lunedì, Dicembre 2, 2024
Di Robusta Costituzione

Considerazioni in tema di “integrazione e correzione” nella legislazione delegata

A cura di Francesco Fonte

  1. Introduzione alla nozione di decreto legislativo integrativo e correttivo

 

Il presente contributo si prefigge di analizzare i complessi esiti dell’evoluzione della tipologia normativa costituita dai decreti legislativi integrativi e correttivi[1]. Detta categoria normativa postula la compresenza alla delega principale, qualificata come tale in ragione del tenore letterale delle relative disposizioni contenute nella legge di delegazione, di disposizioni di delega che presentano differenze[2] sotto il profilo temporale[3] e financo dell’oggetto[4] rispetto alla prima, aventi finalità di integrazione e di correzione rispetto al contenuto normativo derivante dall’esercizio della delega principale, e con particolare riferimento, ai fini della presente analisi, alla connotazione sperimentale degli stessi, come rilevato recentemente da parte della dottrina[5], intesa secondo due prospettive differenti.

Ai fini della presente analisi la sperimentazione normativa viene intese quale attributo “essenziale” della legislazione delegata integrativa e correttiva[6]. Occorre in ogni caso ricordare ciò che si può desumere a partire dal “formante legislativo” del nostro ordinamento nella sua stabilità, ovverosia a partire dalle disposizioni che disciplinano la decretazione delegata, rinvenibili in termini generali nell’art. 76 Cost. e nell’art. 14 della legge n. 400/1988, i quali ne individuano i contenuti essenziali. Le finalità di integrazione e correzione, oltre che nell’ambito della cospicua giurisprudenza della Corte Costituzionale possono essere analizzate alla luce di una nota pronuncia della Suprema Corte di Cassazione che si occupa, tra gli altri aspetti, della complicata questione definitoria delle suddette finalità[7]. In ispecie la finalità di integrazione consisterebbe nell’aggiunta di disposizioni che non risultino presenti all’atto dell’esercizio della prima delega ma derivabili in via interpretativa dalle disposizioni della legge delega attributive del potere di emanare i decreti così come la possibilità di considerare la finalità correttiva nel senso di potersi individuare in essa un’attività di “sanamento delle imperfezioni” originariamente verificatesi a fronte del risultato del primario esercizio della delega, precipuamente a causa della presenza di un profilo o più profili di contrarietà a Costituzione delle disposizioni ivi contenute[8].

Risulta necessario premettere un’analisi del momento genetico della tipologia normativa in commento, la quale può individuarsi nella generale categoria degli atti legislativi di derivazione prassistica[9], nell’ottica della dinamica dettata dell’efficacia propria della consuetudine e di ciò che emerge dai moti provenienti dal contesto politico locale  e contingente sulla geometria propria degli istituti di diritto pubblico così come della tensione che si è dimostrata a partire dall’esigenza propria dello stato di garantire soluzioni certe e, in correlazione con la necessità di certezza dei rapporti giuridici, l’ampliamento, dal punto di vista contenutistico, dei settori normativi[10]. Dal punto di vista storico il primo dato che rivela l’utilizzo della delega legislativa a fini integrativi e correttivi si rinviene nella complessa legge delega 825/1971[11] finalizzata al perfezionamento di una riforma del sistema tributario[12].

A conforto delle argomentazioni che in questa sede vengono prospettate, si potrebbe rilevare che dal punto di vista di un’analisi numerica, relativo all’inserzione, nell’ambito della legge delega, di disposizioni che attribuiscono il potere dell’emanazione dei decreti in commento, si dimostri che la prassi in commento risulti maggiormente pronunciata nel corso degli anni 90 fino a pervenire alla condizioni per cui essa ricoprì, nell’ambito della XIV legislatura, il quarantacinque per cento[13] delle disposizioni di legge di delega, fino a pervenire, in tempi più recenti, alla preferenza da parte del governo per lo strumento della decretazione di urgenza delineato dall’art. 77 Cost. e dall’art. 15 della legge 400/1988.

Nell’ambito dei fattori influenti su questa dinamica, i quali certamente risultano politicamente valutabili, è proprio in ragione del massiccio e ampiamente dibattuto utilizzo dello strumento della legislazione delegata ex art. 76 Cost. che il Parlamento e i governi che si sono succeduti nel citato arco temporale hanno progressivamente adottato con la possibilità, per quanto riguarda l’interprete, di inferirne una modalità di utilizzo chiaramente incrementale dell’esiguo numero iniziale[14], dettato precipuamente dalla già ricordata tendenza alla preservazione della tipicità delle fonti del diritto e, ispecie, delle fonti sulla produzione.

È da rilevare che la sperimentazione quale attributo proprio della legislazione delegata debba intendersi ai fini della presente analisi secondo due dinamiche che ai presenti fini assumono un forte valore euristico. Primariamente si dovrà tenere in considerazione la dinamica sperimentale dal punto di vista del rapporto intercorrente tra decreto legislativo principale e decreto legislativo correttivo e integrativo. Una premessa in merito all’inquadramento della categoria della sperimentazione normativa nell’ambito dei decreti legislativi integrativi e correttivi risulta funzionale al momento della definizione dell’ambito di ricerca del presente contributo, diversamente considerabile alla stregua di considerazione di natura puramente metagiuridica. A tal fine occorre richiamare l’inquadramento metodologico fornito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 206/2001, nell’ambito della quale si afferma che la sperimentazione che si determina all’atto di esercizio primario della delega costituisca un presupposto in-dispensabile di un qualsivoglia intervento integrativo e correttivo successivo[15]. Rispetto a siffatta prospettiva può inferirsi secondo un’analisi prima facie delle categorie giuridiche evocate che la sperimentazione possa, qualora assurgesse a carattere sistemico e connotato principale della tipologia normativa delineata dall’art. 76 della Costituzione, determinare una maggiore incertezza in termini generali dei rapporti giuridici così come dell’indirizzo politico-governativo[16].Per quanto attiene alla seconda prospettiva, la quale verrà compiutamente analizzata nel paragrafo 4, sarà attinente ai rapporti logici tra la decretazione legislativa integrativa e correttiva e i parametri forniti dall’interpretazione sistematica e dal canone di ragionevolezza.

