Coppie criminali: analisi psico-criminologica
Introduzione.
Oltre agli omicidi commessi da assassini seriali, in alcuni casi si sente parlare di omicidi commessi da coppie criminali. Soffermando l’attenzione su questi ultimi, si rileva che per parlare di omicidio in coppia non è necessario che siano stati entrambi gli individui ad uccidere. Si parla di omicidio seriale in coppia, infatti, anche quando è solo un membro a commettere l’atto, mentre l’altro è solo un complice, a volte silente, che assiste al fatto o aiuta a pianificare il delitto. Il fatto certo è che due sono gli individui che costituiscono la coppia:
- Uno è il soggetto induttore, un individuo più emotivamente forte, freddo, distaccato e più intelligente;
- L’altro rappresenta il soggetto debole, meno intelligente e capace di cedere facilmente alla suggestione del primo.
Nonostante i serial killers che uccidono in coppia costituiscano solo il 9% degli assassini seriali, in Italia si sono verificati diversi casi di omicidi in coppia. Basti pensare al delitto di Novi Ligure. Con il passare del tempo, si è cercato di comprendere quali siano state le dinamiche psicologiche che hanno sotteso l’agire della coppa criminale.
Si parla spesso di folie à deux e, sul punto, molti sono stati gli autori che hanno cercato di rendere più comprensibile il fenomeno in oggetto.
In questa sede, pertanto, si analizzeranno sia le dinamiche psicologiche sottostanti la coppia criminale come fenomeno generale sia la personalità dei soggetti autori del delitto di Novi Ligure.
Le tipologie di coppie criminali di Sighele.
Uno dei primi riferimenti letterari alle coppie criminali si deve a Scipio Sighele che, nella sua opera “La coppia criminale” (1909)[1], ne distinse quattro tipologie:
– gli amanti assassini: il ruolo principale è ricoperto dalla suggestione d’amore ed è, solitamente, uno dei due amanti a spingere l’altro a commettere il crimine; all’interno della coppia s’individuano un partner perverso e l’altro debole, che viene manipolato dal primo, diventando così uno strumento nelle sue mani. L’amore passionale, nella sua forma patologica, costituisce il punto d’origine del delitto;
– la coppia infanticida: il cui delitto nasce come conseguenza spontanea, se non necessaria, dall’amore illecito. Tutto ruota intorno alla prova della colpa che occorre fare scomparire (il bambino);
– la coppia familiare: la vita in comune di due soggetti appartenenti allo stesso nucleo familiare sono condizioni favorevoli al sorgere e allo svilupparsi di una suggestione criminosa. In questa tipologia di criminali lo scopo è quasi sempre quello del lucro;
– la coppia di amici: nasce spesso in ambienti quali il carcere o in locali in cui si ritrovano non solo delinquenti, ma anche vagabondi, squilibrati e sfaticati; in questo caso è il rapporto d’amicizia a dar vita alla suggestione criminosa tra il soggetto perverso dominante e quello debole.
Sulla base di quanto appena esposto, risulta chiaro che, nell’ampia categoria delle coppie criminali, vi sono diverse tipologie. Poco più di un terzo del totale è costituito da coppie uomo/donna tra i quali, nella quasi totalità dei casi, vi è un rapporto di tipo erotico-sentimentale.
Meccanismi psicologici alla base della folie à deux nelle coppie criminali.
La diagnosi psichiatrica di due individui che si uniscono per perpetrare un crimine, quindi delle coppie criminali, è definita Disturbo Psicotico Condiviso[2] o Sindrome Delirante Indotta[3].
