venerdì, Aprile 19, 2024
Di Robusta Costituzione

Chi decide il colore delle regioni? L’ordinanza n. 98/2020 del Presidente della Campania

A cura di Giandomenico Cicchetti

 

  1. Introduzione

Con l’ordinanza 98/2020 del 19 dicembre 2020 u.s., il Presidente della Giunta regionale della Campania ha disposto che dal 20 al 23 dicembre si applicassero a tale regione misure più restrittive rispetto a quelle previste dalla normativa nazionale in relazione allo specifico livello di rischio locale.

L’ordinanza n.98/2020 prevedeva, in particolare, dal 20 al 23 dicembre: 1) l’ultrattività di tutte le misure vigenti alla data della sua adozione per effetto di disposizioni statali – ivi comprese quelle di cui all’art.2 del DPCM 3 dicembre 2020 (cd. “zona arancione”) – e regionali (Ordinanza n. 96 del 10 dicembre 2020 in materia di controlli degli arrivi e limitazioni alla mobilità sul territorio regionale), e ciò malgrado l’ordinanza del Ministro della Salute del 5.12.2020, la quale classificava la Campania come zona arancione, cessasse di avere effetto il 19.12.2020; 2) il divieto, per i bar e gli altri esercizi commerciali, di vendita con asporto di qualsiasi tipologia di bevanda, alcolica e non alcolica, ad esclusione dell’acqua, sin dalle 11 del mattino; 3) divieto di consumo di cibi e bevande, anche non alcoliche, con esclusione dell’acqua, nelle aree pubbliche ed aperte al pubblico, ivi comprese le ville e i parchi comunali, per tutta la giornata; 4) obbligo di misurazione della temperatura corporea all’ingresso di tutti gli esercizi commerciali e di proibire l’ingresso laddove la temperatura risultasse superiore a 37,5 °. Essa recava, poi, delle raccomandazioni rivolte ai comuni e alle altre autorità competenti.

È evidente come, oltre a stabilire l’applicazione di tutte le misure previste dalla normativa nazionale per le zone arancioni, l’ordinanza abbia previsto talune restrizioni ancor più gravose.

In particolare, i divieti di cui ai nn. 2 e 3 pongono limitazioni ulteriori rispetto a quelle sancite dall’art. 2, comma 4, lett. b) e c), dpcm 3.12.2020, che non prevede limitazioni alla circolazione nel comune di residenza/domicilio per le zone arancioni e consente fino alle 22 la ristorazione da asporto, nonché rispetto a quelle poste dall’art. 1, comma 10, lett. b) del dpcm cit., che subordina l’accesso ai parchi, alle  ville  e  ai   giardini pubblici unicamente al rispetto del divieto di assembramento ed al rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro, applicabile alle zone arancioni in forza dell’art. 2, comma 5, del dpcm.

A parte qualche notizia che ha dato risalto alle proteste di ristoratori e baristi, l’ordinanza è passata in sordina nel dibattito pubblico, nonostante essa costituisca, unitamente all’ordinanza del Presidente della Giunta regionale dell’Abruzzo del 6 dicembre 2020, n. 106, uno dei rari ed eclatanti casi in cui un Presidente regionale ha deciso autonomamente di cambiare colore alla propria regione. Può essere, allora, opportuno riflettere su tale provvedimento, anche nell’ambito della più ampia vexata quaestio del rapporto Stato-Regioni nella gestione dell’emergenza sanitaria, ponendosi le seguenti domande, e senza la velleità di fornire risposte esaustive a problematiche così complesse e controverse.

 

  1. Il Presidente della Giunta regionale può cambiare colore alla regione e limitare gli spostamenti fra regioni?

Il sistema della differenziazione delle misure restrittive da regione a regione sulla base del colore, che sta ad indicare il livello di rischio sanitario riscontrato nelle stesse, è stato introdotto dall’art. 2 dpcm 2.11.2020. Soltanto successivamente (pochi giorni dopo) è stato recepito dalla legislazione primaria. Infatti con l’art. 30 del d.l. 9.11.2020, n. 149, è stato introdotto il comma 16-bis dell’art.1 del d.l. 16.05.2020, n. 33, che disciplina il procedimento per l’individuazione del livello di rischio delle singole regioni.

Oggi, dunque, una norma avente forza di legge stabilisce che il livello di rischio delle singole regioni può essere stabilito soltanto con ordinanza del Ministro della Salute, sentiti i Presidenti delle regioni interessate ed il Comitato tecnico scientifico.

Con l’ordinanza n. 98/2020 il Presidente della regione Campania ha, invece, autonomamente deciso l’ultrattività di tutte le restrizioni previste per la zona arancione. Nella sostanza l’ordinanza, anche se per soli 4 giorni, ha prodotto l’effetto di un vero e proprio cambiamento di colore.

Può obiettarsi che tale sostanziale effetto sarebbe giustificato dal potere dei Presidenti di regione di adottare, sui propri territori, misure più restrittive rispetto a quelle previste in generale dai dpcm. E tuttavia, se si ritenesse che tale potere possa spingersi fino a decretare l’integrale applicazione di misure approntate per una fascia di rischio superiore rispetto a quella nella quale la regione viene classificata con l’ordinanza del Ministro della salute, bisogna ammettere che allora qualsiasi Presidente regionale potrebbe vanificare i provvedimenti del competente Ministro, con disapplicazione dell’art. 1, comma 16-bis, cit..

