martedì, Aprile 23, 2024
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Compensatio lucri cum damno: linea di confine tra diritto vivente e diritto positivo

Una zona grigia dell’ordinamento civilistico, una questione che si snoda tra il diritto positivo ed il diritto vivente e che pone in evidenza come la giustizia sostanziale possa dare sfogo a soluzioni che, talvolta, forzano il dato normativo: si fa allusione all’istituto della compensatio lucri cum damno. Lo studio delle fonti romane attesta che il principio per cui bisogna, per così dire, ponderare le conseguenze negative di un illecito a quelle positive che questo può recare, era ben radicato nella cultura giuridica del tempo. Eppure l’attuale codice civile non spende nemmeno una parola circa la sua esistenza, da qui si crea la discussione in dottrina e giurisprudenza se sia immanente all’ordinamento questo “reperto storico” della tradizione romanistica.

In dottrina si registrano tre posizioni critiche sul tema. Taluni autori misconoscono l’esistenza dell’istituto argomento sia sull’assenza di una norma ad hoc, sia sull’ingiustizia che può arrecare nel caso concreto suddetto principio rispetto all’autore del danno, sollevato quest’ultimo dalle conseguenze del proprio fatto illecito per ragioni del tutto accidentali. Talaltri sono, invece, possibilisti pur negando l’esistenza di una norma generale, potendo discettarsi sul fatto che la liquidazione risarcitoria si svolge concretamente e, caso per caso, sarà il giudice a determinarsi per la compensazione ovvero a negarla. In ultimo va registrato un terzo orientamento, del quale vi sono ragioni di dubitare, che generalizza la portata del principio, riconoscendo in ogni caso un dovere di tener conto dei benefici derivanti da fatto illecito, il quale determina il fondamento normativo dell’istituto nell’art. 1223 c.c. nell’allusione alla risarcibilità delle “conseguenze immediate” dell’illecito.

Non più ferma e certa risulta la giurisprudenza su questo tema. La Corte di Cassazione stessa ha fatto registrare alterni orientamenti; da un canto si accorda operatività a questa “regola non scritta” ma con un limite: l’azione lesiva deve essere causa tanto del danno quanto del lucro (causa, beninteso, e non mera occasione dell’uno o dell’altro). Ragion per cui, i giudici di legittimità hanno negato la compensazione ogni volta che vi fosse concorso tra un danno derivante da un’azione lesiva ed un’indennità avente titolo nella legge. D’altro canto, una menzione autonoma merita un orientamento più liberale che, tuttavia, perviene ad una maggiore applicabilità dell’istituto secondo ragionamenti diversi. In alcune decisioni l’unica condizione richiesta è che il lucro da calcolarsi a scomputo del risarcimento sia conseguenza immediata e diretta del danno; in altre, invece, non v’è una esplicita apertura alla compensazione in parola ma si accorda rilievo alla regola che solitamente si etichetta come compensatio lucri cum damno argomentando dal fatto che, nel caso opposto, il danneggiato si trova ad essere risarcito sine titulo due volte, mentre il danneggiante pagherebbe due volte ingiustamente, pur essendo unico il danno.

A corredo di questo articolo sarà logico chiedersi quali possano essere i punti fermi in un coacervo di orientamenti e scuole di pensiero. A tal riguardo sovviene un’ordinanza interlocutoria della Terza Sezione Civile[1] con la quale si sono fissati dei punti sui quali riflettere e da cui partire e sui quali saranno chiamate a pronunziarsi le Sezioni Unite (il che suggerisce che il contrasto è ancora lontano da una sua soluzione).

  1. Alla vittima spetta un risarcimento liquidato in base al danno al momento della liquidazione
  2. Contestualmente alla liquidazione vi possono essere dei benefici che è possibile apprezzare da un punto di vista economico e che sono pervenuti o perverranno di certo al danneggiato: di essi si dovrà tener conto purché derivano dallo stesso fatto illecito
  3. Per comprendere la causalità di detti vantaggi ricorrono le stesse regole usate per vagliare il nesso causale del danno, inteso come danno-conseguenza.

Il nodo della questione non è tanto chiedersi quale nomen iuris assegnare alla regola di compensazione, che invero appare una disputa tralatizia, quanto piuttosto ritenere che lo scomputo dei benefici dal danno sia una manifestazione del principio dell’integralità del risarcimento, restando in esso interamente assorbito. Se queste conclusioni avranno un seguito nella sentenza, ci si augura, risolutiva delle Sezioni Unite, il fondamento normativo dell’istituto andrà ravvisato nell’art. 1223 che impone la liquidazione di tutti e soli i danni che sono “conseguenza immediata e diretta” dell’illecito.

[1] Ordinanza di rimessione alle Sez.Un. del 22.06.2017

Angelo D'Onofrio

Angelo D'Onofrio è uno studente di giurisprudenza iscritto al IV anno all'Università Federico II di Napoli. Ha partecipato alla NMCC Elsa tenutasi a Perugia nel 2016 , alla NMCC Elsa in diritto penale tenutasi a Napoli nel 2017 ed alla Local Moot Court Elsa in diritto privato a Napoli , vincitore del premio miglior oratore in quest'ultima . Vanta, inoltre, una partecipazione alla National Negotiation di Elsa a Siena. Attualmente sta lavorando ad un LRG in diritto bancario dal titolo " Il nuovo diritto societario della crisi dell'impresa bancaria. Profili di specialità rispetto al diritto comune " .

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