venerdì, Marzo 29, 2024
Di Robusta Costituzione

Copasir: un caso risolto e una questione ancora aperta

 

  1. Il caso Copasir

Negli ultimi mesi si è assistito ad una impasse nel cambio dei vertici del Comitato Parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), a seguito della formazione del nuovo governo e, di conseguenza, anche dell’equilibrio tra maggioranza e opposizione.

L’organo in questione, commissione bicamerale a carattere permanente costituito in seno al Parlamento della Repubblica, svolge la funzione fondamentale di controllo sull’operato dei servizi segreti italiani.[1] Tale ruolo di garanzia ha fatto sì che il Legislatore, nell’ottica del sistema dei “pesi e contrappesi”, attribuisse la nomina dei vertici all’opposizione parlamentare.[2]

Tuttavia, il costituirsi del nuovo Governo ha visto alcune forze politiche, che prima sedevano all’opposizione esercitando il diritto di nomina dei vertici dell’organo in esame, passare nella maggioranza. Ciononostante, vi è stata da parte di questi ultimi una certa reticenza a lasciare la presidenza del Copasir all’unica forza politica rimasta all’opposizione.

Il problema, prima che politico, è giuridico. E ciò è stato dimostrato dalla lettera-appello firmata da 37 costituzionalisti e contenente la richiesta rivolta ai Presidenti delle Camere di sciogliere il nodo venutosi a creare.[3]

Invero, l’invito-appello rivolto ai Presidenti delle Camere era volto ad addivenire a un accordo politico per ripristinare la legalità della composizione del Copasir. Nonostante detto mancato intervento, dovuto essenzialmente alla mancanza di poteri autoritativi dei Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, il caso Copasir si è chiuso con le dimissioni del Presidente del Comitato in carica e la nomina del nuovo da parte dell’attuale opposizione politica.

Ciò detto, anche se la “vicenda Copasir” può dirsi conclusa, irrisolte rimangono le questioni di fondo circa la tutela delle minoranze politiche nell’assetto costituzionale.

  1. La tutela dei diritti delle opposizioni innanzi alla Corte Costituzionale

Nei giudizi per conflitto tra poteri dello Stato, la Consulta è chiamata ad assicurare l’ordine costituzionale delle competenze tra organi in conflitto. In particolare, l’art.37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 stabilisce che “il conflitto tra poteri dello Stato è risolto dalla Corte Costituzionale se insorge tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà dei poteri cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i vari poteri da norme costituzionali”.

Nell’ambito di detti giudizi, è possibile distinguere i conflitti tra poteri e conflitti di competenza tra organi all’interno dello stesso potere: mentre la risoluzione dei primi è affidata alla Consulta, in quanto conflitto tra organi costituzionali superiorem non recognoscentes, la soluzione dei secondi è demandata a organi appartenenti al medesimo potere.

Nei conflitti tra poteri dello Stato, la determinazione delle parti del conflitto, non essendo predeterminate, spetta alla Corte Costituzionale nell’ambito del giudizio preventivo di ammissibilità del conflitto, il quale consta di un profilo oggettivo e di uno soggettivo. Dal punto di vista soggettivo, deve individuare quali sono i poteri dello Stato; dal punto di vista oggettivo, deve stabilire quali sono le attribuzioni la cui tutela può essere invocata davanti al Giudice costituzionale.

Si ritiene quindi opportuno delineare i confini della nozione di “potere dello Stato”.

Al riguardo, non appare convincente la tesi che, facendo riferimento alla teoria della separazione dei poteri, individua le parti del conflitto nei tradizionali poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. Invero, seguendo questa impostazione, rimarrebbero esclusi numerosi organi dello Stato che, seppur titolari di attribuzioni costituzionali, non risultano riconducibili a nessuno dei tre poteri;[4] così come resterebbero privi di tutela i titolari di attribuzioni costituzionalmente rilevanti, ma diversi dagli organi dello Stato apparato.[5]

Preferibile è la tesi, sostenuta dalla dottrina maggioritaria[6] e seguita poi, in parte, dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale devono essere considerati “poteri dello Stato”, idonei a qualificarsi quali parti del giudizio di conflitto di attribuzione, gli organi costituzionali che, all’interno di un determinato potere, sono abilitati a produrre decisioni autonome e indipendenti, tali da impegnare l’intero potere cui appartengono.

A sostegno di tale tesi vi è innanzitutto il dato letterale della norma, la quale fa riferimento specifico a organi competenti a dichiarare in via definitiva la volontà dei poteri cui appartengono.” In secondo luogo, vi è l’argomento teleologico, in virtù del quale devono essere demandati al giudizio innanzi alla Corte Costituzionale tutti quei conflitti di attribuzione costituzionalmente rilevanti che non troverebbero adeguata tutela se affidati a organi appartenenti al medesimo potere.