Coerentemente a quanto si è argomentato nell’ambito delle riflessioni svolte fino ad ora, l’analisi riguardante i profili di legittimità della prassi in commento si prefigge di osservare il dato sperimentale presente in disposizioni di legge delega che attribuiscano il potere di emanare ulteriori decreti in senso integrativo e correttivo dal punto. Si può pertanto inferire che alla base del concetto di sperimentazione possa risiedere un generale “dubbio scientifico” del legislatore, al momento della considerazione della dialettica tra l’attuazione della delega principale e quella correttiva e integrativa[17]. Del resto secondo la nozione comunemente riconosciuta di sperimentazione questa vedrebbe la proposizione di ipotesi stabilite a priori da verificarsi successivamente mediante l’esperienza[18]. La prassi dei decreti legislativi integrativi e correttivi si pone pertanto in quest’ottica, nel senso di poter porre un rimedio alla naturale incertezza sottesa all’adozione di qualsivoglia atto legislativo. Con riferimento all’incertezza che caratterizza l’azione del legislazione delegato emergono diversi profili di interesse attinenti alla già citata dinamica del rendersi maggiormente complesso delle materie, ne senso di potersi affermare che la prassi normativa in commento non possa essere ritenuta una definitiva deviazione dal sistema delle fonti di produzione del diritto, in quanto l’evoluzione della normativa così come influenzata dalle fonti internazionali, siano esse di natura legale ovvero cause di natura politica, impone una precisa contezza metodologica delle suddette dinamiche[19]. A conclusione dell’analisi introduttiva del fenomeno dei decreti legislativi integrativi e correttivi si intende delineare la “direzione metodologica” del presente contributo. Si analizzerà invero nel secondo paragrafo il profilo costituito dalla sperimentazione nei decreti legislativi integrativi e correttivi in riferimento al principio di istantaneità della delega. Nel terzo paragrafo si offrirà una disamina della sperimentazione “dei fini” che può verificarsi della tipologia normativa in commento così come di come i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di decreto legislativo possano ritenersi estendibili ai decreti integrativi e correttivi.

 

  1. Tra sperimentazione e principio di istantaneità della delega.

 

Un primo rilievo che può essere portato all’attenzione dell’interprete risiede nella compatibilità del carattere sperimentale dei decreti legislativi integrativi e correttivi nei confronti del generale principio di esauribilità uno actu[20] dell’esercizio della delega. Si può coerentemente sottolineare che tradizionalmente la dottrina maggioritaria[21] escluda la compatibilità al sistema delineato dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale della prassi normativa in commento. Ne consegue che, stanti le già commentate argomentazioni delle posizioni dottrinali tradizionali, dovrebbe escludersi un connotazione in senso sperimentale della decretazione integrativa e correttiva, dal momento che proprio siffatta incertezza in capo al legislatore e al governo si porrebbe fortemente in contrasto con il principio di istantaneità dell’esercizio della delega, implicante l’esaurimento del potere di decretazione al momento nel quale il governo emana l’atto sulla base dei principi e criteri direttivi e oggetto prefigurati nella legge delega, quand’anche siffatto esercizio fosse portato a termine in precedenza al sopraggiungere della data indicata quale limite temporale per l’adozione dei decreti, valendo quest’ultimo come garanzia ultima del conservarsi della potestà legislativa in capo al legislatore ordinario.

La conseguenza degli assunti della dottrina porterebbe a concepire la sperimentazione, coerentemente a quanto sopra affermato, in quanto un mero attributo della decretazione legislativa integrativa e correttiva. Ne conseguirebbe inoltre che all’infuori dell’eccezionale caso di esercizio frazionato della delega codificato nell’art. 14 della legge n. 400/1988 [22], nell’ambito del quale occorre in ogni caso tenere in considerazione le limitazioni temporali apprestate dalle disposizioni della legge delega, le eventuali disposizioni la cui emanazione risulti eccedente allo spirare della delega legislativa sarebbero da ritenersi costituzionalmente illegittime.

In senso contrario a quanto poc’anzi argomentato si è sostenuto, a partire da un periodo tendenzialmente più recente che il principio di istantaneità nell’esercizio della delega non si ponga in contrasto con la prassi dei decreti legislativi integrativi e correttivi, dal momento del silenzio delle disposizioni costituzionali nel merito[23], con la conseguente assunzione dell’impossibilità di collocare il principio di istantaneità a monte della fattispecie delineata dall’art. 76 Cost. e dall’art. 14 della legge 400/1988.

Effettuate le necessarie premesse dottrinali in riferimento alle dinamiche in commento, risulta possibile asserire che il dato sperimentale possa giustificarsi alla luce del silenzio della norma in materia di frammentazione o previsione di ulteriori termini nell’ambito del contenuto della delega, nella misura in cui l’astratta previsione, come desunta dalle intenzioni del legislatore delegante nella legge delega e successivamente nel decreto legislativo stesso, possa presentarsi quale non rispondente delle “prove” che il contesto sociale, politico e normativo nella concreta applicazione delle norme desumibili dalle disposizioni emanate, all’atto di conformarsi alle suddette, dimostra nella forma di resistenze al nuovo modello normativo, quand’anche con riferimento al medesimo oggetto.

Per quanto attiene alla considerazione della prassi normativa in commento in quanto categoria isolata, ulteriori rilevazioni possono essere prospettate in riferimento alla considerazione della circostanza per cui dal momento che il principio di istantaneità della delega si porrebbe in contrasto con la prassi di un eventuale sperimentazione successiva totalmente devoluta alla discrezionalità del legislatore delegato a causa della riscontrata dilazione del termine di efficacia della delega a termini effettivamente di lontano raggiungimento[24], si potrebbe effettivamente determinare una condizione di sostanziale “sbilanciamento” dell’attività normativa, entro la dinamica intercorrente tra legislatore e governo, certamente su quest’ultimo[25], contribuendo ulteriormente all’esautorazione del parlamento dal circuito decisionale in riferimento a materie che, stanti gli interessi ad esse sottese, necessitano del tenore metodologico tradizionalmente ritenuto proprio del dibattito parlamentare e quivi, dal maturo confronto politico.