La vicenda ricorda quanto già accaduto con l’ordinanza del Presidente della Regione Abruzzo del 6.12.2020 n. 106, con la quale il livello di rischio di tale regione veniva dequotato da rosso ad arancione. Infatti, mentre con l’ordinanza del Ministro della salute del 5.12.2020 l’Abruzzo veniva annoverato fra le regioni rosse, l’ordinanza regionale disponeva l’applicazione delle misure previste dall’art. 2 dpcm 3.12.2020 a partire dal 9.12.2020, vanificando così l’ordinanza ministeriale, efficace fino al 19 dicembre. In quell’occasione, sospendendo la citata ordinanza, la giurisprudenza aveva precisato come sussistesse “la competenza esclusiva del Ministro della salute a provvedere alla classificazione delle Regioni e Province autonome sulla base di scenari differenti e diversi livelli di rischio previsti dal D.P.C.M. 3 dicembre 2020” e come “le Regioni possono autonomamente adottare provvedimenti derogatori solo in senso più restrittivo mentre gli eventuali ampliamenti migliorativi avrebbero presupposto il formale atto d’intesa con il Ministero della Salute”[1].

Pur riguardando un caso soltanto parzialmente affine a quello qui analizzato, poiché l’ordinanza abruzzese adottava, al contrario di quella campana, misure più permissive rispetto alla normativa nazionale, l’orientamento giurisprudenziale citato è significativo, in quanto evidenzia la competenza esclusiva del Ministro della salute ad individuare il livello di rischio locale e a determinare, quindi, il colore delle regioni.

Tornando all’ordinanza campana n. 98/2020, essa ha posto restrizioni molto sacrificanti. Infatti, disponendo l’applicazione al territorio regionale dell’art. 2 dpcm 3.12.2020, ha limitato la mobilità interregionale nel giorno 20.12.2020, unico giorno in cui tale mobilità era consentita, dato che l’ordinanza del Ministro della salute che proclamava la zona arancione scadeva il 19.12.2020 e che il 21.12.2020 sarebbe entrato in vigore il d.l. 158/2020, che come è noto ha vietato la mobilità fra regioni nel periodo delle festività natalizie.

Invero, non è la prima volta che, durante la pandemia, un Presidente di regione limita la libertà di circolazione fra regione e regione. Si pensi, infatti all’ordinanza del Presidente della Giunta della Valle D’Aosta del 15 marzo 2020, n. 111, all’ordinanza del Presidente della Giunta della Basilicata del 22 marzo 2020, n. 10 e all’ordinanza del Presidente della Giunta della Calabria del 22 marzo 2020, n. 15. Esse vietavano ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dal territorio regionale.

La dottrina si era interrogata sulla legittimità costituzionale di tali misure, ed in particolare sulla compatibilità delle stesse con l’art. 120, comma 1, della Costituzione, che vieta alle regioni la possibilità di “adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni”. Al riguardo, mentre secondo una prima tesi i provvedimenti regionali contrastano con la citata disposizione costituzionale, che imporrebbe un divieto assoluto per le regioni di limitare la circolazione interregionale di persone e cose[2], per una seconda tesi, al fine di tutelare il valore della salute, rientrante per previsione costituzionale nelle competenze regionali, le regioni possono vietare la mobilità in entrata e in uscita[3].  

La seconda tesi fa leva, segnatamente, su una pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza n. 51, 6 febbraio 1991[4]), secondo la quale l’art. 120 vieta alle regioni di porre ostacoli alla circolazione in assenza di un fondamento costituzionale agli stessi, che in tal caso si rivelerebbero “ingiustificati e arbitrari”. Per contro, limitazioni alla circolazione di persone o cose sono legittime in presenza di un valore costituzionale che giustifica la limitazione, se la regione ha una competenza in materia al fine di tutelare interessi costituzionalmente affidati alla sua cura, e purché il provvedimento rispetti i requisiti di legge ed abbia un contenuto proporzionato.

Rispetto alle ordinanze regionali adottate a marzo, quella campana, però, deve misurarsi altresì con quanto previsto dall’art. 1, comma 3, d.l.  16 maggio 2020, n.33, in forza del quale: “A decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti interregionali possono essere limitati solo con provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 2 del decreto-legge n. 19 del 2020, in relazione a specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree”. Nella vigenza di tale norma, quindi, soltanto i dpcm possono imporre limitazioni alla circolazione fra le regioni, avendo la legge configurato una sorta di riserva di dpcm; salvo che nei casi di estrema necessità ed urgenza (art. 2, comma 2, d.l. 19), ma pur sempre nelle more dell’adozione dei dpcm e con efficacia limitata fino a tale momento, quando è ammessa l’adozione di ordinanze del Ministro della salute ex art. 32 L. 833/1978.

Nel caso dell’ordinanza campana, poi, il divieto all’ingresso e all’uscita dal territorio ha avuto l’effetto di impedire il ricongiungimento di affetti stretti che non potevano giustificare i propri spostamenti con il motivo del ritorno alla residenza, al domicilio o all’abitazione. Con conseguente eccessiva compressione del diritto alla vita privata e familiare sancito dall’art. 8 CEDU, che può bensì essere limitato per ragioni di “protezione della salute”, ma soltanto con legge.

 

  1. Quando i Presidenti della Giunta regionale possono adottare ordinanze che impongono restrizioni ulteriori rispetto a quelle previste dai dpcm?

La questione è particolarmente complessa e dibattuta.

Attualmente vi sono ben due norme che prevedono questa possibilità: l’art. 3 del d.l. 25 marzo 2020, n. 19, e l’art. 1, comma 16, del già citato d.l. 33/2020.

