Clausola di riserva di proprietà: e se fosse solo un modo per intimorire l’altro contraente?
A cura di Elisabetta Salata, Roberto Ferlin e Simone Galbiati partecipanti dell’Executive Master in Avvocato di Affari e dell’Executive Master in Giurista d’Impresa di MELIUSform Business School.
La legislazione italiana
Abbiamo sempre bisogno di pensare di essere tutelati, pur sapendo, a volte, di non poter applicare proprio l’istituto che ci tutela. In fondo un po’ di tranquillità, anche se astratta, ci serve: ci rende più sicuri in ciò che stiamo facendo.
È quasi un gioco di persuasione senza reali regole, ma con un risultato molto spesso soddisfacente ed utile, peraltro, a far circolare la ricchezza.
Si consideri il contratto di compravendita: esso ha ad oggetto il trasferimento della proprietà di un bene. Nulla vieta, però, alle parti che lo desiderino, di stabilire nell’accordo che la proprietà non si trasferisca immediatamente ma al verificarsi di una determinata condizione: tale condizione può essere, anche, il pagamento del prezzo stesso.
La clausola di riserva di proprietà (conosciuta anche come patto di riservato dominio), odiernamente disciplinata dagli artt. 1523 ss. c.c., è stata introdotta dall’industria manifatturiera per aumentare le vendite. Non vi è (o, forse, non vi era?) altro mezzo per far credito anche a compratori poco solvibili, permettendo loro così di pagare a rate il bene, con la conseguenza che la proprietà del bene stesso si trasferisce solamente al pagamento dell’ultima rata del prezzo pattuito (si dà per scontato, brevitatem, del caso nel quale tutte le rate intermedie siano state adempiute).
Siffatta clausola offre una tutela assai efficace al venditore contro l’inadempimento del compratore e, allo stesso tempo, lo libera immediatamente dai rischi inerenti al perimento del bene stesso oggetto del contratto. In tal modo la clausola di riserva di proprietà deroga contemporaneamente sia al principio dell’immediato effetto traslativo della proprietà, sia al principio res perit domino, rimanendo tal rischio in capo al compratore fin dal momento della consegna del bene, poiché ne può godere da subito pur acquisendone la proprietà solo al pagamento dell’ultima rata del prezzo. Seppur dottrina minoritaria abbia sostenuto in passato che tale clausola offrirebbe, in realtà, maggior tutela al compratore, ritenendo che in capo al venditore rimanga solo un diritto reale di garanzia mentre la proprietà si trasferirebbe immediatamente in capo al compratore[1], dottrina[2] maggioritaria e granitica giurisprudenza[3] hanno criticato tale ricostruzione preferendole quella ut supra delineata.
Il Codice Civile, comunque, tutela il compratore, “che è certamente il contraente più debole, contro possibili abusi del venditore di fronte all’inadempimento del primo”[4], prevedendo la conservazione del beneficio del termine per le rate successive in caso di mancato pagamento di una sola rata – purché non superi l’ottava parte del prezzo (art. 1525 c.c.) – ed il diritto alla restituzione delle rate già pagate in caso di risoluzione del contratto (art. 1526 c.c.), nonché tutela giurisdizionale in caso di abusi da parte del compratore.
A livello internazionale è nota, infatti, la difficoltà con la quale si riesce ad ottenere dall’importatore – in particolar modo se questi è situato all’interno di uno o più Paesi cc.dd. in via di sviluppo – il rilascio di adeguate garanzie in ordine al pagamento o di modalità di pagamento del prezzo tali da renderne certa la riscossione, ricorrendo a strumenti di pagamento e/o garanzia ritenuti tradizionalmente affidabili e sicuri quali, ad esempio, la lettera di credito confermata irrevocabile, la Stand by letter of credit, i crediti documentari e così via[5].
Esperienza italiana e straniera: riflessioni
La clausola di riserva di proprietà risponde, pertanto, a necessità reali di tutela dell’industria del venditore e consente al compratore di ottenere credito quando, probabilmente, non ne potrebbe avere.
Ma per chi quotidianamente opera in contesto di commercio anche internazionale, è realmente così semplice ottenere la restituzione di un bene nel caso in cui questo non venga pagato? La semplice accettazione della clausola di riserva di proprietà da parte del compratore garantisce al venditore di poter riavere il proprio bene su semplice richiesta? Qual è effettivamente l’ostacolo di fronte al quale si potrebbe trovare?
La risposta, in estrema sintesi, è apparentemente semplice: la riserva di proprietà è regolata dalla legge dello stato nella quale viene sottoscritta. Legislazioni diverse, criteri di applicazione potenzialmente diversi, possibilità di tutela potenzialmente diverse.