 

  1. Il dato sperimentale nei confronti della dimensione teleologica della decretazione integrativa e correttiva

 

A fronte degli assunti della dottrina, dei quali si sono elencate le prospettive generali nei precedenti paragrafi, in riferimento alla tipologia normativa dei decreti integrativi e correttivi e coerentemente ad una riflessione di natura lessicale concernente il nomen juris proprio dei decreti in commento, occorrerebbe analizzare il dato sperimentale rispetto a quello integrativo e correttivo, intesi secondo la loro accezione funzionale. Detti caratteri possono a rigore costituire, nell’ambito delle già ricordate implicazioni desumibili dalla pronuncia dei giudici di Palazzo Spada[26], il nodo teleologico essenziale dei decreti in commento. In seguito all’assunzione di siffatta prospettiva occorre considerare la circostanza per cui qualsivoglia sperimentazione normativa il legislatore possa intendere di effettuare, questa dovrebbe essere orientata secondo i parametri della correzione e dell’integrazione prefigurati dai principi delineati dalla fattispecie propria della previsione costituzionale di cui all’art. 76 della Costituzione fatti propri dalla legge delega nella specificità del suo contenuto, in ispecie con riferimento alla sistematica delle disposizioni che la compongono. Siffatta circostanza determina la necessità per l’interprete dell’analisi del processo che ha condotto all’adozione di una particolare legge delega, con particolare riferimento all’evoluzione normativa propria di ciascun settore a partire dal livello locale fino a pervenire all’analisi della normativa europea e internazionale, quali fattori che richiamano ad una “comune volontà politica” concernente le materie oggetto della delega[27].

Si preferisce in questa sede effettuare un’analisi della materia privilegiando l’osservazione del formante giurisprudenziale, a partire dalla motivazione secondo la quale possa precedere le riflessioni di carattere lessicale sul nomen, già in parte enucleate, e secondo l’assunto che possano assumere valenza euristica esclusivamente a partire da una contezza globale dell’analisi compiuta dalla giurisprudenza. Primariamente il potere correttivo del governo su di un decreto precedentemente emanato è stato oggetto di una nota pronuncia in via consultiva del Consiglio di Stato nella quale si definisce l’integrazione e la correzione quali elementi di un’endiadi[28] che implica la possibilità, in capo al Governo rispettivamente di operare un’azione correttiva di disposizioni, financo nel senso di prevenirne l’illegittimità costituzionale, e così come di ampliamento rispetto alle trascuratezze del primo decreto in istantanea attuazione della legge delega[29]. L’argomentazione del Consiglio di Stato si pone pertanto a conforto della pacifica constatazione dell’esistenza di due corollari che discendono dal nomen juris dell’atto, seppure l’attività di integrazione e quella di correzione assumano dei connotati simili. La finalità integrativa pertanto si porrebbe come reazione ad una carenza propria del decreto principale. Per quanto attiene alla finalità correttiva, a partire da essa possono essere fatti discendere alcuni corollari i quali, pur inserendosi nella logica decisoria della sopra richiamata pronuncia della suprema giurisdizione amministrativa, possono collocare il “paradigma di endiadi” della suddetta pronuncia alla sua funzione di mero “idealtipo”, precipuamente della considerazione della difficolta, in capo al legislatore ordinario, di fornire al legislatore delegato un disegno esaustivo per quanto attiene la complessa materia oggetto di delega., L’argomentazione che pertanto si intende percorrere discende parzialmente dallo sviluppo della giurisprudenza costituzionale in materia di finalità proprie del singolo atto di legislazione delegata, in particolare sotto il profilo dell’interpretazione sistematica[30].

Un primo oggetto di analisi può essere costituito dalla circostanza per la quale “il fine perseguito dalla legge di delegazione costituisce il limite del potere dell’organo delegato”[31]. In aggiunta della generale formulazione contenuta nella poc’anzi citata sentenza n. 56/1965 nel senso di inferire un’identità tra le finalità proprie della legge delega e i conseguenti limiti un capo all’esecutivo, con la sentenza n. 26/1967 si afferma che restino all’infuori dell’ambito della legge di delega le disposizioni che non si rivelino “strettamente” necessarie ai fini da perseguire ai sensi della legge di delegazione[32] e infine del contesto normativo ove la normativa delegata si inserisce[33]. Ne consegue che dal punto di vista della sperimentazione normativa, questa non trovi un solido fondamento negli assunti della giurisprudenza costituzionale più risalente, dal momento che, sulla scorta delle summenzionate rilevazioni della dottrina e della giurisprudenza in materia di esauribilità uno actu della delega[34], risultasse preclusa qualsiasi specificazione del contenuto normativo in senso ulteriore. La specificazione del contenuto prefigurato nella legge delega risulta invero un logico corollario della ratio sperimentale dell’intervento. La tendenza, da parte della dottrina citata, di guardare con diffidenza alla prassi in commento potrebbe giustificarsi sulla base del timore nei confronti di un maggior potere attribuito al governo dal punto di vista legislativo[35]. Si deve a rigore rilevare che, per quanto attiene alla prospettiva evocata dalla giurisprudenza in commento, non fosse presente all’attenzione dei commentatori e della giurisprudenza il paradigma dei decreti legislativi integrativi e correttivi, in quanto si deve tenere conto dell’assunzione a “modello guida” della legge delega del 1971, la quale assumerà un carattere decisivo rispetto allo sviluppo della stessa decretazione legislativa.