Prima di analizzare le suddette norme, conviene ricordare che il d.l. n. 19 ha sostituito ed abrogato il precedente d.l. 23.02.2020, n. 6. Ebbene, già all’atto dell’adozione d.l. n. 6, era stato evidenziato come il Governo avesse dato luogo ad un radicale mutamento delle fonti di regolazione dell’emergenza, passando dalle iniziali ordinanze di protezione civile fondate sul d.lgs. 1/2018, alle successive ordinanze contingibili e urgenti in materia di emergenza sanitaria ex artt. 32 L.833/1978, 117 d.lgs. 112/1998 e 50 d.lgs. 267/2000 (c.d. TUEL), per approdare infine ad una terza via: quella dei decreti-legge (sul punto però non v’è unanimità di vedute[5]). Le ragioni poste alla base di tale scelta sono state individuate in esigenze di accentramento e speditezza, attribuendo il potere di ordinanza “al  solo Presidente  del  Consiglio  dei  ministri sottraendolo alle autonomie  territoriali”[6], salvo le espresse deroghe consentite dalla legge. Si sarebbe venuto a creare, in tal modo, una sorta di nuovo ordinamento creato ad hoc per l’emergenza, sbilanciato – è stato osservato in dottrina, mettendone in luce le criticità – a tutto vantaggio del Presidente del Consiglio dei Ministri[7].

Il successivo d.l. n. 19, ponendosi in continuità con tale visione, ha tentato di fugare i residui dubbi sull’avvenuta centralizzazione della gestione dell’emergenza sanitaria, limitando la più ampia possibilità di intervento regionale[8] che invece lasciavano talune ambigue disposizioni del d.l. n. 6, foriere di numerosi contrasti fra disposizioni statali e regionali, e tacciate altresì di illegittimità costituzionale per violazione del principio di legalità sostanziale[9]. Si è sostenuto che è stata realizzata, in tal modo, una chiamata in sussidiarietà, bensì giustificata dalla gestione di una malattia che ha travolto l’intero stato, ma che poteva porre dei problemi in relazione al principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost[10].

In merito al potere di ordinanza regionale e sindacale residuato a seguito dell’adozione del d.l. 19, il Consiglio di Stato ha ritenuto che: “In presenza di emergenze di carattere nazionale, dunque, pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi deve essere una gestione unitaria della crisi per evitare che interventi regionali o locali possano vanificare la strategia complessiva di gestione dell’emergenza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di limitare le libertà costituzionali.

Per le ragioni prima esposte, l’articolo 3 d.l. cit. riconosce un’autonoma competenza ai presidenti delle regioni e ai sindaci ma solo al ricorrere di questi presupposti e delle seguenti condizioni:

  1. nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2, comma 1, e con efficacia limitata fino a tale momento;
  2. in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate;
  3. esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza;
  4. senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale[11].

Ebbene, per quanto riguarda l’ordinanza n.98/2020, mentre non paiono sussistere significativi problemi di compatibilità dell’ordinanza con i requisiti sub. c) e d), può rilevarsi che:

  • in relazione al requisito sub. a), l’ordinanza è stata adottata nella vigenza del dpcm 3.12.2020, e non nelle more dell’adozione di un dpcm;

  • in relazione al requisito sub. b), l’indice Rt della Regione, come si evince dai report di monitoraggio nn. 30 e 31, era sceso da 0.71 a 0.59, e la motivazione dell’ordinanza non evidenzia “specifiche situazioni sopravvenute di rischio” ma soltanto una generica esigenza di evitare un rilassamento dei comportamenti, in relazione al probabile impatto della mobilità e della socialità natalizia sulla diffusione del virus, ricavata dal report di monitoraggio n. 31. Può peraltro evidenziarsi come l’esigenza di contenimento della mobilità e della socialità natalizia fosse già stata valutata a livello centrale dal d.l. 2.12.2020, n. 158 e dal d.l. 18.12.2020, n. 172, oltre che dal dpcm 3.12.2020, e che lo stesso stralcio del report di monitoraggio n. 31, citato nella motivazione del provvedimento, conteneva la raccomandazione alle regioni di modulare le misure di contenimento in base al proprio livello di rischio, raccomandazione quest’ultima che pare esser stata disattesa dall’ordinanza in questione[12]. Può dubitarsi, infatti, della proporzionalità ed adeguatezza di misure volte ad applicare integralmente ed indiscriminatamente ad un territorio che versava in uno scenario di tipo 1, con livello di rischio basso, le misure previste per lo scenario di tipo 3, potendo chiedersi se la medesima finalità non potesse essere perseguita con misure meno restrittive delle libertà dei cittadini, anche di rango costituzionale.

Occorre però considerare, a questo punto, che sulla materia, come si è detto, è intervenuto l’art. 1, comma 16, del d.l. 33/2020, che consente alle regioni di adottare misure più restrittive: 1) nelle more dell’adozione dei dpcm ex art. 2 d.l. 19/2020; 2) in relazione all’andamento della situazione epidemiologica del territorio, accertato secondo i criteri stabiliti con decreto del Ministro della salute del 30 aprile 2020; 3) informando contestualmente il Ministro della salute.

Ci si può chiedere in che rapporto si trovano il requisito dell’ “andamento della situazione epidemiologica” ex art. 1, comma 16, d.l. n. 33 e quello delle “specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario” ex art. 3 d.l. n. 19. Non ha ragion d’essere una lettura in virtù della quale la lex posterior abbia inteso conferire maggiore discrezionalità alle regioni, con la possibilità di prescindere dal sopravvenuto aggravamento del rischio. Piuttosto, il d.l. n. 33, richiamando il d.m. 30.04.2020, ha soltanto individuato i criteri di valutazione del rischio a cui attenersi (in effetti essi non erano stati elaborati al tempo dell’emanazione del d.l. n. 19). L’adozione di misure ulteriormente restrittive slegate da sopravvenute e specifiche situazioni di aggravamento del rischio si porrebbe in contrasto con i principi di proporzionalità e adeguatezza, che informano la materia delle ordinanze di necessità e urgenza, e che sono costantemente richiamati anche dalle fonti che disciplinano la gestione della pandemia da covid-19[13]. Restano ferme, allora, circa l’ordinanza n.98/2020, le predette osservazioni, in quanto i requisiti sostanziali richiesti dai d.l. nn. 19 e 33 ai fini dell’adozione di ordinanze regionali più restrittive sono i medesimi.