All’interno delle coppie criminali, molteplici sono i meccanismi che possono portare alla formazione di un delirio psicotico condiviso. Innanzitutto, bisogna considerare la manipolazione da parte del soggetto induttore. La manipolazione induce la persona a compiere azioni che non avrebbe mai commesso se non avesse incontrato il soggetto induttore. Il manipolatore, attraverso la tecnica della manipolazione, arriva a distruggere psicologicamente chi gli sta vicino; modella a suo piacere la personalità del compagno, sottraendogli ogni volontà. Le persone che subiscono maggiormente la manipolazione sono individui dipendenti[4] che ricercano nell’altro sicurezza e stabilità; tanto più una persona è vulnerabile, maggiore è la possibilità che subisca plagio e manipolazione della psiche. Uno stato di debolezza, anche momentaneo, può quindi rappresentare un momento di maggiore rischio.
L’altro processo che interviene è la suggestione, da parte del soggetto indotto. Quest’ultimo è una persona altamente suggestionabile e, quindi, le tecniche di manipolazione possono avere esiti favorevoli. Si tratta di persone con una debole personalità che, per cercare sicurezza, si aggrappano a qualsiasi cosa: una promessa da parte del partner, la prospettiva di una vita migliore, l’esclusività della relazione con l’induttore.
Ancora, un altro processo alla base dell’instaurarsi della follia a due nelle coppie criminali è la patologia della relazione. Lo psicologo statunitense Paul Watzlawick enuncia i cinque assiomi della comunicazione umana e gli individui possono sviluppare delle patologie relativamente ad ognuno di essi. L’assioma che interessa sottolineare è il quinto: “Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza[5]. Nel primo caso, ovvero la simmetria, la persona che parla tende a rispecchiare il comportamento dell’altro, creando un’interazione simmetrica. Nel secondo caso[6], la complementarietà, il comportamento di un interlocutore completa quello dell’altro e costituisce un tipo diverso di struttura comportamentale, creando un’interazione complementare. In quest’ultimo caso, un partner assume una posizione primaria, superiore, mentre l’altro completa – per così – dire la configurazione, assumendo una posizione inferiore.
In una relazione sana vi è, quindi, sia simmetria, ovvero la capacità dei due soggetti di accettarsi a vicenda, sia complementarietà, ovvero la capacità dei singoli di assumere ruoli differenti ma complementari che permettono di mantenere una giusta definizione del sé. Nella folie à deux vi è proprio una patologia di questo assioma: la relazione simmetrica viene a mancare e la relazione complementare viene portata all’estremo. Il membro forte della coppia attira maggiormente attenzione su di sé, è lui che prevale nella conversazione, mentre il membro debole ha un ruolo passivo e viene considerato come un oggetto nelle mani dell’altro.
Dai quadri diagnostici dei disturbi che colpiscono l’induttore e l’indotto, è possibile dedurre che i due soggetti si completino a vicenda. Il caso primario è l’individuo che porta il delirio trasmettendolo al secondo. Ma cosa spinge due persone così diverse a restare unite? I due individui si incontrano per colmare ognuno i bisogni dell’altro. Inizialmente, è il soggetto indotto a vedere colmati i suoi bisogni in quanto, essendo bisognoso di avere accanto una persona che si prenda cura di lui e di cui possa fidarsi, trova nell’altro una persona forte che sappia guidarlo e a cui possa affidarsi. Inoltre, il fatto di essere scelti dal soggetto forte è fonte di grande soddisfazione. L’induttore, invece, è mosso da un desiderio legato alle caratteristiche del suo delirio. Il fine ultimo è l’annientamento del soggetto perseguitato per appagare un bisogno che non è più possibile tenere a freno. Il soggetto indotto rappresenta, quindi, un mezzo per portare a termine gli scopi del caso primario.
Nel caso in cui i due soggetti presentino questi tipi di disturbi vengono definiti, a livello giuridico, incapaci di intendere e di volere (art. 85 c.p.); tuttavia molte volte accade che le persone coinvolte nella follia a due siano persone che, nel momento in cui commettono il delitto, hanno le piene facoltà mentali. I due soggetti, inoltre, possono presentare un disturbo narcisistico della personalità[7].
Gli amanti assassini: il caso di Novi Ligure.
