria della dottrina ha ravvisato nella cessione di cubatura sia un diritto di superficie atipico, “inverso” rispetto a quello previsto dall’art. 952 c.c. con cui il proprietario non cede a terzi il diritto di edificare sul proprio bene bensì quello di edificare in maniera maggiorata sopra un fondo altrui, sia un onere reale negativo ovvero, ancora,  una rinunzia traslativa[14].

Le tesi reali maggiormente seguite qualificavano tuttavia questo contratto come negozio costitutivo di un diritto reale immobiliare ovvero come una servitù negativa.

La prima è altresì quella maggiormente risalente e seguita inizialmente anche dalla giurisprudenza di legittimità che ravvisa nella volumetria una “utilità” del fondo suscettibile di autonoma disposizione, la cui cessione avrebbe pertanto configurato la vendita di un diritto reale immobiliare[15]. Prima della novella del 2011, è stato obiettato che questa impostazione (volta a creare un nuovo diritto immobiliare di tipo edificatorio ed immateriale ovvero una scissione dello stesso) si ponesse in contrasto con il principio di tipicità dei diritti reali, ma con l’introduzione del comma 2-bis dell’art. 2643 quest’orientamento pare aver trovato anche una base normativa. Ciononostante, non sono mancate le critiche da coloro che affermano che se il risultato della riforma fosse stato solo quello di creare un nuovo bene non sarebbe stato necessario introdurre un’autonoma previsione, poiché il comma 1 della medesima disposizione prevede la trascrizione dei contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili all’interno dei quali è possibile inquadrare anche i beni immateriali di cui in dibattito[16]. Secondo la tesi della scissione, il cedente, con il contratto, distaccherebbe in tutto o in parte la facoltà insita nel suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura attribuitagli dal piano regolatore e, una volta formato un diritto a sé stante, lo trasferisce all’acquirente a beneficio del suo fondo a lui contiguo[17].

La seconda impostazione cd. reale vede nella cessione di volumetria la costituzione di una servitù di non edificare “finalizzata” o “qualificata” consistente non solo in un non facere ma anche nella sopportazione (pati) che su un certo fondo limitrofo insista una costruzione superiore agli indici stabiliti dallo strumento urbanistico.[18] La costituzione di servitù verrebbe poi affiancata da un atto unilaterale d’obbligo del cedente in favore dell’amministrazione comunale, con il quale si impegna a non richiedere il permesso di costruire in relazione alla volumetria trasferita. Quest’impostazione è stata criticata poiché, in primo luogo, il diritto reale limitato non si configurerebbe mediante il trasferimento della capacità edificatoria da un fondo all’altro ma solo successivamente al provvedimento amministrativo; in secondo luogo, sarebbe assente l’utilitas del fondo dominante finanche non si proceda alla costruzione dell’edificio; infine, per il principio nemini res sua servit non sarebbe possibile il trasferimento di cubatura tra suoli appartenenti allo stesso soggetto[19].

Non mancano tuttavia autori che superano  il dualismo reale-obbligatorio per spiegare la natura del contratto di cessione.

L’art. 810[20] del codice civile facendo riferimento ai beni intesi come concetto giuridico (e non naturalistico) comprenderebbe anche entità di carattere immateriale o ideale pur sempre caratterizzate dall’utilità e dall’accessibilità, intese rispettivamente come “idoneità a soddisfare una necessità dell’uomo” e come “la possibilità di essere oggetto di espropriazione”.