E’ necessario, poi, soffermarsi sulla controversa previsione – anch’essa comune sia al d.l. 19 che al d.l. 33, ma presente pure nel previgente d.l. 6 – che le ordinanze regionali possono essere emanate soltanto nelle more dell’adozione dei dpcm. Sin da subito, circa il suo significato, si sono fronteggiate due diverse tesi.

Per una prima tesi le ordinanze regionali possono essere emanate solo prima dei dpcm e sono destinate a perdere efficacia al loro sopravvenire[14]; con la precisazione che ciò non implica la completa soppressione del potere di ordinanza regionale, il quale comunque sopravvive in relazione a spazi lasciati scoperti dalla normativa statale ed in presenza di specifiche esigenze locali[15].

Per una contrapposta interpretazione, invece, i decreti-legge hanno semplicemente configurato le norme regionali come cedevoli rispetto a quelle nazionali successivamente adottate e con esse incompatibili; mentre, pur dopo l’adozione dei dpcm sopravvenuti, resterebbero ferme le norme non incompatibili purché maggiormente restrittive. Le regioni, poi, anche dopo l’intervento di un dpcm, possono comunque adottare le loro ordinanze in quanto, una volta emanato un dpcm, ci si troverebbe pur sempre nelle – “ghiotte” per le regioni – more dell’adozione del dpcm successivo, atteso che dal d.l. 6 (ma la formula legislativa resta invariata pure nei successivi d.l. 19 e 33) non può desumersi che una volta adottato il primo dpcm il periodo di mora sia concluso, riferendosi la disposizione non “a un singolo DPCM, ma a più DPCM (al plurale “dei DPCM”!)[16].

La seconda tesi, tuttavia, pare finire con il far coincidere il periodo della durata dell’emergenza sanitaria (periodo in cui la sussistenza di una situazione emergenziale costituisce il presupposto di fatto giustificativo di “uno o più” dpcm) con il periodo di mora dell’adozione dei dpcm. E proprio la considerazione che “l’adozione di un futuro dpcm non è un obbligo e dunque non è detto che avvenga”[17], fa invece capire come fra i due periodi vi sia una sostanziale differenza. Infatti, se scaduto un dpcm non ne venisse immediatamente adottato uno nuovo e ciò, alla luce della particolari esigenze territoriali, potesse cagionare un peggioramento della situazione sanitaria locale, il Presidente regionale potrebbe senz’altro provvedere con propria ordinanza, trovandosi in un periodo di mora dell’adozione del dpcm. Possibilità che, invece, sarebbe preclusa dalla vigenza di un dpcm, in quanto il periodo di vigenza di un atto e quello di mora dell’adozione dello stesso si escludono vicendevolmente.

La giurisprudenza è quasi unanime nell’accogliere la seconda tesi.

Proprio con riferimento ad un’altra ordinanza campana, la n. 89/2020, con la quale veniva sospesa la didattica in presenza anche per le scuole dell’infanzia e per le scuole primarie, ponendo una misura più restrittiva di quella sancita dall’art. 1, comma 9, lett. s), del dpcm 3.11.2020, è stato ritenuto che: “non è in discussione, in presenza di istruttoria conforme ai principi di attualità e completezza, il potere di ciascun presidente regionale di adottare provvedimenti più restrittivi rispetto a quanto il D.P.C.M. prevede per la “zona di rischio” in cui la Regione è inserita[18], e che: “l’intervenuta emanazione del DPCM 4 novembre 2020 non esclude la persistente possibilità, per le Autorità sanitarie regionali e locali, di adottare misure più restrittive in presenza di situazioni sopravvenute (ovvero non considerate nel detto DPCM), o da specificità locali, giustificative del potere di ordinanza contingibile e urgente, in generale previsto dall’art. 32 della L. 833/1978, e, comunque, dall’art. 3 del d.l. 25 marzo 2020, n. 19 e successive modificazioni, richiamati anche nell’ordinanza impugnata[19].

E’ noto poi, il contrasto giurisprudenziale relativo ad una simile ordinanza del Presidente della Regione Puglia, la n. 407/2020 afferente anch’essa alle modalità di svolgimento dell’istruzione scolastica, non sospesa dal Tar Lecce[20] e sospesa, invece, dal Tar Bari, che ha rilevato un’interferenza incoerente con l’organizzazione dei servizi scolastici disposta dal dpcm 3.11.2020[21].

Le citate pronunce sono state rese in fase cautelare, con la conseguente sommarietà del giudizio anche in punto di fumus boni iuris, ma se avessero inteso aderire alla prima delle suesposte tesi, avrebbero potuto accogliere le istanze cautelari semplicemente osservando che le Regioni non erano legittimate ad adottare misure più restrittive alla luce della vigenza di dpcm ex art. 2 d.l. 19/2020, mentre persino il Consiglio di Stato ha motivato in senso diametralmente opposto, affermando di non dubitare della possibilità di intervento delle regioni. Del resto, anche il già citato decreto Tar L’Aquila, n. 241/2020, che ha accolto la domanda sospensiva dell’ordinanza impugnata, non ha messo in dubbio il potere della autorità regionali di adottare autonomamente misure più restrittive in presenza di specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario.