Sulla base fornita dalle argomentazioni appena svolte si può inferire che la considerazione dell’attività l’attività sperimentale, con riferimento alla dimensione finalistica dei decreti legislativi integrativi e correttivi possa dirsi giunta all’attenzione del giudice delle leggi con la sentenza 51/1992[36] della Corte Costituzionale, dal momento che quivi ci si riferisca ai principi costituzionali come ambito entro il quale compiere l’esercizio della delega, possa anche essere letta alla luce dei principi generali elaborati dalla Corte costituzionale in materia di decreto legislativo strictu sensu. Ne deriva inoltre che l’esigenza, menzionata precedentemente, di estendere i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di decretazione legislativa intesa alla stregua del generale modello delineato dalla fattispecie costituzionale alle particolari statuizioni che emergono in sede di decretazione legislativa integrativa e correttiva discenderebbe dalla circostanza per cui i criteri enucleati dalla giurisprudenza costituzionale per quanto attiene alla decretazione legislativa[37], dal punto di vista del profilo attinente ad un’analisi teleologicamente orientata delle disposizioni dei decreti, presentino i medesimi connotati per le due tipologie normative le quali anzi costituiscono due momenti della stessa “sequenza normativa”. A partire dalle pieghe argomentative del percorso decisorio del giudice delle leggi si può comprendere che l’incertezza del legislatore, da ritenersi tuttavia fisiologica se rapportata a ambiti di competenza che presentano notevoli complessità[38], giustificherebbe il fenomeno del conseguente mutamento del tradizionale atteggiarsi dello stesso in sede di redazione e deliberazione della legge delega così come di istantanea attuazione della stessa nella forma di quelle dell’intervento integrativo e correttivo, con il vincolo dei principi costituzionali, nell’implicito richiamo ad un canone di interpretazione per l’adozione dei suddetti decreti avente natura sistematica.

La rilevanza di una qualsivoglia affermazione concernente la presenza dell’elemento sperimentale nell’ambito della decretazione delegata emerge qualche anno più tardi con la sentenza 111/1997, la quale delinea il rapporto tra la legge delega e normativa delegata nel senso del “riempimento” del contenuto proprio della legge delega. Qualora la norma di delega si presenti, a fronte del suo tenore letterale, quale nel silenzio dal punto di vista della formulazione rispetto ad un determinato oggetto rivelatosi in seguito esigente di una regolazione, la normativa delegata potrà porsi nell’ottica del completamento delle previsioni contenute nella delega legislativa[39]. Si può rilevare conseguentemente che nell’ambito del completamento delle disposizioni previste inizialmente nel primario esercizio della delega possano in egual misura inserirsi le disposizioni correttive e integrative, dal momento che la funzione di completamento della normativa, in considerazione di un orientamento di natura sistematica per quanto attiene ai limiti della legislazione delegata, postuli l’esigenza di una specificazione normativa che a fronte della complessità della materia non può che richiedere un intervento successivo nel senso della reductio ad legitimitatem[40] ovvero della modificazione del significante di ciò che è stato previsto in istantanea attuazione della legge delega[41].

Diversamente, sotto il profilo teleologico, il quale implica l’assunzione metodologica della considerazione dei decreti legislativi integrativi e correttivi quali una tecnica normativa isolata, discende che qualsivoglia sperimentazione vada desunta entro i principi e criteri direttivi fissati dalla legge delega. Ne consegue che il carattere stringente delle limitazioni che vengono apprestate alla decretazione integrativa e correttiva ne definirebbero il carattere marginale sotto il profilo della sperimentazione, come già ricordato a partire dagli assunti della dottrina[42], del resto occorre rilevare che la sperimentazione normativa si trovi ad operare su un terreno ove risultano presenti diverse limitazioni, precipuamente dettate dalla particolare difficoltà di evitare di legiferare contra constitutionem nell’ambito di un ordinamento quale quello italiano nel quale si è in presenza di un massiccio corpus giurisprudenziale a partire dal quale si possono sviluppare molteplici indirizzi ermeneutici finalizzati alla valutazione di ognuna delle fasi procedimentali attinenti alla produzione di un decreto delegato[43].

In ultima analisi un ulteriore profilo di interesse è fornito dalla circostanza per cui i decreti legislativi, sotto il profilo teleologico, si troverebbero ad operare l’attuazione di due ordini di principi, secondo l’indicazione della dottrina[44], determinando di conseguenza il rischio di una forte distonia tra il contenuto normativo proprio del decreto legislativo integrativo e correttivo e il decreto legislativo principale e conseguentemente affermare l’autonomia del primo quale autonoma delega. Il profilo sperimentale troverebbe un limite precipuamente in siffatta circostanza, dal momento che l’emanazione di norme eventualmente contrarie ai principi della legge delega pone l’esigenza di riflessioni sul piano della ragionevolezza e dell’ordine sistematico delle materie.

 

[1] La categoria dei decreti legislativi integrativi e correttivi è stata ampiamente analizzata da parte della dottrina. Nell’ambito della letteratura in materia si richiamano M. Cartabia. I decreti legislativi “integrativi e correttivi”: il paradosso dell’effettività? in Rassegna parlamentare, 1997, 1, pp. 45-83; N. Lupo, “lo sviluppo delle deleghe e dei decreti legislativi correttivi” in U. De Siervo (a cura di), Osservatorio sulle fonti; M. Patrono, “un utilizzo rinnovato della delega legislativa, in Diritto e Società; M. Ruotolo, “i limiti della legislazione delegata integrativa e correttiva”, in Corte Costituzionale, seminario “ La Delega Legislativa”; A. Celotto, E. Frontoni, “Legge di delega e decreto legislativo, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè, 2002; F. Sorrentino, G. Caporali, “Legge (atti con forza di)”, in Digesto delle Discipline pubblicistiche, par. 11, UTET GIURIDICA, Torino, 1994 così come i risalenti rilievi di E. Tosato, “Le leggi di delegazione”, 1931, Padova, p.126.