Secondo alcuni[21], i diritti edificatori, essendo idonei a tutelare interessi dell’ordinamento giuridico, diventerebbero beni nel momento in cui adempiano ad una funzione economica. Questa cd. “cubatura reificata” consisterebbe quindi in una “chance” e rappresenterebbe la potenzialità di trasformazione del territorio in termini volumetrici e da cui deve essere distinto il bene finale: la costruzione edilizia, la cui prerogativa è nella concreta possibilità di impiego della volumetria corrispondente. L’oggetto del contratto sarebbe quindi un interesse legittimo pretensivo avente, a sua volta, ad oggetto ciò che viene definita “chance edificatoria” mediante l’adozione di un provvedimento amministrativo favorevole[22]. La negoziazione di siffatta “chance” insomma atterrebbe ad una situazione giuridica (affine a quella creditizia e senza confondersi con essa) seppure soltanto “sperata”, una sorta di “aspettativa di diritto”, che di per sé potrebbe essere oggetto anche di un contratto che si perfezioni con il solo consenso delle parti[23]. Aderendo a questa impostazione, il contratto avrebbe ad oggetto le possibilità edificatorie di un bene a prescindere dalla preventiva individuazione del lotto su cui avverrà, se avverrà, la costruzione.[24]

Un’altra modalità di circolazione della volumetria è stata individuata da autorevole dottrina[25] nella cd. cessione del credito di cubatura. Si pensi al caso in cui il Comune, tramite accordi compensativi, attribuisca ad un soggetto una quota di cubatura a fronte della cessione di terreni per la realizzazione di interventi di riqualificazione. Questo credito di volumetria conferisce al privato la possibilità di chiedere di poter costruire, relativamente alla quota assegnatagli, in un dato comparto edilizio. Come affermato anche da giurisprudenza recente[26], essendo un diritto di credito non strettamente personale e per il quale non rileva il consenso del debitore, nulla vieterebbe che il credito venga trasferito e in tal modo circoli autonomamente senza alcun riferimento al comparto da edificare, venendo il terreno determinato solo al momento della richiesta da parte del cessionario pur se in un’area non contigua a quella del cedente.

Come accennato inizialmente, il ruolo dell’amministrazione pubblica non rileva nella fase genetica del contratto, essendo questo mezzo di autoregolamentazione dei rapporti tra cedente e cessionario, ma esclusivamente nella fase fisiologica dello stesso con la verifica dei presupposti della SCIA edilizia ed il rilascio del permesso di costruire maggiorato. Per tali ragioni, e come rilevato da alcuni autori[27], il contratto di cessione si colloca quindi in un terreno non esclusivamente di diritto privato ma a confine con il diritto pubblico. Determinando la prevalenza dell’uno o dell’altro è possibile suddividere le tesi finora esposte. Valorizzando l’elemento pubblicistico nella cessione di cubatura allora l’accordo della parti non potrebbe che avere effetti obbligatori essendo l’effetto traslativo esclusiva conseguenza del provvedimento della P.A. sulla quale nulla potrebbero decidere le parti; diversamente, qualora si ritenga preponderante l’elemento privatistico sarebbero ammissibili le tesi reali, di chance edificatoria e anche la critica[28] rivolta alla disposizione dell’art. 2643 co. 2-bis nella parte in cui prevede la trascrizione di accordi costitutivi o modificativi di diritti edificatori essendo questi di competenza esclusiva degli strumenti urbanistici e dunque della pubblica amministrazione, lasciando all’autonomia delle parti solo la stipulazione degli accordi traslativi.

  • L’evoluzione nella giurisprudenza di legittimità

Una delle prime pronunce della Cassazione civile che abbia affrontato questo tema risale al 1972[29] in una controversia che, pur vertendo in tema fiscale,  fu l’occasione per i giudici di delineare alcuni tratti essenziali di questo nuovo contratto previsto dal piano regolatore generale della città di Torino. Secondo la sentenza, le cessioni di cubatura costituirebbero atti con effetti analoghi a quelli propri di trasferimento di diritti reali immobiliari, le parti quindi disporrebbero dei limiti di edificabilità posti dalle norme sulle cubature, diminuendoli per il cedente e aumentandoli correlativamente per il cessionario.

L’approccio “realista” verrà tuttavia disatteso con la sentenza n° 4245 del 1981 che lo definirà come un “atto di diritto pubblico dei privati” connesso all’esplicazione di una potestà pubblica che opera indipendentemente dalla stipulazione di accordi meramente prodromici ed indifferenti rispetto al provvedimento amministrativo. Gli interessati assumerebbero quindi verso l’ente pubblico gli impegni, nel rispetto delle prescrizioni urbanistiche, di rinuncia alla cubatura e di adesione al progetto.