Sul punto, la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto inammissibile una legittimazione attiva dei singoli parlamentari quale strumento di tutela delle minoranze politiche.[7]

In particolare, con l’ordinanza del 4 luglio 2018, n. 162, la Corte Costituzionale ha ribadito che, sotto il profilo soggettivo, la legittimazione ad adire la Corte con lo strumento del conflitto si fonda sull’esistenza di una sfera di attribuzioni protetta dalla Costituzione, delle quali si lamenta la lesione. Da ciò consegue la necessità che “il ricorrente individui con chiarezza la sfera di potere asseritamente lesa, avendo cura di motivare la ridondanza delle asserite violazioni dei principi costituzionali invocati sulla propria sfera di attribuzioni costituzionali, a difesa della quale questa Corte è chiamata a pronunciarsi”.[8]

Invero, in altra occasione, la Consulta ha precisato che “la mancata scelta e la conseguente incertezza da parte dei ricorrenti su come qualificarsi dal punto di vista soggettivo si riflette in una altrettanto indefinita enunciazione delle sfere di attribuzioni costituzionali a difesa delle quali questa Corte sarebbe chiamata a intervenire”. [9]

Sennonché, in tutte le pronunce, essa ha costantemente ribadito di dover lasciare “impregiudicata la questione se in altre situazioni siano configurabili attribuzioni individuali di potere costituzionale, per la cui tutela il singolo parlamentare sia legittimato a ricorrere allo strumento del conflitto tra poteri dello Stato”.[10]

D’altronde, la Corte Costituzionale ha chiarito che la nozione di “potere dello Stato”, ai fini della legittimazione a sollevare conflitto di attribuzione ex art. 37 della legge n. 87 del 1953, abbraccia tutti gli organi ai quali sia riconosciuta e garantita dalla Costituzione una quota di attribuzioni costituzionali o sia affidata una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita; sicché il vaglio della legittimazione dei ricorrenti deve muovere dalla ricognizione della sfera delle attribuzioni conferita ai singoli parlamentari dalla Costituzione, verificando se in relazione a esse il singolo parlamentare possa ritenersi abilitato a esprimere in via definitiva la volontà del relativo potere. [11]

In base a tali premesse, la Consulta ha riconosciuto, in diverse occasioni, la legittimazione a ricorrere ad alcune commissioni parlamentari, in quanto organi che possono configurarsi come poteri a sé stanti, idonei a essere parti nei conflitti di attribuzione.[12]

Tra l’altro, è proprio sulla base della “clausola di riserva” costantemente ribadita nella giurisprudenza costituzionale che, secondo alcuni, troverebbe spazio la tutela delle opposizioni davanti alla Corte Costituzionale, in mancanza di un adeguato sistema di garanzia all’interno del Parlamento.

  1. Il principio dell’autonomia delle Camere e la garanzia costituzionale delle opposizioni.

L’intervento della Corte Costituzionale trova un ulteriore limite nel principio dell’autonomia delle Camere, ricavabile dalla lettura congiunta degli artt. 64 e 72 della Costituzione.

Detta autonomia dev’essere intesa sia in senso normativo sia in senso applicativo. Ricomprende, dunque, non solo la fase di elaborazione delle norme, ma anche quella successiva di applicazione delle stesse, ivi incluse “le scelte riguardanti la concreta adozione delle misure atte ad assicurarne l’osservanza”.[13]

Ciò postulerebbe l’insindacabilità di tutte le manifestazioni di volontà delle Camere, quale massima espressione dell’autonomia parlamentare.

A fronte di un atteggiamento piuttosto rigido da parte della Consulta nel riservare in via esclusiva alle forze presenti in Parlamento tutte le decisioni attinenti alla vita delle Camere, si è contrapposta la dottrina maggioritaria. Quest’ultima ritiene, infatti, che il Parlamento non possa più svolgere in prima persona un ruolo di garanzia costituzionale, non essendo più legittimato dalla collaborazione tra tutte le forze politiche -ove il caso Copasir in questione, originato dal mancato accordo politico, ne è un emblematico esempio-.

Invero, l’autonomia delle Camere da ogni altro potere e organo costituzionale dello Stato è nato in epoca statutaria con lo scopo di salvaguardare gli organi parlamentari dalle interferenze dell’Esecutivo e del Sovrano. Tuttavia, con il passaggio da una concezione di “sovranità dell’organo” a una di “sovranità popolare”, la prerogativa anzidetta dev’essere oggi intesa come teleologicamente orientata a proteggere il corretto e libero esercizio della funzione, piuttosto che il prestigio e l’inviolabilità dell’organo.

