giovedì, Marzo 28, 2024
Labourdì

Controllo a distanza del lavoratore e privacy

La privacy è argomento molto delicato che, calato nel rapporto di lavoro, diventa un aspetto ancora più importante, doveroso di regolamentazione normativa.
La questione si accentra sul potere di controllo riconosciuto al datore e ritenuto ammissibile, alla luce non solo della disciplina lavoristica ma pure della normativa in materia di trattamento dei dati personali.
In particolare, la questione dell’estensione legittima del potere di controllo del datore e dei limiti esistenti rispetto allo stesso è molto complessa.
Tale complessità deriva dall’esigenza di contemperamento tra interessi parimenti importanti. Da un lato la dignità e libertà del lavoratore, dall’altro l’esigenza del datore di conoscere l’effettiva produttività dei lavoratori nell’ambito dell’attività lavorativa svolta sul posto di lavoro.

La tematica che, in particolare, si vuole affrontare in tale sede concerne l’utilizzo di dispositivi che permettono di registrare, adoperati nella sede di lavoro.

La disciplina normativa della fattispecie è contemplata dal d.lgs n° 151/2015 che ha novellato l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori.
Innanzitutto occorre dire che la norma in parola fa riferimento al controllo dell’attività dei lavoratori, non al controllo dei lavoratori stessi che, in quanto tale, configura senza dubbio un’ipotesi illecita.
Il controllo è, quindi, prima di tutto limitato all’attività lavorativa svolta dai dipendenti.

La regola di cui all’articolo 4 prevede che sia vietato l’uso di impianti audiovisivi e altre apparecchiature al fine di controllare i lavoratori.
Tuttavia, vi sono talune ipotesi in cui si ammette l’adozione degli stessi: sono tali le ipotesi in cui l’uso sia giustificato da esigenze produttive, organizzative o inerenti alla sicurezza sul lavoro e, dall’uso degli stessi, derivi la possibilità di controllo a distanza.

Queste ipotesi sono ammissibili, però, solo previo esperimento di un accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza, di autorizzazione con la Direzione territoriale del lavoro.
Alla base dell’applicabilità di tale regola si pone, quindi, una distinzione tra strumenti necessari e strumenti non necessari allo svolgimento della prestazione. I secondi integrano, chiaramente, la categoria di strumenti non ammissibili e rientrano nel divieto di cui al comma 1 della norma.

La questione è stata di recente affrontata anche dalla Corte di Cassazione, rispetto ad uno specifico caso in cui un’azienda aveva installato un impianto di video ripresa con telecamere collegate ad una rete wi-fi che riproduceva le immagini su uno schermo esposto all’interno della stessa area in cui veniva svolta l’attività.
In sede processuale, l’impresa aveva basato la propria difesa sostenendo che il comportamento dovesse ritenersi legittimo in quanto all’epoca dell’installazione sussisteva, comunque, il consenso pacifico ed espresso da parte dei lavoratori.

La Suprema Corte, con pronuncia n°22148 dell’8 maggio 2017, dispone che “anche la nuova disposizione (art. 23, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151) ribadisce la necessità che l’installazione di apparecchiature(da impiegare esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale ma dalle quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori) sia preceduta da una forma di codeterminazione (accordo) tra parte datoriale e rappresentanze sindacali dei lavoratori, con la conseguenza che se l’accordo (collettivo) non è raggiunto, il datore di lavoro deve far precedere l’installazione dalla richiesta di un provvedimento autorizzativo da parte dell’autorità amministrativa (Direzione territoriale del lavoro) che faccia luogo del mancato accordo con le rappresentanze sindacali dei lavoratori, cosicché, in mancanza di accordo o del provvedimento alternativo di autorizzazione, l’installazione dell’apparecchiatura è illegittima e penalmente sanzionata.
La ratio principale sta nel fatto che il lavoratore, inteso come singolo, è il soggetto debole nel rapporto lavorativo, motivo per cui è opportuno che gli interessi di questa categoria siano tutelati collettivamente da parte delle associazioni sindacali, rappresentative di tali interessi.
Tale dictum ha volutamente indicare che il consenso prestato dai lavoratori , per quanto espresso e validamente prestato, non è sostitutivo degli accordi su citati. Esso, dunque, non va a sanare la condotta del datore, la quale sarà pertanto sanzionabile ai sensi di quanto disposto dall’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori.

Dott.ssa Marilù Minadeo

Nata a Napoli, il 26/07/1991. Nel marzo del 2016 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l' Università Federico II di Napoli. Ha intrapreso il percorso di preparazione al concorso in magistratura, frequentando un corso di formazione privato presso un magistrato. Inoltre, sta perfezionando la formazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali di Napoli ed è praticante avvocato.

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