Negli anni successivi la natura obbligatoria e il favor per l’elemento pubblicista verranno riconfermati dalla giurisprudenza, trovando seguito anche in quella amministrativa.

È infatti nel 2000 che i giudici di Palazzo Spada, con le sentenze n° 3636 e 3637, qualificheranno l’asservimento di un fondo contiguo, relativamente alla superficie volumetrica per l’edificazione, come “contratto atipico ad effetti obbligatori” che si perfeziona con l’emanazione della concessione legittimante lo jus aedificandi del cessionario sul proprio suolo. Per il rilascio del provvedimento a nulla rileva quindi un eventuale atto negoziale ad effetti obbligatori o reali tra le parti, essendo sufficiente l’adesione del cedente manifestata sottoscrivendo l’istanza, il progetto o notificando al comune la propria rinunzia di cubatura a favore del cessionario.

La diversa tesi della natura reale non verrà però completamente abbandonata; oltre ad un arresto avvenuto con la sent. n° 6807 del 1988, la Cassazione tornerà sui suoi passi anche nel 2003[30] e nel 2007[31]. Secondo tali pronunce il trasferimento di cubatura avrebbe caratteri di realità ed andrebbe assimilato ad un negozio traslativo di diritti immobiliari, essendo una facoltà inerente al diritto di proprietà e rappresenterebbe un’utilità che ne amplia il contenuto, cedibile anche senza il suolo cui inerisce. Il proprietario rinunzierebbe a sfruttare a suo vantaggio la volumetria permessa per consentirne l’utilizzazione da parte del proprietario del fondo finitimo. L’utilità in questione, dopo il rilascio della licenza e la realizzazione dell’opera, risulterà trasferita al cessionario titolare del fondo, con conseguente diminuzione ed ampliamento del contenuto del diritto reale a ciascuno d’essi appartenente.

È però dal 2009[32] che la giurisprudenza di Cassazione pare aver aderito pacificamente all’orientamento obbligatorio, inquadrando il negozio tra le parti come una fattispecie a formazione progressiva nel quale confluiscono le dichiarazioni private nel contesto di un procedimento amministrativo, queste ultime inidonee però a configurare un contratto traslativo essendo tale effetto riconducibile esclusivamente al provvedimento concessorio.

Il cd. accordo preliminare diretto alla cessione di cubatura non richiede perciò la forma scritta “ad substantiam” dovendosene escludere la natura di contratto traslativo di un diritto reale[33] avendo esso solo un effetto obbligatorio che impegna il cedente a consentire che la cubatura spettantegli in base agli strumenti urbanistici sia attribuita dalla P.A. al cessionario[34]. Tale impostazione è stata riconfermata in una pronuncia del 2018[35] che ha rigettato anche la teoria reale della servitù non aedificandi o altius non tollendi.

Ad ogni modo, secondo la tesi obbligatoria il mancato rilascio della concessione edilizia maggiorata determinerebbe l’inefficacia del negozio concluso dai proprietari dei fondi limitrofi e non già la sua risoluzione per inadempimento del cedente[36].

  • Le Sezioni Unite del 2021

Con l’ordinanza di rimessione n°19152/2020 emessa il 15 settembre 2020 dalla Sezione Tributaria, le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate a dirimere lo storico contrasto, trovando quest’ultimo conclusione nella sentenza n° 16080/2021.

Nel caso in esame, a seguito di convenzione con il proprio Comune di residenza consistita nel trasferimento a titolo gratuito di alcune proprietà a fronte dell’attribuzione compensativa di una volumetria residenziale, il titolare ha ceduto parte della propria quota ad una società operante nella medesima zona territoriale, rinunciando ad ogni sfruttamento edilizio della cubatura ceduta e consentendo che tale sfruttamento, previo rilascio dei necessari permessi, sia realizzato dalla controparte imputando ad essa anche la cubatura trasferita.