In Italia, il caso emblematico delle coppie criminali, nello specifico quello degli amanti assassini, fu il caso di Novi Ligure. Il 21 febbraio 2001 a Novi Ligure (Alessandria), una ragazza di nome Erika De Nardo esce di corsa, urlando, dalla propria abitazione. La giovane, all’epoca sedicenne, racconta tra le lacrime che due uomini, probabilmente di origine albanese, entrati nella villetta hanno massacrato a coltellate la madre ed il fratellino mentre lei, dopo una colluttazione con gli assassini, è riuscita miracolosamente a fuggire. Poco dopo Erika chiama con il cellulare il suo fidanzatino Omar di 17 anni, che la raggiunge immediatamente. Quarantotto ore dopo il racconto, Erika, di fronte alle troppe contraddizioni, alle tracce sulla scena del crimine che non combaciano con la versione da lei fornita agli inquirenti, crolla. I due giovani vengono lasciati soli in una stanza della caserma dei carabinieri, dopo essere stati a lungo interrogati, e i loro discorsi vengono intercettati e registrati. Nella serata del 23 febbraio vengono messi in stato di fermo su ordine del procuratore di Alessandria: sono loro gli assassini della madre e del fratello di lei. Erika è l’autrice del delitto e lui ha collaborato al duplice omicidio. Erika e Omar, in tre gradi di giudizio sono stati sempre condannati alla stessa pena: 16 anni per lei, 14 per lui[8]
Quello che ha spinto Erica a compiere un gesto così estremo si esplica nel tentativo ben riuscito di ottenere una maggiore libertà che, secondo la giovane, la madre non le concedeva, nonostante lei e Omar si vedessero tutti i giorni.
In base alle confessione dei colpevoli, nei mesi precedenti al fatto delittuoso, la coppia aveva trascorso molto tempo a pianificare il delitto, escludendo le amicizie, gli interessi e si era ritirata nell’isolamento di una fusione simbiotica. Applicando la teoria alla pratica, in questo caso si constata che il soggetto induttore è Erica, che molto spesso ricorreva a ricatti, facendo leva sui punti deboli di Omar. Un’impresa, quest’ultima, piuttosto facile dal momento che Omar era affettivamente dipendente da Erica, anzi secondo i periti egli soffriva di una pervasiva ed eccessiva necessità di essere accudito, necessità che ha determinato un comportamento sottomesso di dipendenza e timore della situazione.
In Omar i periti hanno riscontrato un Disturbo Dipendente di Personalità. In particolare, gli aveva una “pervasiva ed eccessiva necessità di essere accudito, che ha determinato un comportamento sottomesso di dipendenza e timore della separazione in qualsiasi contesto egli si trovi a vivere[9]”. Ed è proprio su tali timori che le parole di Erika hanno fatto presa. Omar temeva che anche il minimo disaccordo portasse a rischio la relazione tra i due e, al ritiro del supporto e dell’approvazione da parte della ragazza, pertanto era disposto a fare qualsiasi cosa pur di dimostrare il suo amore per Erika. Sempre secondo i periti “Da quando Omar ha conosciuto Erica il suo lavoro principale è consistito nel tentativo di indovinare cosa le potesse fare piacere e cosa potesse deluderla. Poiché soffre di scarsa autostima non è convinto di valere molto, dubita di essere veramente amato e desiderato, perciò si sforza di diventare utile almeno come strumento di piacere della persona da cui dipende psicologicamente.[10]”
Coerentemente con le sue caratteristiche di personalità, Omar, messo alle strette dal padre che minacciava di abbandonarlo, ha immediatamente confessato i delitti, collaborato con magistrati e periti senza mai sostanzialmente modificare la propria versione.
