Coronavirus: il Tar annulla l’ordinanza della Regione Calabria sulla ripresa delle attività di ristorazione con servizio ai tavoli
Il TAR per la Calabria (Catanzaro) con la sentenza n. 841/2020[1], accogliendo il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha disposto l’annullamento dell’ordinanza regionale del 29 aprile 2020, n. 37[2], firmata dalla governatrice Jole Santelli. Con tale provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, sono state introdotte misure per la prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Con la sentenza in commento è stata dichiarata l’illegittimità dell’ordinanza regionale nella parte in cui dispone (punto n. 6) che, a decorrere dalla data di adozione della stessa, sul territorio della Regione Calabria, “è consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli all’aperto”.
La pronuncia risulta di particolare rilevanza, come rilevato dagli stessi giudici, anche in virtù del forte interesse che ha suscitato il giudizio in questione nell’opinione pubblica.
I motivi di ricorso avanzati dal Governo
La Presidenza del Consiglio dei Ministri, supportata dall’intervento ad adiuvandum del Comune di Reggio Calabria, ha impugnato l’ordinanza della Regione sollevando dinanzi al TAR Calabria tre ordini di motivi.
1) Innanzitutto, a parere del Governo, l’ordinanza regionale violerebbe gli artt. 2, comma 1, e 3, comma 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19 (Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19) e sarebbe stata emanata in carenza di potere per incompetenza assoluta.
Occorre precisare a tal proposito che il decreto legge 25 marzo 2020, n. 19 è l’atto normativo da cui trae legittimazione il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020, l’atto amministrativo con cui il Governo ha sostanzialmente dato avvio alla cosiddetta Fase 2 nell’ambito della gestione dell’emergenza sanitaria da COVID-19.
L’art. 2, comma 1 del decreto legge sopracitato, rubricato “Attuazione delle misure di contenimento”[3], attribuisce la competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione del COVID-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede con propri decreti previo adempimento degli oneri di consultazione specificati.
L’art. 3, comma 1 dello stesso decreto legge rubricato “Misure urgenti di carattere regionale o infraregionale”, dispone che le Regioni, «esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale», possono adottare ulteriori misure ad efficacia locale.
Tale potere integrativo da parte della Regione è sottoposto però a tre condizioni, e cioè che si tratti di interventi destinati a operare nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili nella regione.
In ottemperanza a quanto disposto dall’art. 2, comma 1 del decreto legge 19 del 2020, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha adottato il d.P.C.M. del 26 aprile 2020[4] che, con efficacia dal 4 maggio 2020 al 17 maggio 2020, disponendo la sospensione delle attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) e, in via di eccezione, consente la ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo restando l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi.
La Regione Calabria con l’ordinanza oggetto di impugnazione ha autorizzato anche la ristorazione con servizio al tavolo, ponendosi in evidente contrasto con quanto disposto dal d.P.C.M. e non rispettando nessuna delle tre condizioni previste dall’art. 3, comma 1 del decreto legge. Tale situazione sarebbe sufficiente, a parere del Governo, a condurre all’annullamento del provvedimento regionale.
A maggior ragione se si considera che l’ordinanza impugnata non potrebbe trovare fondamento nemmeno nell’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) che attribuisce al presidente della giunta regionale o al sindaco il potere di emanare ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica. L’impossibilità di rinvenire tale fondamento si riscontra in quanto tale articolo è derogato dalla disciplina dettata dal d.l. n. 19 del 2020, e perché l’emergenza sanitaria ha carattere nazionale, e dunque impone l’intervento da parte del Governo centrale.
2) Con il secondo motivo di ricorso è stato dedotto che l’ordinanza sarebbe priva di un’adeguata motivazione e non sarebbe neppure supportata da una valida istruttoria, dunque sarebbe illogica e irrazionale.
Sostanzialmente, a parere del ricorrente, non sarebbe stato adottato un metodo scientifico valido nella valutazione del rischio epidemiologico tale da comportare l’abbandono del principio di precauzione.
