Il contratto di co-branding nel settore della moda
L’avvento della tecnologia, dei nuovi mezzi di comunicazione ed il processo di globalizzazione, hanno determinato il sorgere di un nuovo scenario competitivo tra le diverse aziende, alimentando, in un certo senso il fenomeno del co- branding. Appare infatti sempre più complesso per le stesse emergere e differenziarsi. Continuamente alla ricerca di nuove strategie di marketing, di vendita e di comunicazione della brand, l’obiettivo delle aziende è quello di incrementare la soddisfazione dei consumatori ed anche di conquistare nuovi segmenti di clientela. Tale situazione ha costituito terreno fertile per il proliferare di accordi e contratti di diversa natura, volti ad incrementare ed accrescere il pubblico di consumatori. Di seguito, la disamina di uno dei contratti maggiormente utilizzati: il contratto di co-branding. Esso, al centro di molteplici dibattiti dottrinali, è stato da alcuni definito quale pratica che consiste nel marcare doppiamente il prodotto[1], da altri[2] come uno sforzo collaborativo di marketing, compiuto dalle due marche. Dal punto di vista legale, il contratto di co-branding costituisce una licenza incrociata e bilaterale in cui due parti si accordano affinché, su un prodotto, siano associati i rispettivi marchi. Si tratta una forma di collaborazione regolamentata da un contratto, tra due o più marchi noti che vengono presentati contestualmente al consumatore dando luogo ad una nuova offerta o ad un’offerta percepita come nuova o diversa dal consumatore.[3] Più precisamente il co-branding rappresenta un contratto atipico con cui due soggetti, di regola imprese, disciplinano l’utilizzo congiunto e sinergico dei propri segni distintivi. L’istituto in esame prevede la presenza di due differenti marche:
La prima definita marca ospitante o accogliente; l’altra definita invitata o secondaria. Tale contratto è caratterizzato da una significativa area di rischio, coinvolgendo elementi sensibili dell’impresa quali i diritti di proprietà intellettuale ed industriale, il know-how, la reputazione. Ragion per cui nel redigere il contratto di co-branding, dovrà essere posta particolare attenzione a diversi e molteplici aspetti. In primo luogo occorre una definizione puntuale, precisa e chiara del comune progetto, indicando i rispettivi obblighi e doveri. Occorrerà altresì chiarire le modalità d’uso dei segni e dell’eventuale know-how. Trattandosi di una licenza incrociata, limitata nel tempo e circoscritta alla specifica iniziativa commerciale, dovrà esserne specificato l’ambito temporale e territoriale. Particolare attenzione dovrà essere inoltre rivolta alla determinazione delle modalità di distribuzione e pubblicizzazione del prodotto.
Differenti tipologie di co-branding.
E’ possibile distinguere diverse tipologie di co-branding: funzionale e simbolico, Product-based e communication-based, esclusivo e non esclusivo.
Il co-branding funzionale prevede l’indicazione sul prodotto di due o più marchi utilizzati nella realizzazione del prodotto medesimo. Più precisamente l’impresa titolare del brand ospitante stipula un contratto con un partner avente lo scopo di far figurare sul prodotto, un brand esterno alla categoria in cui il prodotto stesso si trova, al fine di indurre nei consumatori il trasferimento delle valenze positive dell’immagine della marca secondaria sul prodotto. L’alleanza è agevolmente percepibile dal consumatore in quanto la collaborazione è visibile su elementi tangibili. Un esempio è dato dall’accordo tra due brand costituenti icone globali: Nike e Apple.
Nel 2006, il Ceo di Nike Mark Parker ed il Ceo di Apple Steve Jobs, hanno annunciato la loro collaborazione che vede come protagonisti il mondo dello sport e quello della musica tra loro interconnessi attraverso l’utilizzo degli innovativi prodotti nike+ipod. “Un sistema wireless che permette alle calzature Nike+ di dialogare con l’iPod nano per permettere all’utente la migliore esperienza personale sportiva e di corsa”, così sul sito ufficiale di Apple. Più diffuso ed impiegato nell’industria della moda è il co-branding simbolico, che consiste nell’associazione al marchio ospitante di un secondo marchio generatore di attributi simbolici di tipo esperenziale addizionali. Il marchio ospitante, sarà responsabile della produzione del prodotto, il marchio ospitato avrà valore evocativo. In altre parole, tale fattispecie ricorre quando una marca viene accordata a quella di altro partner, con il quale però in linea di principio non ha alcun legame merceologico, allo scopo di giovare delle valenze positive di cui gode la marca invitata.[4] E’ il caso di The North Face x Gucci. Entrambi i marchi compaiono sulla linea di prodotti outwear. “La collaborazione tra Gucci e The North Face celebra lo spirito della scoperta coniugando l’impegno di entrambi i brand a promuovere l’avventura, reale e metaforica. Unite dalla convinzione che il viaggio sia spesso anche una scoperta di se stessi, le due aziende hanno messo a frutto storie e valori comuni”, così l’accordo viene presentato sul sito ufficiale di The North Face. Al marchio North Face è associata l’idea di avventura, scoperta.