Pare, dunque, che la formula “nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020”, non venga intesa come postulante una lacuna nella normativa statale, che una peculiare necessità locale imponga di colmare. Piuttosto, sembra essere letta nel senso che, se nella vigenza di un dpcm si manifestano specifiche esigenze territoriali, ciò legittima l’intervento regionale più restrittivo nelle more dell’adozione del prossimo dpcm, anche su materie già disciplinate dal centro. Ritenendosi sufficiente a giustificare l’esercizio del potere di ordinanza regionale il solo sussistere di specifiche esigenze locali, che da sole legittimano, a livello territoriale, un bilanciamento fra valori costituzionali diverso da quello operato dall’amministrazione centrale[22]. Tale atteggiamento, tuttavia, non attribuendo alcun rilievo alla presenza o all’assenza di una disciplina nazionale, potrebbe rischiare di vanificare quella esigenza della “gestione unitaria della crisi” individuata in dottrina e giurisprudenza quale ratio dei limiti posti dal legislatore all’intervento delle autorità regionali[23], consentendo, di fatto, ai Presidenti di regione di adottare autonomamente misure più restrittive in qualsiasi momento.

Prendendo spunto dal già citato Tar Napoli, che fonda il potere di ordinanza regionale anche sull’art. 32 legge 833/1978, può svolgersi, a questo proposito, un’ultima osservazione. L’art. 3, comma 3, d.l. 19/2020 precisa che  “Le  disposizioni  di  cui  al  presente  articolo  si  applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente”.

Il legislatore ha quindi sottoposto l’esercizio del potere di ordinanza regionale sanitaria ex art. 32 l. 833/1978, ai limiti più stringenti previsti per l’intervento regionale dalla legislazione emergenziale legata al covid-19. Ciò emerge comparando il testo del previgente art. 3, comma 2, d.l. 6, che sanciva la possibilità di adottare provvedimenti straordinari “ai sensi” degli artt. 32 cit., 117 d.lgs. 112/1998 e 50 TUEL, con il sopra citato art. 3, comma 3, d.l. 19. È stato infatti osservato che con tale disposizione il legislatore ha inteso chiarire “che la disciplina emergenziale andava a derogare ogni altra normativa che prevedesse poteri di ordinanza in capo ai Presidenti di Regione ovvero ai Sindaci”[24].

La predetta lettura, tuttavia, non sempre pare trovare riscontro in giurisprudenza. Anche secondo il Tar Piemonte[25], infatti, le regioni possono scegliere se emanare ordinanze sanitarie sulla base dell’art. 3 d.l. 19 o, in alternativa, sulla base dell’art. 32 L. 833/1978. E, in tale seconda evenienza, presupposto necessario e sufficiente per l’adozione di provvedimenti straordinari è l’andamento del rischio sanitario locale. Tuttavia, una sentenza del Tar Calabria[26] si è espressa in maniera conforme al summenzionato indirizzo dottrinale, ritenendo che i limiti di cui all’art. 3, comma 3, d.l. 19, valgano altresì per le ordinanze sanitarie adottate in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione legislativa previgente.

 

  1. Una questione giuridica o una questione politica?

Nell’analisi del rapporto Stato-Regioni nella gestione dell’emergenza, non si può trascurare una significativa modifica della legislazione emergenziale, introdotta dal c.d. decreto semplificazioni.

Il comma 2 dell’art. 3 del d.l. 19 disponeva che: “I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili  e  urgenti  dirette  a  fronteggiare   l’emergenza in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1”. La norma presenta aspetti di particolare interesse, anche per le interpretazione sistematiche di cui è stata oggetto, essendo stata adoperata per sostenere che se il potere di ordinanza veniva attribuito ai Sindaci, esso doveva, a fortiori, spettare altresì ai Presidenti di regione.

Ad esempio, l’ordinanza del Presidente della Regione Veneto del 3 aprile 2020, malgrado l’introduzione dell’art. 3 d.l. 19/2020 e l’adozione del dpcm che a tale d.l. dava attuazione, continuava a ritenere sussistente il potere di ordinanza regionale fondato sugli artt. 32 l. 833/78, 117 d.lgs. 112/98, 50, comma 5, d.lgs. 267/00, e faceva leva proprio sull’art. 3, comma 2, d.l. 19, affermando che esso “conserva chiaramente il potere di ordinanza in capo ai sindaci pur dopo l’adozione di misure statali attuative del decreto legge, il che comporta necessariamente, per simmetria, analoga permanenza del potere regionale, purché non in contrasto con le misure statali e quindi purché più restrittive di queste ultime”[27].

Analogo – se non addirittura più ampio – potere in capo ai Presidenti di regione era stato dedotto, poi, in giurisprudenza ancora dal comma 2 dell’art. 3 del d.l. 19, ove era stato considerato che “l’art. 3, comma 2, del D.L. n. 19/2020 cit. vieta tassativamente ai soli “Sindaci” di provvedere “in contrasto con le misure statali, né eccedendo i limiti di oggetto cui al comma 1”, mentre analogo, tassativo, divieto non risulta essere sancito per gli organi di livello regionale”[28].

Ebbene, l’art. 18 del d.l. 16 luglio 2020, n.76 ha abrogato l’art. 3, comma 2, d.l. 19. Nella relazione illustrativa si legge che il fine dell’abrogazione è quello di ripristinare pienamente i poteri extra ordinem attribuiti ai sindaci dall’articolo 50 del Testo unico degli enti locali (TUEL), in modo che gli stessi possano adottare tutte le misure contingibili e urgenti eventualmente necessarie per evitare nuove situazioni di rischio per la salute e l’incolumità delle proprie comunità”.