[2] Occorre tenere in considerazione, coerentemente quanto affermato nell’ambito della giurisprudenza costituzionale, la circostanza per la quale i decreti integrativi e correttivi debbano ritenersi sottostanti ai medesimi principi e criteri direttivi della legge delega valenti per l’esercizio primario della delega principale. Ai fini della valutazione generale della legittimità costituzionale del decreto delegato in considerazione della conformità del decreto alla legge delega si è elaborata in via pretoria e ribadita a più riprese la teoria del “duplice processo ermeneutico”. Lo svolgimento di detto procedimento attiene a due momenti. Primariamente occorre analizzare la norma della legge delega che determini i principi e criteri direttivi, il tempo e l’oggetto definito coerentemente alla fattispecie delineata dall’art. 76 Cost e dalla relativa legge 400/1988. Successivamente si dovrà tenere in considerazione la norma emanata nel potere di decretazione conseguentemente attribuito al fine di pervenire al momento finale costituito da un’operazione di “esegesi adeguatrice” tra le disposizioni della legge delega e quelle del decreto delegato. Si richiama, a titolo di esempio, nell’ambito delle molteplici pronunce sul tema del “duplice processo ermeneutico” la sentenza n. 153/2014, rel. Mattarella così come la sentenza n. 229/2014 rel. Criscuolo.

[3] Si vedano nel merito i rilievi generali di L. Iannuccilli, A. De Vita, “Deleghe e decretazione correttiva e integrativa nella giurisprudenza costituzionale”, in Corte Costituzionale-materiali di studio, disponibile in www.cortecostituzionale.it.

[4] M. Cartabia, op. cit., p. 61, ove l’autrice rileva la circostanza per la quale l’esercizio di una delega legislativa integrativa e correttiva delle disposizioni contenute nel decreto principale, sulla base della considerazione per cui quest’ultimo costituisca presupposto necessario dell’esercizio della delega avente finalità di integrazione o di correzione, postulerebbe la compresenza di una pluralità di oggetti ex. art. 76 Cost., il quale in effetti non prescrive che una generale “precisione” nella definizione degli “oggetti”. Si può argomentare di conseguenza che la pluralità di ambiti di applicazione possa derivare dall’attribuzione di un significativo spatium deliberandi al legislatore delegato. Non si potrebbe in ogni caso desumere una totale alterità dell’oggetto del decreto integrativo o correttivo e l’oggetto previsto dalla legge delega, così come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza 367/2007, rel. Maddalena, ove si afferma che i decreti legislativi integrative e, nel caso di specie, correttivi debbano presentare il medesimo oggetto del decreto originario, così come desunto dal contenuto espresso nella legge delega. Occorre inoltre sottolineare che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 206/2001, rel. Onida, abbia sottolineato lo stretto nesso intercorrente tra l’intervento integrativo e correttivo e quello principale, nel senso che “nulla induce a ritenere che simile potestà delegata possa essere esercitata solo per fatti sopravvenuti” così esprimendosi nel punto n.5 del “considerato in diritto”.

[5] Si fa riferimento al contributo di E. Caterina, “legislazione sperimentale e decreti legislativi integrativi e correttivi”, in Osservatorio sulle fonti, relazione al seminario “tempo e mutamento nel sistema delle fonti”, p. 202. L’autore, nel contributo citato, conclude nel senso dell’osservazione dello scarso impiego di prassi sperimentali in via legislativa intesa nella sua accezione generale, ritenendole in conclusione maggiormente confacenti alle esigenze della regolamentazione, ovverosia nella dimensione degli atti di attuazione della previsione legislativa. Del resto, come rilevato nel citato contributo, la prassi della sperimentazione dei fini in riferimento alla tipologia normativa dei decreti che si vanno commentando determinerebbe l’emergere di profili di contrasto con il generale concetto di indirizzo politico, come dallo stesso autore rilevato.

[6] A fonte di questa enunciazione l’accezione di sperimentale può essere estesa financo alle finalità della decretazione legislativa. In ispecie il profilo viene analizzato infra.

[7] Cass. S.U. 733/1989 rel. Bile, Tilocca.

[8] Ibidem.

[9] Per quanto attiene al complicato profilo riguardante la relazione che intercorre tra la prassi e il diritto pubblico e gli istituti propri della Costituzione si rinvia al lavoro di G. U. Rescigno, “prassi, regolarità, regole, convenzioni costituzionali, consuetudini giuridiche di diritto pubblico”, in Osservatorio sulle fonti, fasc. 2/2018. Si può financo rilevare che la definizione prassistica della tipologia normativa in commento possa essere stata determinata sulla base della circostanza di una necessità di ordine politico, per la quale si tende alla preferenza dell’“elasticità della legge naturale” alla “rigidità della legge giuridica”. La dicotomia appena ricordata è mutuata dalle teorie del Carnelutti, per le quali si rinvia a C.E. Balossini, “La teoria carneluttiana della consuetudine”, in Jus, fasc. 3/1959, Vita e Pensiero.

[10] Si fa riferimento in questa prospettiva a J. I Colon-Rios, “Constitutional experimentation”, in International Journal of Constitutional Law, Volume 19, Issue 3, July 2021, Pages 970–973, nell’ambito del quale l’autore argomenta, sulla base della teoria del contratto sociale, la postulazione di un carattere tendenzialmente stabile della struttura istituzionale dello stato, quando il carattere della sperimentazione presenta delle evidenti differenze dal momento che manchi il “necessario elemento della certezza in capo ai cittadini”.

[11] Per quanto attiene al profilo dell’evoluzione storica della prassi che ha portato all’originarsi della tipologia dei decreti legislativi integrativi e correttivi che, a fronte della pregnanza paradigmatica del modello costituito dall’art. 17 della legge 825/1971 del quale infra si illustrerà il contenuto normativo, si possono riscontrare delle disposizioni di tenore letterale analogo nell’ambito delle leggi n. 6/1962 e 871/1965, entrambe in materia di diritto comunitario in funzione del soddisfacimento degli obblighi previsti in ambito europeo, seppure, coerentemente con il periodo storico, limitatamente al formante giurisprudenziale derivante dalle pronunce della Corte di Giustizia.