La maison fiorentina Gucci, cavalca quest’onda, estendendo la nozione di avventura che diventa non più di tipo fisico, ma una vera avventura stilistica: un’esplorazione di stile e di gusto. Il co-branding simbolico è inoltre largamente utilizzato nel settore di commercializzazione di autovetture. Si pensi alla Fiat Panda k-way, Citroen con Dolce e Gabbana e Pinko, Renault con Miss Sixty, Fiat 500 by Gucci, Luis Vuitton e BMW. Analizzando l’ultimo caso appena citato, occorre dire che la maison francese Louis Vouitton, che da sempre persegue il culto e l’arte del viaggiare con eleganza, ha stipulato un accordo con BMWI, illustre azienda tedesca, creando un set esclusivo di bagagli (borse e valigie) su misura per la nuova concept car BMWI. Grazie ad ingegnosi incastri, il guidatore può trasportare i propri effetti con stile, senza rinunciare al comfort. Anche questo, un accordo rivelatosi poi vincente. Il co-branding esclusivo ricorre in tutte quelle ipotesi in cui, alla marca invitata, viene preclusa la possibilità di stipulare altri accordi di co-branding. In tal modo si denota un’offerta di posizionamento superiore. Nel co-branding non esclusivo la marca alleata può, al contrario, associarsi con altre marche per ulteriori forme di alleanze.[5] In tale ipotesi la marca invitata viene intesa quale caratteristica comune di una categoria di prodotti.
Un’ulteriore classificazione è data dal product base co-branding, distribution base co-branding e communication based co-branding.
Il product base co-branding costituisce una forma più intensa di collaborazione tra i due o più brand. In tale ipotesi, attraverso strategie di marketing congiunto, i due o più brand, vengono commercializzati insieme. Appartiene a tele categoria anche l’ipotesi in cui i due o più marchi vengono combinati, creando un unico prodotto distintivo. Trattandosi di un’elevata forma di alleanza, i marchi possono anche dar vita ad una nuova identità di marchio ibrido. Non vi è quindi un affiancamento tra due brand per contraddistinguere il prodotto, ma si assiste ad una contaminazione tra i due marchi. E’ il caso di Fendi Fila. Tale logo, disegnato dal genio creativo Hey Reilly, vede l’utilizzo della parte denominativa Fendi e la parte grafica ed i colori Fila. La collaborazione tra la casa di lusso LVMH e Fila, ha dato vita ad una collezione sportiva di lusso. Il distribution based co-branding si realizza, invece, quando i partner sfruttano un’unica rete di distribuzione, ottimizzando gli spazi ed i profitti. Il communication based co-branding costituisce una forma meno intensa di alleanza in cui occorre distinguere due differenti forme: La Joint advertising: si verifica quando i due o più marchi, al fine di incrementare le rispettive vendite, sono accostati tra loro a livello pubblicitario. E’ questo il caso della collaborazione pubblicitaria tra Uliveto e Rocchetta. La Joint promotion che concerne le alleanze che si verificano quando due o più marche note collaborano a livello promozionale per generare vendite aggiuntive attraverso la combinazione della capacità di richiamo di entrambe[6] Mc Donalds e Disney.
Il contratto di co-branding: quando una celebrità diventa marchio di selezione.
Il contratto di co-branding, può essere inoltre stipulato tra il titolare di un marchio ed una persona celebre che, in tale ipotesi, viene usata come marchio di selezione. La presenza di persone celebri quali cantanti, modelli, artisti, nell’industria fashion, al fine di rilanciare e promuovere prodotti è sempre più frequente. Tale tendenza è stata cavalcata da Tommy Hilfiger con la sua linea Tommy x Gigi. Il nome della modella americana Gigi Hadid viene utilizzato come marchio per indicare colei che ha operato una certa ricerca stilistica ed un imprinting di gusto, mentre la produzione dei prodotti rimane in capo a Tommy Hilfiger. Caso analogo l’accordo di co-branding tra Kanye West ed Adidas, con il quale il primo ha creato una linea di calzature di lusso denominata Yeezy, determinando ingenti vantaggi per la società Adidas. Tale collaborazione rappresenta l’emblema di un’operazione di marketing perfettamente riuscita. La ricerca ,presso i pochissimi venditori autorizzati, è stata frenetica e spasmodica come per nessun’altra scarpa sportiva fino ad ora. “Con Adidas+Kenye West stiamo esplorando nuovi territori, aprendo il mondo dello sport alla creatività di Kanye. Questo è cio che Adidas è sempre stata: autorizzare i creativi a creare novità”, così Eric Liedkte, Chief Marketing Officer di Adidas. La stessa intuizione, l’ha avuta Giuseppe Zanotti nella sua collaborazione GiuseppexJennifer con il quale il primo ha chiesto all’artista americana di partecipare alla realizzazione di una linea di scarpe. Un sodalizio creativo che abbraccia gli stili di entrambe le personalità. Swaroski, borchie, raso, questi i dettagli scelti dalla celebre cantante per le calzature dello stilista italiano.