Erika, invece, nel corso dei primi colloqui ha escluso ogni suo coinvolgimento e ha attribuito completamente ad Omar sia la progettazione che l’esecuzione dei delitti: sosteneva di aver fatto entrare Omar senza avere nessun sospetto circa le sue intenzioni omicide e di aver assistito all’uccisione di madre e fratello come immobilizzata, senza avere avuto la forza di cacciare Omar. Nel corso dei colloqui successivi, Erika correggerà via via la sua posizione sia in merito alla premeditazione sia alla sua attiva partecipazione. Le sue menzogne ben dimostrano le sue ostinate abilità manipolatorie.
In base alla documentazione dei periti, Erika soffre di un Disturbo Narcisistico di Personalità[11]: presenta un quadro pervasivo di grandiosità, necessità di ammirazione e mancanza di empatia, elementi che implicano sentimenti di indifferenza verso l’altro. Questo la porta a svilire l’importanza delle altre persone ed a contare solo sulla propria capacità di manipolare per ottenere l’appagamento dei propri bisogni. Gli altri sono considerati alla stregua di avversari da battere con le armi della manipolazione e dell’astuzia. Lo scarso valore che lei attribuisce agli altri l’autorizza, però, anche a sfruttarli per i propri scopi. È successo così in famiglia, avendo Erika trovato modalità relazionali tali per cui gli altri soddisfacevano i suoi bisogni senza che lei dovesse correre il rischio di chiedere e senza che nulla le venisse chiesto in cambio, se non il rispetto di banali regole formali. Anche nel contesto scolastico presumeva di fare tutto da sola, che nessuno le potesse insegnare nulla. I due ragazzi sono giunti a pianificare e ad agire un delitto maturato nell’isolamento di una coppia chiusa al confronto con la realtà e concentrata solo sull’onnipotenza della propria unione. In questo contesto si ingigantisce il narcisismo di Erica alimentato dall’arrendevolezza di Omar.
In sintesi, la dinamica criminale di questa coppia è risultata profondamente condizionata dalla complessa personalità della figura femminile e dalla immaturità e dipendenza di quella maschile.
Nei protagonisti di questo delitto operano meccanismi di difesa che si manifestano in modalità di pensiero onnipotente di tipo infantile. Il delitto appare come un passaggio all’atto, determinato dall’incapacità di prospettarsi soluzioni più adattive e “pensate”. Tramite il meccanismo dell’identificazione proiettiva [12], le parti cattive di sé vengono proiettate sull’Altro che diviene totalmente negativo, a differenza dei membri della coppia che si vedono come del tutto positivi. Questo spiega anche l’assenza di rimorso, di senso di colpa. Questo meccanismo ha funzionato per Erika anche dopo l’arresto, ma stavolta nei confronti di Omar. L’elemento negativo attribuito principalmente alla vittima viene spostato sul complice, che diventa l’induttore, il malvagio ideatore.
In questo caso, si può affermare che se persone con queste caratteristiche di personalità non si fossero incontrate, i delitti non si sarebbero probabilmente compiuti, in quanto il singolo non li avrebbe verosimilmente portati a termine. Si è assistito, inoltre, alla convergenza di disturbi mentali complementari che hanno promosso il legame: il Disturbo Narcisistico di Personalità dell’incube e il Disturbo Dipendente di Personalità del succube. La fusione psicologica di queste coppie ha costruito un vissuto di onnipotenza tale che anche la possibilità di essere scoperti non viene presa in considerazione. Un caso tipico della coppia incube-succube in cui vi è stata una trasmissione degli intenti da un soggetto più forte e determinato, quello con il disturbo narcisistico di personalità, ad uno più fragile, vulnerabile ed influenzabile quale il soggetto con il disturbo dipendente di personalità.