[12] La legge delega 825/1971 attribuiva al governo la potestà di emanare uno o più decreti legislativi a fini correttivi e integrativi dell’esercizio della delega principale. Ai fini di un inquadramento del potere normativo in parola, occorre illustrare il contenuto dell’articolo 17 della citata legge delega mediante la quale si era delineata tale circostanza, nel senso del potere del governo di emanare fino al 31 dicembre del 1971 decreti correttivi e limitatamente alle materie di cui all’art. 10 della legge delega, consistenti nella disciplina organizzativa e burocratica dell’amministrazione finanziaria, l’art. 17 rinviava al comma successivo nel quale era contenuto il limite dei tre anni a seguito dell’entrata in vigore dei primi decreti legislativi.  L’utilizzo che si era prospettato della delega in commento era pertanto ispirato ad un criterio di frazionamento della delega.

[13] Così è argomentato in I. Iannuccilli, A. De Vita, op cit., p. 5.

[14] Tale circostanza è rilevata, tra gli altri, da Menè, “Cronache costituzionali 1992-1993”, in rivista trimestrale di diritto pubblico, 1996, pp. 482 ss.

[15] Cons. Stato, Ad. Gen., sent. n. 206/2001

[16] Per la trattazione di siffatto profilo si rimanda al par. 4.

[17] L’accezione comunemente riconosciuta di “sperimentale” contempla il dato del risultato di una inziale assunzione consacrata in un principio che orienti un’analisi scientifica con la necessità di una verificazione dei suoi presupposti attraverso delle prove. Un valido strumento euristico ai fini della presente analisi si rinviene nella teoria di Thomas Kuhn concernente il “paradigma”. Il citato autore discende dall’assunto della possibilità di modificare un dato paradigma inizialmente assunto in quanto nozione condivisa dalla comunità scientifica, circostanza chiamata da Kuhn della “scienza normale”, da parte di un ulteriore modello che rispecchi maggiormente la realtà sociale ovvero sperimentale. Ne consegue che le disposizioni emanate nel decreto legislativo principale possano consistere in un “paradigma superato”, si da necessitare di una correzione e integrazione di contenuto al momento dell’assunzione della contezza di siffatto superamento. sul punto T. Kuhn, “Second Thoughts on paradigms”, in F. Suppe, “The structure of scientific theories”, University of Illinois press, 1971, pp. 459-482; P. COSTA, “La “transizione”, un modello metastoriografico?”, in Diacronia, fasc. 1/2019, pp. 13-41 nel quale l’autore concepisce la teoria di Kuhn come strumento euristico finalizzato alla comprensione delle transizioni di modelli, detti paradigmi, adeguabili ai fini della presente analisi ai modelli tipicamente normativi e financo politico-sociali. Per quanto attiene ad una trattazione generale e sintetica del pensiero del citato autore si rinvia alla voce di A. Bird, “Thomas Kuhn”, in Stanford encyclopedia of philosophy, disponibile al seguente link: https://plato.stanford.edu/cgi-bin/encyclopedia/archinfo.cgi?entry=thomas-kuhn. Si richiama altresì, nell’ottica di una disamina della dimensione sperimentale del diritto parlamentare, Y. M. Citino, “Il diritto parlamentare sperimentale”, in Osservatorio sulle Fonti, p.1224 disponibile al sito www.osservatoriosullefonti.it, in cui l’autrice richiama un generale carattere sperimentale proprio degli atti di natura normativa ma in un’accezione che predilige il fine della legislazione, inteso quale tutela di un bene giuridico, ove peraltro si rimanda al noto lavoro di Chevallier, “Les lois expertimentelle”, in D. Bourcier, C. Thomasset, “L’ecriture de droit”, Diderot, Parigi, pp.167-203.

[18] P. R. Rodriguez, “Experimentatiòn normativa y organizaciòn territorial del estado”, in REAF, fasc. 2/2006, p. 127 il quale rimanda a R. Drago, “Le droit de l’expérimentation, Dalloz, Paris, 229 ss.

[19] Per quanto attiene alla trattazione delle dinamiche politiche internazionali in riferimento alle materie solitamente oggetto di delega legislativa si rinvia al quanto si sostiene nel quarto paragrafo del presente articolo.

[20] Il principio sopra menzionato è altresì detto principio di “istantaneità” nell’esercizio della delega legislativa. Nell’ambito della sterminata letteratura, spesso alquanto risalente, inizialmente si tendeva a sostenere che il principio di istantaneità della delega fosse da ritenersi di rilevanza costituzionale. Questo assunto derivava dalla circostanza per cui si concepiva con marcato sfavore l’attribuzione di un potere discrezionale prolungato in mano al governo, forti dell’esperienza dettata dal precedente momento autoritario. Sul tema si richiamano C. MORTATI, “istituzioni di diritto pubblico”, p. 771, CEDAM, rev 1991; E. Lignola, “La delegazione legislativa”, p.67, Giuffrè, 1956; L. PALADIN, voce “decreto legislativo”, in Digesto delle discipline pubblicistiche, pp. 196 ss., UTET giuridica, Torino, 1960; E. TOSATO, cit. “La delega legislativa”. Si può argomentare coerentemente ai rilievi di N. LUPO, op. cit., p.66, che il principio di istantaneità della delega costituisca una derivazione della produzione scientifica propria della dottrina e dell’integrazione in via pretoria della giurisprudenza nel periodo statutario, dal momento che lo strumento previsto per la delega al governo presentava dei termini procedimentali assai più ampi e “laschi” rispetto a quelli apprestati dal disposto dell’art. 76 Cost., nella misura in cui dettassero un disciplina sostanzialmente illimitata sotto il profilo dell’oggetto e del tempo. Siffatta circostanza generò la conseguente necessità per la dottrina e per i giudici di delimitare con rigore il margine di discrezionalità propria del legislatore delegato, stante inoltre il carattere flessibile delle garanzie costituzionali di epoca statutaria. Ci si intende riferire in particolare ai “pieni poteri” attribuiti al governo nel periodo di vigenza dello Statuto Albertino, come approfondito da A. BARBERA, “Il governo parlamentare dallo statuto albertino alla costituzione repubblicana”, in relazione al convegno “L’unificazione territoriale e amministrativa dell’Italia”, Ministero dell’Interno, 2010. Per quanto attiene a un riferimento specifico alla materia tributaria si fa riferimento a G. MARONGIU. La produzione di norme tributarie e l’elusione dei principi costituzionali, in Rivista di diritto tributario, 2006, 9/3, pp. 589-620, nel senso dell’attenzione ad un maggiore rigore applicativo della disposizione di cui all’art. 76 Cost. dal momento della rilevazione della circostanza per cui sia talora mancata la corrispondenza della puntualità nell’attuazione della disposizione nella prassi normativa. Si richiama nell’ambito dei lavori che concernono la dinamica che riguarda il rischio di traslazione totale dell’indirizzo normativo sul governo, financo per una prospettiva di carattere storico J. Ferejohn, P. Pasquino, “The law of the exception: A typology of emergency powers”, in International Journal of Constitutional Law, Volume 2, Issue 2, April 2004, Pages 210–239, Oxford University Press; sebbene in riferimento al potere di emergenza in capo al Presidente degli Stati Uniti d’America nel presente contributo si analizzano gli effetti del divenire un’eccezione la regola nella produzione del diritto, nel senso di espungere il circuito parlamentare nell’ambito delle decisioni che attengono alle eccezioni del sistema, in ispecie e per quanto attiene l’ambito di interesse dell’autore, con riferimento al contributo del potere presidenziale di interpretazione del diritto internazionale. Per quanto attiene alla presente analisi il persistere della delega in capo al governo potrebbe determinare l’alterazione del corretto dispiegarsi delle competenze legislative come delineate dalla Costituzione.