La necessità di un indirizzo interpretativo univoco nella giurisprudenza di legittimità deriva in primo luogo dalla complessità strutturale della fattispecie, insita nella interdipendenza di plurimi piani giuridici, a seconda del rilievo che la natura e gli effetti della cessione di cubatura hanno nei diversi rami dell’ordinamento: civilistico, amministrativo-urbanistico e tributario. Questa compresenza ha posto quindi il dubbio che tal soluzione potesse essere unitaria, e valevole per ogni materia, ovvero articolata e molteplice.

In secondo luogo, alla luce della recente sentenza a Sezioni Unite 23902/2020 in materia di diritti edificatori compensativi con la quale il Supremo Consesso ha affrontato il tema del distacco e della separata negoziazione dello jus aedificandi rispetto alla proprietà del suolo, si è posta la questione se l’accordo negoziale di cui al vaglio potesse essere ricompreso nella fattispecie già affrontata in precedenza.

Partendo da quest’ultimo aspetto, vi è una chiara differenza tra le fattispecie oggetto delle due pronunce. La cessione dedotta non manifesta la volatilità caratteristica ed estrema del diritto edificatorio compensativo ancora in fase di assegnazione (fase cd. di decollo) di cui al caso del 2020, essendo stata posta in essere “ad atterraggio avvenuto” e cioè al termine della procedura di compensazione urbanistica, rendendo ininfluente la provenienza convenzionale della volumetria ceduta, rilevando questa esclusivamente come mero antefatto o presupposto esterno.

In relazione al primo aspetto, è necessario un breve riferimento all’impianto tariffario dell’imposta di registro prevista dal d.P.R. 131/1986. Il Testo Unico prevede che venga determinata l’aliquota dovuta degli atti negoziali in relazione all’oggetto e agli effetti dell’atto stesso, ponendo l’alternativa tra l’aliquota al 9%[37], prevista per gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e atti traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari di godimento, e l’aliquota al 3%[38] applicabile in via residuale agli atti diversi aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale.

Essendo quindi la determinazione della tassazione legata a doppio filo alla qualificazione giuridica dell’atto negoziale, tipico o atipico, secondo gli schemi propri del diritto civile, la Corte ha escluso che possa pervenirsi ad una soluzione diversificata e fiscalmente orientata del problema della natura giuridica dell’atto di cessione di cubatura, affrontando poi nell’ ordine l’ammissibilità delle varie tesi che si sono succedute nel tempo.

Vengono in primo luogo criticate le ricostruzioni dommatiche che hanno individuato nell’istituto un diritto reale atipico, a superamento del regime del numerus clausus, o tipico ma “nuovo” rispetto a quelli regolati dalla disciplina codicistica. Altrettanto è a dirsi per la teoria del diritto di superficie cd. “invertito”, di cui si è detto in precedenza, stante la necessaria alterità tra la proprietà del suolo e della costruzione.

Più vicina alla realtà della fattispecie è il richiamo alle figure della servitù non aedificandi (in caso di cessione totale della cubatura) ovvero altius non tollendi (in caso di cessione parziale): ricostruzioni di stampo prettamente privatistico che pone l’assenso della P.A. all’esterno della fattispecie costitutiva fungendo da condicio iuris o facti e che, rispetto ad altri diritti reali, pone maggiori spazi ricostruttivi sia nei propri elementi costitutivi che nell’autonomia delle parti nel regolamento delle proprie esigenze.

Tuttavia nemmeno questa tesi può essere seguita e ciò per tre motivazioni.

In primis, gli effetti pratici dell’atto traslativo o costitutivo dipenderebbero da un elemento estraneo, quale l’atto concessorio della pubblica amministrazione, tutt’altro che secondario ed accidentale, ponendo in crisi i requisiti di immediatezza e assolutezza che contraddistinguono tutti i diritti reali, servitù comprese.

In secundis, sarebbe necessaria la contestuale presenza di una componente negativa o passiva (di non edificare e di accettazione della edificazione in esubero sul fondo dominante) e di una incompatibile componente positiva (la attivazione personale in sede amministrativa) tale, quest’ultima, perché non più consistente in un “fare” strumentale volto a rendere più comoda od efficace la fruizione dell’utilità ma rilevando al contrario come una prestazione positiva e centrale dal cui adempimento deriva l’esistenza stessa dell’utilità.