In conclusione, alla luce di quanto è stato detto, si può sostenere che, in questo tipo di coppia, ciascuno ha usato l’altro per soddisfare i propri bisogni psicologici. Si è verificato un incontro tra volontà che si sono intersecate, volontà che hanno individuato una stessa soluzione illusoria a un problema di sviluppo patologico e di immaturità che si è rivelata devastante sul piano della realtà. Infine, il delitto commesso va interpretato anche come l’espressione di un disagio evolutivo. Un disagio che è proprio dell’adolescente alle prese con la formazione di una propria identità autonoma e, quindi, con il conflitto tra bisogni di dipendenza/indipendenza dai genitori. Il desiderio di esplorare il mondo esterno si viene a scontrare con il bisogno infantile di protezione. Da qui, la difficoltà a diagnosticare patologie, disturbi di personalità nella fase adolescenziale e a distinguerle dalle manifestazioni di comuni conflitti. Il comportamento trasgressivo di un giovane, in questa fase dello sviluppo di necessaria rottura con la famiglia, non corrisponde però al comportamento delinquenziale dei soggetti in esame. In essi hanno agito disturbi psicopatologici che possono avere origine da altri due elementi criminogenetici: la trasimissione dei valori e lo stile educativo.
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[1] Sighele S, La coppia criminale, Biblioteca Antropologico-giuridica, Torino, 1909, vol.2, p. 17.
[2] DSM IV-TR, Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, American Psychiatric Association, Washington, 2001, pp. 363-364.
[3] ICD-10, Classification of Mental and Behavioral Disorders: clinical descriptions and diagnostic guidelines, Ed. italiana a cura di D. Kemali, M. May, F. Catapano, S. Lobrace, L. Magliano, Masson, Milano, 1992, pp. 100-102.
[4] Ibidem.
[5] Watzlavick P., Helmick B. J., Jackson D. D., Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Ed. Astrolabio Roma, 1997, p. 43.
[6] Ivi, p. 46.
[7] Joshi K.G., Frierson R.L., Gunter M.D., “Shared Psychotic Disorder and Criminal Responsibility”, in J Am Acad Psychiatry Law, 2006, vol. 34, p.62.
[8] Corte App. Torino, Sez. Pen. per minorenni, sent. n. 21-bis, p. 3.
[9] Relazione dott.ssa Alessandra Simonetto, psicoterapeuta esperta in psicopatologia forense , Tribunale di Torino, pag. 33.
[10] Ivi, p. 35.
[11] Relazione peritale di Adolfo Ceretti, Gustavo Pietropolli Charmet e Alessandra Simonetto, esperti di psicopatologia forense, Tribunale di Torino, Cap. 2 Premessa Metodologica, pag 58.
[12] Coda S., Coppie criminali,Centro Scientifico Editore, Torino, 2001, p. 46.
Maria Rosaria Razzano, esperta in scienze forensi
Maria Rosaria Razzano nasce a Ostia il 10/02/1991. Si laurea in Psicologia Giuridica presso l’università “La Sapienza” di Roma il 28/11/2016 con una tesi in criminologia dal titolo: “Il ruolo dello psicologo nelle misure alternative alla detenzione”. Dopo la laurea decide di svolgere il tirocinio propedeutico all’abilitazione professionale da psicologa presso la Procura Tribunale per i Minorenni di Roma dove si specializza nell’audizione protetta dei minori. Al termine del tirocinio decide di collaborare con l’associazione “Donne e politiche familiari” che ha sede presso La Casa Internazionale delle Donne per specializzarsi nella violenza di genere.
Per approfondire le materie di suo interesse ha iniziato un Master di II livello Scienze Forensi (criminologia, investigazione, intelligence, security) presso l’università “La Sapienza” di Roma. Ha concluso tale percorso il 16/02/2018 con una tesi in criminologia dal titolo “Minori e sexting” con una votazione 110/110. Nello stesso anno sostiene l’esame di stato di abilitazione alla professione. Dal 28/11/2018 è iscritta all’ordine professionale degli psicologi del Lazio.
Dal 2/5/2019 svolge attività di sostegno rivolta ad adolescenti con ritardi cognitivi, autismo e problemi familiari presso una cooperativa sociale che ha sede a Roma.
Contatti: sararazzano21@hotmail.it