venerdì, Marzo 29, 2024
Criminal & Compliance

Colpevoli d’essere nati. L’infanticidio

Resta in carcere la mamma trentaquattrenne responsabile della morte del neonato appena partorito in bagno e gettato dalla finestra del suo appartamento, a Settimo Torinese, martedì 30 Maggio 2017. La madre, con estrema freddezza ha confessato, asserendo, durante l’interrogatorio di garanzia, di essere totalmente inconsapevole della gravidanza. Ora ci si interroga sul motivo di questo folle gesto e la donna potrebbe essere colpevole di infanticidio ex art. 578 c.p. oppure di omicidio ex art. 575 c.p.

Il codice penale all’art. 578, nel Capo dedicato ai “delitti contro la vita e l’incolumità individuale”, parla di “Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale”.

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Infatti, ai primi due commi l’articolo recita: “La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del fetodurante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni.
A coloro che concorrono nel fatto di cui al primo comma si applica la reclusione non inferiore ad anni ventuno.”

Quali sono i caratteri che distinguono l’infanticidio dall’omicidio generico ex art. 575 c.p.?

In primis, il reato di infanticidio è un reato “proprio”, diverso dal reato “comune”. Infatti, i reati il cui fatto tipico può essere realizzato da qualsiasi persona, si dicono “reati comuni”; quelli, invece, di cui possono essere autori soltanto determinate persone, si definiscono reati “propri”. Il reato proprio si caratterizza per la relazione che intercorre tra il soggetto attivo, per la particolare qualità o posizione che riveste, ed il bene protetto dalla norma. In questo caso, il bene protetto è rappresentato dalla vita nel neonato e l’autore dell’infanticidio può essere soltanto la madre.

La ratio dell’art. 578 risiede nel garantire trattamento sanzionatorio “privilegiato” all’infanticidio (punito con la reclusione da quattro a dodici anni), che si basa su un aspetto tutto soggettivo: la madre che ha ucciso il proprio neonato in una situazione di abbandono, è punita meno severamente, non perché la condotta sia meno oggettivamente grave, ma perchè “il fatto risulta meno rimproverabile in ragione delle condizioni di turbamento psichico ed emotivo connesse al parto ed al contesto di particolare difficoltà in cui esso è avvenuto.[i]

Proprio per questa ragione, il secondo comma dell’articolo precisa che, nel caso in cui si realizzi concorso di soggetti estranei, a questi si applica la norma generale sull’omicidio doloso ai sensi dell’art. 575 c.p. (chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni 21), con pena eventualmente ridotta fino a due terzi quando essi abbiano agito “al solo scopo di favorire la madre”, (per esempio a scopo di lucro).

L’infanticidio è caratterizzato dalla presenza di alcuni elementi specifici: l’intenzione di uccidere; l’avere agito in condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto; l’utilizzo di mezzi idonei a produrre la morte del neonato o del feto; la morte cagionata dai mezzi adoperati.

In particolare, la definizione delle “condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto” è stata molto controversa.

-La Cassazione Penale per esempio, nella Sez. I, Sent. N. 1007 del 30-01-1987, ha ritenuto che l’abbandono materiale e morale concerne “uno stato di derelizione, di solitudine, di emarginazione, di carenza di mezzi e di rapporti socioeconomici oltre che affettivi, in cui si viene a trovare la madre”, strettamente connesse al parto, in modo da condizionare la madre “al punto da essere indotta all’uccisione del proprio neonato”.

-Diversamente, la Sez. I, Sent. n. 24903 del 17-04-2007, ha sancito che “è necessario che la madre sia lasciata in balia di se stessa, senza alcuna assistenza e nel completo disinteresse dei familiari”, in uno stato di isolamento totale che non le permettano di ricevere aiuto in un momento così delicato come quello del parto.

-In seguito, la Sez. I, Sent. n. 41889 del 07-10-2009, ha individuato la situazione di abbandono come “condizione di vita” della donna, che può essere anche originata da insanabili contrasti con parenti e amici, produttivi di un profondo “turbamento spirituale, che si aggrava grandemente, sfociando in una vera e propria alterazione della coscienza”, tale da smarrire in parte il lume della ragione.

Dunque, tuttora la nozione oscilla tra interpretazioni giurisprudenziali più restrittive ed altre estensive.

All’infanticidio, infine, non si applicano le circostanze aggravanti fissate dall’art. 61 c.p., cioè l’avere agito per motivi abietti o futili, l’avere adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone, nè si applicano quelle speciali di cui agli artt. 576 e 577 c.p. Invece, possono trovare applicazione le attenuanti generiche compatibili.

L’analisi giuridica del reato dell’infanticidio evidenzia in ogni caso l’esigenza di prevenzione e contrasto delle situazioni di profondo disagio in cui vivono alcune mamme italiane, da attuarsi con campagne di sensibilizzazione ed informazione. La Società italiana di Neonatologia, infatti, assicura una rete di supporto psicologico e di assistenza alle donne in modo da garantire il totale anonimato, nel caso di rinuncia ad allevare il bambino appena partorito e a tal fine molte strutture ospedaliere italiane offrono accoglienza ai neonati in culle termiche salvavita, sebbene siano ancora poche e poco conosciute.

[i] F. Viganò. Trattato teorico-pratico di diritto penale, vol. 7: Reati contro la persona. 2 Ed. Giappichelli, 2015.

Avv. Alessia Di Prisco

Sono Alessia Di Prisco, classe 1993 e vivo in provincia di Napoli. Iscritta all'Albo degli Avvocati di Torre Annunziata, esercito la professione collaborando con uno studio legale napoletano. Dopo la maturità scientifica, nel 2017 mi sono laureata alla facoltà di giurisprudenza presso l'Università degli Studi Federico II di Napoli, redigendo una tesi dal titolo "Il dolo eventuale", con particolare riferimento al caso ThyssenKrupp S.p.A., guidata dal Prof. Vincenzo Maiello. In seguito, ho conseguito il diploma di specializzazione presso una Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali a Roma, con una dissertazione finale in materia di diritto penale, in relazione ai reati informatici. Ho svolto il Tirocinio formativo presso gli uffici giudiziari del Tribunale di Torre Annunziata affiancando il GIP e scrivo da anni per la rubrica di diritto penale di Ius In Itinere. Dello stesso progetto sono stata co-fondatrice e mi sono occupata dell'organizzazione di eventi giuridici per Ius In Itinere su tutto il territorio nazionale.

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