[21] Per quanto attiene a questa circostanza si vedano i contributi citati nella prima parte della nota 19.

[22] La dottrina, nel periodo dell’assenza di una sistematica di leggi attuative delle previsioni costituzionali in materia di  ordinamento del Governo si era espressa favorevolmente nell’ottica di un eventuale esercizio frazionato della delega, si veda a tal proposito L. Paladin, “sub art. 76”, in Commentario alla Costituzione Branca, 1975 così come dagli assunti, derivati dall’analisi della giurisprudenza costituzionale, rinvenibili nelle pieghe argomentative delle sentenze n. 41/1975 e 156/1985, le quali affermano la possibilità del frazionamento dell’esercizio della delega legislativa nel rispetto dei principi e criteri direttivi e dei tempi definiti delineati dal legislatore ordinario nella legge delega. Con l’entrata in vigore dell’art. 14, terzo comma della l. 400/1988 il principio inerente all’utilizzo in commento della delega trova una definitiva stabilizzazione legislativa, nel senso di intendere che “se la delega legislativa si riferisce ad una pluralità di oggetti distinti suscettibili di separata disciplina, il Governo può esercitarla mediante più atti successivi per uno o più degli oggetti predetti. In relazione al termine finale stabilito dalla legge di delegazione, il Governo informa periodicamente le Camere sui criteri che segue nell’organizzazione dell’esercizio della delega”. L’assunto codificato dalla legge sul Governo verrà in seguito ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, in ispecie, a titolo di esempio, con la sentenza 422/1994, per la quale si rinvia al testo della stessa.

[23] Si fa riferimento ex multis a L. Paladin, “le fonti del diritto italiano”, 1996, Il Mulino, Bologna.

[24] Si richiama il riferimento effettuato nei confronti del termine triennale, apprestato dalla legge delega del 1971 per quanto attiene al termine triennale previsto limitatamente alle materie indicate nell’ambito dell’art. 10 della citata legge nel rinvio operato dall’art. 17.

[25] Per quanto attiene il complicato profilo concernente lo “sbilanciamento”, a livello sistemico, dell’attività normativa verso la decretazione si rinvia a F. Meola, “Governare per decreto. Sistema delle fonti e forma di governo alla ricerca della rappresentanza perduta”, in Rivista AIC, fasc. 3/2019.

[26] Cons. Stato, Ad. Gen., sent. n. 206/2001.

[27] La citata tendenza si rinviene nel rendersi maggiormente complesso delle materie, in ispecie con riferimento ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dall’ordinamento internazionale. Si veda a tal proposito quanto sostenuto da V. Piergigli, “Diritto internazionale e diritto costituzionale: dall’esperienza dei procedimenti costituenti eterodiretti alla policy framework assistance”, in Rivista Aic, fasc. 1/2015.

[28] La pronuncia del Consiglio di Stato, oggetto di analisi, in merito al parere concernente la modificazione di talune disposizioni facenti parte del codice dell’ambiente, Cons. Stato Ad. Gen., 5 novembre 2007, n.3838, Considerato A, punto 4-5, afferma che si possa intervenire mediante un decreto legislativo integrativo e correttivo sia dal punto di vista di una correzione, nel senso dell’introduzione di disposizioni che risultino finalizzate a prevenire l’illegittimità costituzionale sotto il profilo dell’irragionevolezza delle disposizioni emanate in esercizio della delega nel primo decreto così come dell’illogicità della formulazione della disposizione fino a pervenire alla correzione di disposizioni di difficile applicazione. Per quanto attiene alla funzione integrativa dell’atto delegato, essa si intenda preposta al perseguimento di una finalità di rimedio all’eventuale mancanza di una regolazione su oggetti nei confronti dei quali il legislatore, nell’esercizio primario e a tal fine pregiudiziale della delega principale, abbia trascurato di svolgere un’analisi. Ai fini di una corretta impostazione metodologica occorre tenere presente che la legge delega non sia dotata della forza di innovare l’ordinamento giuridico ma sia prettamente attributiva di una competenza o meglio, di un potere di emanazione di atti legislativi. Il Consiglio di Stato si perita inoltre di sottolineare la natura di endiadi della denominazione, incontrando talora resistenza da parte della dottrina, in ispecie si richiama il già citato M. Ruotolo, op. cit, pp. 5-12.

[29] Le circostanze che emergono a fronte di queste considerazioni vengono commentate in C. Nardelli, “Il procedimento di formazione dei decreti integrativi e correttivi: opportunità e limiti dell’intervento del Consiglio di Stato”, in Amministrazione in cammino, 12 giugno 2008.