In tertiis, il concetto di contiguità dei fondi trascende quello della vicinitas essenziale nei diritti reali, ben potendo concepirsi che siano coinvolti terreni non contigui (pur se appartenenti ad aree morfologicamente comuni e dipendenti dagli stessi strumenti regolatori).

Neppure la tesi obbligatoria è andata esente da critiche da parte della Suprema Corte, trattandosi di un indirizzo che ha spostato eccessivamente il baricentro della fattispecie sul suo lato pubblicistico, senza dare compiutamente contezza di tale atto di disposizione patrimoniale di estremo rilievo sul piano privatistico, nel suo risvolto sia economico che giuridico, trattandosi di incrementi o compressioni della potestà edificatoria insita nel diritto di proprietà.

La risoluzione della questione, tuttavia, è passata attraverso l’analisi del comma 2-bis dell’art. 2643 il quale rappresenta un primo tentativo di tipizzazione codicistica dei diritti edificatori “comunque denominati” e soggetti ad una disciplina fondamentale uniforme in tema di trascrivibilità, da cui la Corte trae importanti contributi interpretativi. La natura reale dell’atto di cessione viene definitivamente esclusa sia per ragioni di carattere sistematico, essendo già presente nell’art. 2643 un comma relativo alla trascrizione di alcuni diritti reali limitati,  che terminologiche venendo definiti come “diritti edificatori”, rimarcando la derivazione proprietaria del diritto di costruire e discostandosi altresì dalle teorie dottrinarie che individuavano la figura in esame ora in un interesse legittimo pretensivo, in una chance o in una res oggetto di diritti.

La collocazione dell’istituto all’interno del sistema di tutela dei diritti per mezzo della trascrizione è inoltre espressione dell’opzione legislativa secondo la quale i diritti edificatori non solo sono genericamente disponibili per contratto[39] ma vengono costituiti, trasferiti e modificati direttamente per effetto di questo, con conseguente estendibilità del principio consensualistico, espressione dell’autonomia negoziale delle parti e non già del procedimento amministrativo.

Avendo chiarito questi aspetti, la Suprema Corte ha infine aderito alla teoria obbligatoria della cessione di cubatura enucleando il seguente principio di diritto: “la cessione di cubatura, con la quale il proprietario di un fondo distacca in tutto o in parte la facoltà inerente al suo diritto dominicale di costruire nei limiti della cubatura assentita dal piano regolatore e, formandone un diritto a sé stante, lo trasferisce a titolo oneroso al proprietario di altro fondo urbanisticamente omogeneo, è atto immediatamente traslativo di un diritto edificatorio di natura non reale a contenuto patrimoniale;

– non richiedente la forma scritta ad substantiam ex art.1350 cod. civ.;

– trascrivibile ex art. 2643, n. 2-bis cod. civ.;

– assoggettabile ad imposta proporzionale di registro come atto ‘diverso’ avente ad oggetto prestazione a contenuto patrimoniale ex art. 9 Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R.131/86 nonché, in caso di trascrizione e voltura, ad imposta ipotecaria e catastale in misura fissa ex artt. 4 Tariffa allegata al d.lvo 347/90 e 10 co. 2°, del medesimo d.lvo”.

[1] Art. 869 Piani regolatori – I proprietari d’immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni delle costruzioni esistenti. Art. 870 Comparti – Quando è prevista la formazione di comparti, costituenti unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento, gli aventi diritto sugli immobili compresi nel comparto devono regolare i loro reciproci rapporti in modo da rendere possibile l’attuazione del piano. Possono anche riunirsi in consorzio per l’esecuzione delle opere. In mancanza di accordo, può procedersi all’espropriazione a norma delle leggi in materia.