In effetti, a fronte di ciò, e malgrado la persistenza dei limiti posti dai commi 1 e 3 dell’art. 3 d.l. 19, sarebbe difficile sostenere che è stato creato un regime che delinea in maniera differente l’ampiezza dei poteri di ordinanza sanitaria di Sindaci e Presidenti di regioni, senza che sussistano ragioni concrete ed effettive a giustificare tale differenziazione. Peraltro, una simile differenziazione potrebbe portare a conseguenze paradossali. Con il rischio che un Sindaco potrebbe, con ordinanza, adottare misure di contenimento di un focolaio riguardante un singolo comune, mentre un Presidente regionale potrebbe intervenire su un focolaio che va espandendosi fra più comuni o a cavallo fra due province soltanto al ricorrere di stringenti presupposti.

La norma, dunque, potrebbe leggersi come un segnale della volontà del legislatore di decentrare la gestione dell’emergenza.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, non si può non prendere atto di come nella prassi e nella giurisprudenza il tema delle limitazioni ai poteri di ordinanza dei Presidenti di regione sia completamente ridimensionato, come dimostra il proliferare di ordinanze regionali ed il fatto i rari sono stati i casi di sospensione cautelare delle stesse. E come può desumersi, altresì, dall’abrogazione del comma 2 dell’art. 3 del d.l. 19, con conseguente riespansione dei poteri di ordinanza sanitaria dei Sindaci, ed a seguito della quale sarebbe estremamente difficile sostenere che ai Sindaci è concesso ciò che ai Presidenti di regione è vietato. Il che conduce, però, ad una sorta di interpretatio abrogans dell’art. 3 del d.l. 19, con applicazione della pregressa normativa in materia di ordinanze sanitarie, anche in relazione agli interventi volti alla prevenzione della diffusione del covid-19, ed alla vanificazione del tentativo di “centralizzare” la gestione dell’emergenza posto in essere dal legislatore. Sempre più arduo, pertanto, risulta individuare l’effettivo contenuto dei limiti di cui all’art. 3 e la reale portata della disposizione, che pare, allora, davvero ridursi ad “una sorta di avvertimento alle regioni a non interferire”[29] .

In merito questi duelli a suon di ordinanze contingibili e urgenti, in una continua gara fra chi “chiude” di più per salvaguardare la salute e chi “apre” prima per far ripartire l’economia, è stato osservato che “l’attivismo” del Presidente del Consiglio, assuntosi la piena responsabilità delle misure restrittive con conseguente emarginazioni degli organi costituzionali collegiali e delle altre autorità amministrative, ha involontariamente dato vita ad un corrispondente “protagonismo” dei Presidenti di regione[30]. Il problema, in definitiva, oltre che tecnico-giuridico, ha pure, innegabilmente, una componente squisitamente politica riconducibile ai rapporti di forza fra autorità centrali e autorità regionali[31].

[1] Tar Abruzzo, decreto cautelare n. 241, 11 dicembre 2020, disponibile su www.giustizia-amministrativa.it.

[2] C. Pinelli, “Il precario assetto delle fonti impiegate nell’emergenza sanitaria e gli squilibrati rapporti fra Stato e Regioni”, aprile 2020, disponibile qui: https://www.diritticomparati.it/rivista/il-precario-assetto-delle-fonti-impiegate-nellemergenza-sanitaria-e-gli-squilibrati-rapporti-fra-stato-e-regioni/. Nello stesso senso A Pace, Problematica delle libertà costituzionali, Vol. II, edizione 1992, secondo il quale solo la legge statale potrebbe introdurre limitazioni alla libertà di circolazione.

[3] Si vedano, in tal senso, C. Sagone, “La libertà di circolazione e le limitazioni poste per motivi di sanità nell’ordinamento regionale”, ottobre 2020, disponibile qui: https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/4_2020_5_Sagone.pdf, A. Candido, “Poteri normativi del Governo e libertà di circolazione al tempo del covid-19, marzo 2020, disponibile qui: http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/wp-content/uploads/2020/03/candido-covid.pdf, F. Furlan, “Il potere di ordinanza dei Presidenti di Regione ai tempi del Covid19”, settembre 2020, disponibile qui: https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=44165&dpath=document&dfile=23092020095505.pdf&content=Il%2Bpotere%2Bdi%2Bordinanza%2Bdei%2BPresidenti%2Bdi%2BRegione%2Bai%2Btempi%2Bdi%2BCovid19%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bdottrina%2B%2D%2B, e pure in tal senso, ma esprimendo comunque qualche dubbio, G. Boggero, “Le “more” dell’adozione dei dpcm sono ghiotte per le Regioni. Prime osservazioni sull’intreccio di poteri normativi tra stato e regioni in tema di covid-19”, marzo 2020, disponibile qui: .

[4] Nella citata sentenza la Corte Costituzionale ha ritenuto che “il divieto imposto a ciascuna regione dall’art. 120, secondo comma, della Costituzione, relativo all’adozione di provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose fra regione e regione, non comporta una preclusione assoluta, per gli atti regionali, di stabilire limiti al libero movimento delle persone e delle cose”. Disponibile qui: https://www.giurcost.org/decisioni/1991/0051s-91.html.

[5] In dottrina sono state elaborate diverse ricostruzioni. Si può citare M. Luciani, “Il sistema delle fonti del diritto alla prova dell’emergenza”, aprile 2020, disponibile qui: https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/2_2020_Luciani.pdf, che ritiene che la legittimazione della normativa emergenziale sia fondata sulle fonti relative alla protezione civile. E non è mancato chi ha tentato di ricostruire una categoria di decreti-legge “anomali”, con caratteristiche differenti da quelle di cui all’art. 77 Cost., cfr. A. R. Rizza, “Il decreto legge anomalo nel sistema delle fonti”, maggio 2020, disponibile qui: https://www.giurcost.org/studi/rizza3.pdf.