La legge 31 marzo 1995 n. 218[6] dispone espressamente, all’art. 51, che “il possesso, la proprietà e gli altri diritti reali su beni mobili e immobili sono regolati dalla legge dello stato in cui si trovano. La stessa legge che ne regola l’acquisto e la perdita”. L’art. 55 affronta il tema pubblicistico degli atti. Esso, infatti, statuisce che “la pubblicità degli atti di costituzione, trasferimento ed estinzione dei diritti reali è regolata dalla legge dello stato in cui i bene si trova al momento dell’atto. […] Per atto deve intendersi non quello di compravendita bensì quello con cui si rende pubblica, conoscibile a terzi e quindi opponibile ad essi la riserva di proprietà. Spesso si tratta, analogamente a quanto avviene in Italia, della registrazione presso l’Autorità Garante locale. In definitiva, è alla normativa nazionale del compratore che bisogna avere a riguardo ed è necessario che tale normativa riconosca la validità del riservato dominio”.[7]
Se il diritto di vari Stati Membri dell’Unione Europea ammette in certa misura il patto di riservato dominio, esistono però spesso notevoli limiti alla sua applicazione pratica. Per esempio, il subfornitore dovrà essere in grado di identificare precisamente le merci che ha fornito al committente e tali merci dovranno trovarsi ancora nella loro forma originaria (o aver subito soltanto l’aggiunta o l’incorporazione di parti identificabili)[8].
I problemi si verificano, soprattutto, nel caso in cui tale riserva debba essere opposta a terzi ovvero quando il compratore abbia, a sua volta, rivenduto ad un terzo un bene il cui prezzo non è stato integralmente corrisposto al venditore.
Pur essendoci dei Paesi che permettono il recupero del bene anche se illegittimamente rivenduto a terzi ed anche se questi erano in buona fede, ve ne sono degli altri che, invece, richiedono delle specifiche formalità affinché la clausola in parola possa essere effettivamente fatta valere.
In Italia, per esempio, affinché la riserva di proprietà sia opponibile ai terzi è necessario che la stessa sia stata trascritta nell’apposito registro tenuto nella cancelleria del tribunale della giurisdizione nel quale è collocato il bene (trattasi in realtà di soli macchinari).
In Australia la situazione è leggermente più complessa con riferimento alla trascrizione della clausola di riserva di proprietà in quanto quest’ultima dipende dal fatto che essa sia qualificata come “una garanzia” oppure come “un trust”.
Nell’ordinamento giuridico romeno la riserva di proprietà è regolata solo per i beni mobili e la forma di trascrizione si riferisce al c.d. pegno registrato. Al fine di poter costituire un pegno su un bene oggetto del contratto di compravendita serve un contratto di pegno (per il quale è richiesta tassativamente la forma scritta) nonché l’iscrizione nell’Archivio Elettronico dei Pegni.
La brevissima comparazione fornita da questi tre esempi mostra appieno la diversità di formalità richieste, tali da rendere estremamente complesso l’utilizzo – e la relativa applicazione – della clausola in parola per chi quotidianamente si trova ad intrattenere ed a gestire rapporti di natura commerciale con molteplici Paesi nel mondo.
Questa analisi può dare una possibile risposta – a giudizio degli scriventi – alla domanda iniziale che ci si era posti, id est se la clausola in parola fosse utilizzata dal venditore per “intimorire” la controparte meno attenta che per tutelarsi da eventuali inadempienze contrattuali da parte del compratore.
Ma tutto ciò contrasterebbe con lo spirito legislativo degli artt. 1476 e 1498 c.c. poiché sembrerebbe equiparare gli obblighi di venditore e compratore rendendo apparentemente contestuali i relativi adempimenti.
Per approfondire tutti i temi legati alla clausola di riserva di proprietà potete affidarvi al Master in Avvocato di Affari e al Master in Giurista d’Impresa di Meliusform Business School.
[1] G. ZUDDAS, Sequestro conservativo di autoveicolo venduto all’estero con patto di riservato dominio, in Riv. Dir. Civ., 1975, II, pagg. 540 ss.
[2] F. BOCCHINI, La vendita di cose mobili. Vendite con contenuti speciali, in Trattato di dir. priv. 2, diretto da Rescigno, Vol. 11, Torino, 2000, pagg. 575-745.
[3] Ex multis, Cass. Civ., Sez. II, 08-04-1999, n. 3415, in Mass. Giur. It., 1999.
[4] G.F. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale, Vol. 3, IV ed., a cura di M. CAMPOBASSO, Torino, 2009, pag. 19.
[5] A. DE CAPOA, I mezzi di tutela della proprietà negli scambi con l’estero, a cura di A. BARONI, A. DE CAPOA, Torino, 2008, pag. 8.
[6] Legge nota come “Riforma del sistema internazionale di diritto privato”.
[7] Tratto da: A. ALBICINI, Il patto di riserva di proprietà nella legislazione straniera: la normativa europea (parte prima), in https://www.studioalbicini.it/articoli/7.%20PDF.pdf, 2006
[8] Si legga F. BORTOLOTTI, Manuale di diritto commerciale internazionale, Vol. II: I singoli contratti internazionali, Padova, 2010.