[30] Per quanto attiene allo studio della tipologia del decreto legislativo in conformità del canone, sviluppato dalla stessa giurisprudenza costituzionale, del corretto esercizio della delega, si rimanda al documento di studi della Corte Costituzionale di R. Nevola, D. Diaco, “la delega della funzione legislativa nella giurisprudenza costituzionale”, in servizio studi della Corte Costituzionale, pp. 304-411, disponibile in www.cortecostituzionale.it.

[31] Si fa riferimento al contenuto della sentenza n. 56/1965 della Corte Costituzionale, rel. Mortati. Per quanto riguarda il caso di specie, esso atteneva ad un’eccezione di incostituzionalità per eccesso di delega di un decreto legislativo in materia di contrattazione collettiva. Per quanto attiene ad un’analisi maggiormente approfondita della pronuncia in commento si rinvia al testo della stessa disponibile al seguente link: https://www.giurcost.org/decisioni/1965/0056s-65.html?titolo=Sentenza%20n.%2056. Inoltre, la giurisprudenza costituzionale ha colto l’occasione di invita il legislatore alla considerazione di un’effettiva cautela nell’esercizio del potere legislativo delegato con la sentenza n. 32/1968, rel. Oggioni, nel senso che la soppressione di eventuali previsioni legislative sia da considerarsi legittima nel caso di rispetto di meccanismi confacenti ai fini della legge delegante. Si rimanda la teso della pronuncia in esame mediante il seguente link: https://www.giurcost.org/decisioni/1968/0032s-68.html?titolo=Sentenza%20n.%2032. La Corte giunge financo ad affermare, con la successiva sentenza 28/1970, la necessità, per legislatore delegato, di tenere in considerazione le condizioni del contesto normativo da innovare, si da rendere il successivo ed eventuale giudizio di legittimità, una valutazione delle disposizioni del decreto delegato in raffronto con quelle rinvenibili nell’ambito del contesto normativo precedente. La suddetta pronuncia è disponibile al seguente link: https://www.giurcost.org/decisioni/1970/0028s-70.html?titolo=Sentenza%20n.%2028.

[32] Corte Cost., sentenza n. 26/1967, rel. Cassandro, riguardante il giudizio di legittimità costituzionale di disposizioni in materia lavoristica.  Il testo della pronuncia, per quanto attiene alle questioni sottese al caso di specie è disponibile al seguente link: https://www.giurcost.org/decisioni/1967/0026s-67.html?titolo=Sentenza%20n.%2026.

[33] I contenuti espressi in questo senso possono desumersi a partire dalle pronunce citate nella nota precedente, in particolare si rimanda alla lettura del “considerato in diritto” della sentenza 28/1970.

[34] Si veda sub. nota 12, (supra).

[35] Si veda il paragrafo 2 in tema di profili di contrasto a costituzione con riferimento al principio di istantaneità della delega con riferimento ai profili di carattere storico.

[36] Corte Costituzionale 51/1992, rel. Baldassarre. Il testo della pronuncia è disponibile al seguente link: https://www.giurcost.org/decisioni/1992/0051s-92.html.

[37] Si veda sub nota 3.

[38] La circostanza ricordata è stata analizzata a più riprese dalla dottrina. Si rinvia ai fini di un’analisi esauriente di queste problematiche ai lavori citati nelle note 1-3 del presente contributo. Per quanto attiene al formante giurisprudenziale si rinvia alla summenzionata sentenza della Corte Costituzionale n. 206/2001, rel. Onida. A fronte di ciò che emerge dalla sentenza in commento si ripropongono, in un’ottica di ermeneutica giuridica e per quanto riguarda un inquadramento generale della teoria interpretativa, le riflessioni che la dottrina ha svolto rispetto alla tematica dell’interpretazione conforme a costituzione per le quali si rinvia a titolo di esempio a A. Ruggeri, “l’interpretazione conforme e la ricerca del “sistema di sistemi” come problema”. In Rivista AIC, fasc. 2/2014, pp. 1-18. Si considera nel citato contributo il carattere del tempo come funzionale all’interpretazione conforme quale funzionale al tracciamento di una gerarchia tra le fonti normative che costituiscono il parametro di riferimento della stessa attività di interpretazione conforme a costituzione, così come si richiamano i rilievi in G. Pitruzzella, “L’interpretazione conforme e i limiti alla discrezionalità del giudice nell’interpretazione della legge”, in federalismi.it, fasc. 3/2021, pp. 161-166. Disponibile a: https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=44838. Inevitabile risulterà, ai fini della valutazione delle complesse deleghe integrative e correttive, tenere in considerazione i suddetti canoni interpretativi.

[39] Si fa riferimento al testo della citata sentenza Corte Cost. n. 111/1997 per il cui testo si rinvia al seguente link: https://www.giurcost.org/decisioni/1997/0111s-97.html?titolo=Sentenza%20n.%20111. Si ribadisce nella summenzionata pronuncia i due limiti costituiti dalla ratio propria della legge delega così come della necessità di tenere in considerazione il contesto normativo di riferimento, sempre alla stregua di un carattere di ottica sistematica, istanza procedimentale ripetutamente affermata dalla teoria dell’ermeneutica giuridica all’atto di regolare i rapporti nell’ambito intertemporale.

[40] Si richiama il contributo del già citato E. Caterina, op. cit., p. 1227, ove si rileva che l’intento sperimentale del legislatore trovi il limite nella prassi concreta riguardante i decreti legislativi integrativi e correttivi.

[41] I. Iannuccilli, A. De Vita, op cit., p. 9.

[42] E. Caterina, op. cit., p. 1227, si veda sub nota 26.

[43] Siffatta problematicità risulta dettata dalla ricchezza della fase procedimentale del decreto legislativo integrativo e correttivo. Il dato in commento si può desumere dal numero significativo di pronunce del giudice delle leggi nel merito della questione, per le quali si rimanda ai contributi precedentemente citati di carattere generale sulla giurisprudenza in materia di decretazione delegata.

[44] M. Cartabia, op.cit, p.45, contributo citato in Gori, “dalla fonte decreto legislativo correttivo al fine”, in Osservatorio sulle Fonti, in “Il potere normativo del Governo”, fasc. 2/2019, p.13.

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