[2] Art. 871 Norme di edilizia e di ornato pubblico – Le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali. La legge speciale stabilisce altresì le regole da osservarsi per le costruzioni nelle località sismiche. Art. 872 Violazione delle norme di edilizia – Le conseguenze di carattere amministrativo della violazione delle norme indicate dall’articolo precedente sono stabilite da leggi speciali. Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione in pristino quando si tratta della violazione delle norme contenute nella sezione seguente o da questa richiamate.

[3] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Terza Ed. 2021, 1444

[4] F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XX Ed. 2021,  273

[5] R. Carleo S. Martuccelli S. Ruperto, Istituzioni di diritto privato, Ed. 2015, 301

[6] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Terza Ed. 2021, 1444

[7] Corte di Cassazione Sez. Seconda civile Sentenza N. 4850 del 26.03.2012 “In particolare, correttamente la sentenza impugnata ha rilevato, ai sensi degli artt. 1346 e 1418 c.c., per violazione delle norme imperative in materia urbanistica, la nullità del contratto di appalto “nella parte in cui prevedeva l’esecuzione di opera in assenza di concessione edilizia”.

[8] La disposizione relativa agli atti soggetti a trascrizione comprende: “2-bis) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale” inciso così aggiunto dal D.L. 70/2011

[9] R. Carleo S. Martuccelli S. Ruperto, Istituzioni di diritto privato, Ed. 2015 301

[10] T.A.R. Puglia, sezione III Lecce, 7 maggio 2012, n. 776 e Consiglio di Stato, sezione V, 20 agosto 2013, n. 4195

[11] C.M. Bianca, Diritto Civile vol. VI – La Proprietà, Ed. 2017, 222

[12] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Terza Ed. 2021, 1444

[13] G. P. Cirillo, La premialità edilizia, la compensazione urbanistica e il trasferimento dei diritti edificatori, Ottobre 2019, 9

[14] G. P. Cirillo, La premialità edilizia, la compensazione urbanistica e il trasferimento dei diritti edificatori, Ottobre 2019, 9

[15] C.M. Bianca, Diritto Civile vol. VI – La Proprietà, Ed. 2017, 222

[16] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Terza Ed. 2021, 1453

[17] G. P. Cirillo, La premialità edilizia, la compensazione urbanistica e il trasferimento dei diritti edificatori, Ottobre 2019, 11

[18] C.M. Bianca, Diritto Civile vol. VI – La Proprietà, Ed. 2017, 223

[19] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Terza Ed. 2021, 1453

[20] Che recita: “Sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti”.

[21] G. P. Cirillo, La premialità edilizia, la compensazione urbanistica e il trasferimento dei diritti edificatori, Ottobre 2019, p. 10

[22] V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, Terza Ed. 2021,1453

[23] Studio n. 540-2014/T “Negoziazione dei diritti edificatori e relativa rilevanza fiscale, anche alla luce dell’art. 2643 n. 2-bis) c.c.” Consiglio Nazionale del Notariato, 2014, notariato.it

[24] G. P. Cirillo, La premialità edilizia, la compensazione urbanistica e il trasferimento dei diritti edificatori, Ottobre 2019, p. 10

[25] F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XX Ed. 2021, 273

[26] Cass Sez. II, Sentenza n. 12631, 17 giugno 2016

[27] M. Fratini, Manuale sistematico di diritto civile, Ed. 2020-2021, 559

[28] F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, XX Ed. 2021,  274

[29] Cass. Sez. I, Sentenza n. 2235 del 1972

[30] Cass. Sez. V, Sentenza n°7417 del 2003

[31] Cass. Sez. V, Sentenza n° 10979 del 2007

[32] Cass. Sez. II, Sentenza n. 20623 del 2009

[33] Cass Sez. II, Sentenza n. 20623 del 2009

[34] Cass Sez. II, Sentenza n. 12631 del 2016

[35] Cass Sez. II, Sentenza n. 24948  del 2018

[36] Cass. Sez. II, Sentenza n. 20623 del 2009

[37] Art. 1 co. 1, all. Tariffa 1, d.P.R. 131/1986

[38] Art.9, all. Tariffa 1, d.P.R. 131/1986

[39] “2-bis) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale.”.

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