Ci si chiede, dunque, se e in che limiti le opposizioni parlamentari possano essere qualificate alla stregua di un “potere dello Stato”. In senso negativo, vi è la circostanza per la quale la Carta Costituzionale non ha positivizzato il concetto di opposizione; in senso positivo, occorre rilevare che le minoranze politiche godono di una sfera di prerogative e garanzie riconosciute dalla prassi e, come nel caso Copasir, dalla legge, le quali discendono direttamente dall’assetto costituzionale.

Difatti, il concetto di opposizione, quale centro di potere cui vanno riconosciute garanzie in virtù del principio del pluralismo, è il presupposto stesso del nostro ordinamento.

Sul punto, si ritiene opportuno rammentare che nella liberal-democrazie il principio maggioritario intrattiene una relazione dialettica con principio cd. minoritario,[14] in assenza del quale si determinerebbe una implosione della stessa democrazia. Detta tensione dialettica è stata sottolineata da Kelsen, il quale ha proposto di sostituire l’espressione “principio maggioritario” con “principio maggioritario-minoritario”.[15]

Per questa ragione, il principio maggioritario dev’essere temperato da regole volte a bilanciarlo, tutelando attraverso un complesso minimo e irriducibile di diritti e garanzie le minoranze politiche.[16]

D’altro canto, il ruolo costituzionale dell’opposizione è stato riconosciuto dagli stessi 37 costituzionalisti nella lettera-appello citata, il cui incipit sintetizza perfettamente l’importanza della garanzia delle minoranze politiche nell’assetto costituzionale: “Nelle democrazie pluraliste contemporanee la separazione dei poteri, uno dei cardini dello Stato di diritto, si declina, necessariamente, anche come garanzia delle opposizioni e del loro ruolo costituzionale”.

 

[1] Legge 3 agosto 2007, n.124, art. 31, rubricato “Funzioni di controllo del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica”.

[2] Legge 3 agosto 2007, n. 124, art. 30, rubricato “Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica”, il cui comma 3 prevede che L’ufficio di presidenza, composto dal presidente, da un vicepresidente e da un segretario, è eletto dai componenti del Comitato a scrutinio segreto. Il presidente è eletto tra i componenti appartenenti ai gruppi di opposizione e per la sua elezione è necessaria la maggioranza assoluta dei componenti.”

[3] Il testo integrale della “lettera appello” sulla questione Copasir  è disponibile qui https://www.barbadillo.it/98408-copasir-la-lettera-di-51-costituzionalisti-presidenza-spetta-alle-opposizioni/

[4] Ad esempio, il Presidente della Repubblica.

[5] Basti pensare, a titolo meramente esemplificativo, al comitato promotore di referendum abrogativo.

[6] A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto costituzionale, Il Mulino, edizione 2012, p. 526.

[7] Corte Cost., ordinanza n. 181, 4 luglio 2018; Corte Cost., ordinanza n. 163, 4 luglio 2018.

[8] Corte Cost., ordinanza n. 162, 4 luglio 2018.

[9] Corte Cost., ordinanza n. 280, 21 dicembre 2017.

[10] Corte Cost., ordinanze nn. 177 e 181, 8 maggio 1998; Corte Cost., ordinanza n. 163, 4 luglio 2018; Corte Cost., sentenza n. 225, 4 luglio 2001.

[11] Corte Cost., ordinanza n. 17, 10 gennaio 2019, disponibile qui: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2019:17

[12] Con riguardo alla Commissione parlamentare inquirente per i giudizi d’accusa, v. Corte Cost. sentenza n. 13, 21 gennaio 1975; con riferimento alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, v. Corte Cost. sentenza n. 69, 9 marzo 2009, e n. 502, 13 novembre del 2000; infine, relativamente alle  Commissioni di inchiesta istituite a norma dell’art. 82 Cost., v. Corte Cost., ordinanze nn. 229 e 228, 8 luglio 1975.

[13] Corte Costituzionale, sentenza n. 262, 26 settembre 2017.

[14] H. Kelsen, I fondamenti della democrazia, Il Mulino, 1966, p.66.

[15] H. Kelsen, I fondamenti della democrazia, cit.

[16] A. D’Atena, Lezioni di diritto costituzionale, G. Giappichelli Editore, Torino, edizione 2012, pp. 50-56.

Giulia Guerri

Giulia Guerri, nata a Roma nel 1994. Si è laureata con Lode in Giurisprudenza, con una tesi di ricerca dal titolo “La partecipazione dei lavoratori all’impresa secondo il diritto dell’UE: analisi e prospettive”. Durante il percorso universitario, ha integrato il piano di studi conseguendo con profitto il profilo “Diritto e Gestione delle Nuove Tecnologie”, ove ha avuto modo di acquisire conoscenze specifiche in materia di P.A. digitale, Privacy, biotecnologie, mercati e servizi online e dei contenuti digitali. Ha svolto con esito positivo il tirocinio ex art. 73 presso la Corte d’Appello di Roma.

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