[6] Così M. Cavino, “Covd-19. Una prima lettura dei provvedimenti adottati dal Governo”, marzo 2020, disponibile qui: https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=41287&dpath=document&dfile=17032020173454.pdf&content=Covid%2D19%2E%2BUna%2Bprima%2Blettura%2Bdei%2Bprovvedimenti%2Badottati%2Bdal%2BGoverno%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bpaper%2B%2D%2B.  E nello stesso senso pure F. Furlan, cit., a detta del quale l’unica fonte di legittimazione delle ordinanze, sia del Presidente del Consiglio dei Ministri, che dei Presidenti delle Giunte regionali, va rinvenuta nei vari d.l. che hanno scandito l’evolversi dell’emergenza, con esclusione di altre fonti.

[7] E. Longo, “Episodi e momenti di conflitto Stato-regioni nella gestione della epidemia da Covid-19”, 2020, disponibile qui: https://www.osservatoriosullefonti.it/archivi/archivio-saggi/speciali/speciale-le-fonti-normative-nella-gestione-dell-emergenza-covid-19-1-2020/1529-episodi-e-momenti-del-conflitto-stato-regioni-nella-gestione-della-epidemia-da-covid-19/file.

[8] M. Olivetti, “Le misure di contenimento del Coronavirus, fra Stato e Regioni”, aprile 2020, disponibile qui: https://www.quotidianogiuridico.it/documents/2020/04/10/le-misure-di-contenimento-del-coronavirus-fra-stato-e-regioni.

[9] Si veda, a tal proposito, F. Furlan, cit., che passa in rassegna alcuni dei contrasti più significativi fra Stato e Regioni verificatisi nella vigenza del d.l. 6/2020, e parla della “scarsa chiarezza e dalla grande discrezionalità concessa dal d.l. n. 6”. Erano stati, inoltre, avanzati dubbi sulla legittimità costituzionale dell’art. 2 d.l. 6, cfr. fra gli altri, G. Di Cosimo, “Tra decreti e decreti: l’importanza di usare lo strumento giusto”, aprile 2020, disponibile qui: https://www.lacostituzione.info/index.php/2020/04/22/tra-decreti-e-decreti-limportanza-di-usare-lo-strumento-giusto/,  in www.lacostituzione.info, da M. Belletti, “La “confusione” delle fonti ai tempi della gestione dell’emergenza da Covid-19 mette a dura prova gerarchia e legalità”, aprile 2020, disponibile qui: https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2020_3_10_Belletti.pdf, nonché da S. Cassese, “Conte avrebbe dovuto rifiutarsi di firmare decreti così contraddittori”, in Il Dubbio, 14 aprile 2020.

[10] E. Longo, cit..

[11] Consiglio di Stato, Sez. I, parere n. 735, 7 aprile 2020, al punto 8.5 dei “Considerato”, disponibile qui:  https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=consul&nrg=202000260&nomeFile=202000735_27.html&subDir=Provvedimenti. Critico, in merito a tale parere, A. Ruggeri, “Non persuasivo il parere reso, dietro sollecitazione del Governo, dal Consiglio di Stato su un’ordinanza del sindaco De Luca relativa all’attraversamento dello stretto di Messina”, aprile 2020, disponibile qui: https://www.giurcost.org/studi/ruggeri108.pdf.

[12] Il documento di “Prevenzione  e risposta a COVID-19;  evoluzione  della  strategia  e  pianificazione nella fase di transizione per il periodo autunno invernale“,  di  cui all’allegato 25 al decreto del Presidente del Consiglio dei  ministri del 3.11.2020 prospetta 4 possibili scenari. Lo scenario di tipo 3, che ai sensi dell’art.2 dei dpcm 3.11.2020 e 3.12.2020 giustifica l’adozione delle misure restrittive corrispondenti alla zona arancione, è contraddistinto da“ valori  di  Rt regionali prevalentemente e significativamente compresi tra  Rt=1,25 e Rt=1,5 (ovvero con stime IC95% di Rt comprese tra 1,25 e 1,5), e in cui  si  riesca  a  limitare  solo  modestamente  il  potenziale   di trasmissione di SARS-CoV-2  con  misure  di  contenimento/mitigazione ordinarie e straordinarie”, nonché dalla “mancata capacità di tenere traccia delle catene di trasmissione  e  iniziali segnali  di  sovraccarico  dei  servizi  assistenziali   in   seguito all’aumento di casi ad elevata  gravità  clinica”. Al contrario, tali circostanze non emergono dalla motivazione dell’ordinanza, nella quale, invece, si fa riferimento ad un indice Rt pari a 0,59. Valore che, sulla scorta del citato documento, collocava la regione addirittura nello scenario 1, Ed infatti, in ossequio ai predetti parametri, il “Report di monitoraggio n. 31 fase 2, Dati relativi alla settimana 7 – 13 dicembre 2020 (aggiornati al 16 dicembre 2020)”, disponibile qui: https://www.iss.it/monitoraggio-settimanale/-/asset_publisher/dJSrLJgOqlTV/content/report-di-monitoraggio-numero-1, inquadrava la Campania proprio nello scenario di tipo 1, con classificazione complessiva di rischio bassa.

[13] E in effetti la giurisprudenza non si è neppure posta il problema, ma sembra dare per scontato, seppure implicitamente, che l’interpretazione corretta sia la seconda. In tal senso, cfr. Tar L’Aquila, decreto 241/2020, cit., nel quale si legge che le regioni possono adottare autonomamente misure più restrittive di quelle previste dai dpcm “in presenza di specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario”. Ma sostanzialmente conforme pure Tar Napoli, decreto 2025/2020, che pure richiama espressamente la “presenza di situazioni sopravvenute”.