Co-branding: l’incontro tra l’industria della Moda e quella del Food&beverage.
Accanto alle ipotesi esaminate, si pongono quelle in cui il contratto di co-branding vede come protagonisti il mondo della Moda e quello del Food&Beverage. L’incontro e la fusione sinergica di questi due mondi determina la creazione di un prodotto diverso ed unico, percepito dal consumatore di qualità superiore. E’ questo il caso della linea Armani/Dolci di Guido Gobino in cui quest’ultimo, noto maitre chocolatier italiano, ha siglato un accordo con Giorgio Armani, permettendo alle due eccellenze, rispettivamente del mondo del cioccolato e del mondo della moda, di fondersi in un prodotto unico e raffinato. I dolci di alta qualità del laboratorio artigianale torinese, hanno vantato la loro presenza nei templi della moda Armani.
Analogo all’accordo di co-branding appena citato, è la collaborazione tra Disaronno ed Etro. Disaronno wears Etro. La fantasia Paisley di Etro la cui produzione è iniziata nel 1981, conferisce estro e vivacità alla bottiglia Disaronno, costituendo un mix perfetto e trasformando la bottiglia in un vero e proprio oggetto da collezione. La scelta di Disaronno di siglare un contratto di co-branding con un marchio di moda non è nuova, potendo vantare altre innumerevoli collaborazioni con colossi del settore Fashion quali Moschino, Versace e Cavalli. Anche Coca Cola è solita nella realizzazione di lattine e bottiglie di piccola dimensione, adornate con colori, fantasie e texture differenti a seconda del diverso marchio con il quale stipula l’accordo. Nel 2013 la coca cola viene vestita da Marc Jacobs, nel 2014 da Moschino, nel 2015 da Trussardi, nel 2016 da Pinko. Ed anche Alberta Ferretti, Etro, Marni, Versace, Missioni, Fendi. Un mix di moda frizzante! Il binomio Food&Beverage e industria Fashion, è ravvisabile anche nella collaborazione tra Ladurée e Louboutin. L’impresa dolciaria di lusso francese ha infatti stipulato un accordo di co-branding con Christian Louboutin che, nel 2009, ha tinto di rosso e nero i famosi e raffinati macarons. Gli iconici dolcetti, erano inoltre contenuti in confezioni decorate con le scarpe della maison. Il cofanetto, avente lo scopo di rappresentare le due passioni delle donne , scarpe e dolci, costituì un mix perfetto di straordinaria efficacia.
Conclusioni.
Il contratto di co-branding, nella maggior parte dei casi, rappresenta una strategia di marketing vincente, consentendo alle aziende la possibilità di creare, attraverso la giustapposizione o fusione dei loro marchi, un’esperienza unica sul mercato. Nella società attuale, caratterizzata da una competitività sempre più spinta, il contratto di co-branding rappresenta senz’altro una soluzione tencnico giuridica sempre più utilizzata e scelta per la sua estrema duttilità anche in considerazione della reale capacità di “attrarre” nuova clientela e giungere con estrema efficacia e con maggiore impatto nel mercato del fashion.
[1] C.Hillyer, S. Tikoo, Effect of co-branding on consumer product evaluations, edizione 1995.
[2] J.N, Kapferer, Strategic Brand Manegement, edizione 1997.
[3] F.Cecchinato, Co-branding, edizione 2007.
[4] C.A.Giusti, Segni distintivi dell’azienda: dinamismo e profili di tutela a confronto, edizione 2017.
[5] G.Bertoli , B.Busacca, Co branding e valore della marca, edizione 2003.
[6] G.Bertoli, B. Busacca, Co branding e valore della marca, edizione 2003.
Si legga ancora:
Martino, Il contratto di licenza nelle industrie di moda, Ius in itinere.
Laureata in Giurisprudenza con tesi in Diritto Civile presso l’Università di Napoli Federico II, prosegue la propria formazione presso la Scuola di Specializzazione per le professioni legali a Napoli.
Praticante avvocato presso Studio Legale civlista.
Animata da una forte passione per il settore della moda, attualmente iscritta al master part time “Fashion Law” presso il Sole24ore Business School.
Collabora con la rivista giuridica online “Ius In Itinere”, scrivendo articoli per l’area Fashion law.