[14] M. Cavino, cit., G. Tropea, “Il covid-19, lo Stato di diritto, la pietas di Enea”, marzo 2020, disponibile qui: https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=41302&dpath=document&dfile=18032020175118.pdf&content=Il%2BCovid%2D19%2C%2Blo%2BStato%2Bdi%2Bdiritto%2C%2Bla%2Bpietas%2Bdi%2BEnea%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bpaper%2B%2D%2B, a detta del quale l’intervento statale “esclude, di conseguenza e salvo deroga espressa, una competenza integrativa o sostitutiva degli enti territoriali” in quanto il riparto di attribuzioni relative alla gestione dell’emergenza sanitaria fra Stato e Regioni è caratterizzato dalla competenza esclusiva statale.

[15] M. Luciani, cit..

[16] G. Boggero, Le “more” dell’adozione dei dpcm sono ghiotte per le Regioni, cit., che precisa che eventuali antinomie fra le fonti di diverso livello andrebbero risolte, nel caso di non incompatibilità della normativa regionale con i dpcm sopravvenuti, in base al principio di specialità. Sostiene la seconda tesi pure A. Romano, “I rapporti tra ordinanze sanitarie regionali e atti statali normativi e regolamentari al tempo del Covid-19”, maggio 2020, disponibile qui: https://www.federalismi.it/ApplOpenFilePDF.cfm?artid=43499&dpath=document&dfile=19052020153048.pdf&content=I%2Brapporti%2Btra%2Bordinanze%2Bsanitarie%2Bregionali%2Be%2Batti%2Bstatali%2Bnormativi%2Be%2Bregolamentari%2Bal%2Btempo%2Bdel%2BCovid%2D19%2B%2D%2Bstato%2B%2D%2Bpaper%2B%2D%2B, G. Guzzetta, “E se il caos delle norme anti-contagio fosse un trucco per toglierci la voglia di libertà?”, nel quotidiano Il dubbio del 4.04.2020.

[17] G. Guzzetta, cit..

[18] Consiglio di Stato, Sez. III, decreto cautelare n. 6453, 10 novembre 2020 disponibile qui: https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza?nodeRef=&schema=cds&nrg=202008634&nomeFile=202006453_16.html&subDir=Provvedimenti.

[19] Tar Campania, decreto cautelare n. 2025, 9 novembre 2020, disponibile in www.giustizia-amministrativa.it.

[20] Tar Puglia, decreto cautelare n. 695, 6 novembre 2020, disponibile in www.giustizia-amministrativa.it,  che ha fondato le proprie valutazioni su un bilanciamento di interessi costituzionali, senza addentrarsi in giudizi afferenti alla legislazione emergenziale

[21] Tar Puglia, decreto cautelare n. 680, 6 novembre 2020 disponibile in www.giustizia-amministrativa.it.

[22] Dubita della legittimità costituzionale di tale possibilità M. Luciani, cit., secondo il quale la fissazione di determinate soglie di tutela della salute da parte delle competenti PP.AA. centrali importerebbe un bilanciamento fra la salute ed altri valori di pari rango costituzionale, che è inderogabile dalla regioni anche in melius, fissando a livello locale standard di tutela della salute più elevati, come si desumerebbe da C. Cost. sentenza n. 307, 7 ottobre 1993. Ciò in quanto soltanto su scala nazionale sarebbe possibile tenere adeguatamente conto di tutti gli interessi in gioco.

[23] C. Ruga Riva, “Regioni vs  Governo:  fino  a che  punto  possono  spingersi le  ordinanze regionali  più restrittive? A  proposito di mascherine e altre misure di contenimento del rischio epidemiologico”, aprile 2020, disponibile qui: https://www.sistemapenale.it/it/opinioni/ordinanze-mascherine-regioni-vs-governo.

[24] F. Furlan, cit.. Nella vigenza del d.l. 6, invece, venivano effettuate osservazioni diametralmente opposte, cfr. ad esempio G. Di Cosimo, G. Menegus, “La gestione dell’emergenza coronavirus tra stato e regioni: il caso Marche”, marzo 2020, disponibile qui: https://www.biodiritto.org/content/download/3768/45243/version/1/file/03+Di+Cosimo+Menegus.pdf, che evidenziano come non v’erano elementi che facessero pensare che il legislatore avesse inteso derogare alla pregressa disciplina attributiva dei poteri di ordinanza sanitaria.

[25] Tar Piemonte, decreto cautelare n. 446, 17 settembre 2020, disponibile in www.giustizia-amministrativa.it.  Per una ricostruzione della vicenda piemontese da cui è originata la pronuncia, si veda P. Mascaro, a cura di, “Brevi riflessioni a margine del decreto del TAR Piemonte n. 446/2020”, ottobre 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/brevi-riflessioni-margine-del-decreto-del-tar-piemonte-n-446-2020-31349.

[26] Tar Calabria, sentenza n. 841, 9 maggio 2020, disponibile in www.giustizia-amministrativa.it.

[27] Cfr. C. Ruga Riva, cit., ove viene riportato una ampio stralcio della citata ordinanza veneta e vengono analizzate anche altre, emblematiche, ordinanze regionali.

[28] Tar Sicilia, decreto cautelare n. 458, 17 aprile 2020, disponibile in www.giustizia-amministrativa.it.

[29] A. Romano, cit..

[30] E. Longo, cit..

[31] Secondo C Pinelli, cit., il fallimento del tentativo di centralizzare la gestione dell’attuale emergenza sanitaria sarebbe dovuto alla “estrema debolezza dello Stato nel far valere le esigenze unitarie su un aspetto della tutela della salute di evidente competenza statale”. In tale ottica, allora, le previsioni legislative che insistono nel rimarcare la competenza amministrativa statale nella gestione della pandemia, altro non sarebbero che un inutile tentativo “di coprire l’impotenza di fronte a iniziative e pretese di parte regionale eccedenti il costituzionalmente disponibile, proprie più di repubblichette che di autonomie vissute nel quadro dell’unità repubblicana”.

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