In virtù di tale principio, come ribadito da costante giurisprudenza[5], ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri deve tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche. A maggior ragione, in un contesto come quello dell’emergenza epidemica in corso, una deroga a tale principio che comporti un’attenuazione delle misure disposte a livello nazionale può essere unicamente il frutto di un’istruttoria adeguata e approfondita.
3) Con il terzo e ultimo motivo di ricorso è stato dedotto che l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere, evidenziato dalla violazione del principio di leale collaborazione poiché sarebbe mancata ogni tipo di interlocuzione con il Governo.
Il problema della legittimità costituzionale del d.l. 19/2020
I giudici del TAR calabrese, prima di entrare nel merito dei tre motivi di ricorso, hanno esaminato l’eccezione di difetto di giurisdizione del G.A. in favore della Corte Costituzionale sollevata dalla Regione Calabria e dagli altri interventori ad opponendum. Nell’ambito di tale censura è sorta la questione relativa alla legittimità costituzionale del d.l. 19/2020.
In particolare, le parti resistenti hanno fatto leva sul fatto che il d.l. n.19 del 2020, al quale non sarebbe aderente l’ordinanza del Presidente della Regione, sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41, 117, co. 3 e 120, comma 2, Costituzione.
Partendo dal presupposto che l’ordinamento costituzionale italiano non prevede lo “stato di emergenza”, la normativa in questione sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41 Cost. in quanto demanderebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di limitare le libertà garantite dalla Costituzione.
Sotto altro profilo, è stato dedotto che il d.l. n.19 del 2020 priverebbe le Regioni della potestà normativa concorrente in materia di salute, prevista dall’art. 117 Cost. e rappresenterebbe esercizio di potere sostitutivo da parte dello Stato non previsto dall’art. 120 Cost.
Il Tar ha escluso che le prescrizioni del d.l. n. 19 del 2020 violino la Costituzione e dunque ha affermato che non sia necessaria la rimessione alla Corte Costituzionale.
- I giudici calabresi sono giunti a questa conclusione prendendo le mosse dall’ 41 Cost., che, riconoscendo la libertà di iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. Dalla norma costituzionale non si rinviene alcuna riserva di legge in ordine alle prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute pubblica, dunque tali prescrizioni possono essere validamente imposte anche con un atto di natura amministrativa.
Dunque non può riscontrarsi alcun contrasto tra la citata norma costituzionale e una disposizione, come quella prevista all’art. 1 del d.l. n. 19 del 2020, che demandi al Presidente del Consiglio dei Ministri di disporre, con provvedimento amministrativo, una limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti, allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Covid-19.
Nel conflitto tra diritto alla libera iniziativa economica e diritto alla salute, nell’attuale situazione epidemica, aggravata dalla mancanza di certezze scientifiche riguardo il virus Covid-19, appare chiaro che in un’ottica di bilanciamento di interessi e tutela dei diritti fondamentali, il diritto alla salute sia da considerarsi preminente e dunque l’intervento del Governo atto a tutelarlo deve considerarsi del tutto legittimo.
- Oltretutto non può rinvenirsi contrasto tra il l. 19 del 2020 e l’art. 117 Cost. dato che lo Stato rinviene la competenza legislativa all’adozione del decreto de quo proprio nell’art. 117, comma 2, lett. q), Cost., che gli attribuisce competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale», oltre che nel comma 3 che gli attribuisce competenza concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione civile».
- Un ulteriore duplice profilo critico sollevato dalla Regione resistente, e puntualmente sconfessato dai giudici calabresi, riguarda il fatto che l’impianto normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020 comporterebbe:
a) un’inammissibile delega al Presidente del Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà costituzionali dei cittadini;
b) un’alterazione alla ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost.
Tale critica è risultata priva di fondamento sotto entrambi gli aspetti.
a) La delega che attribuisce al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di restringere determinate libertà costituzionali dei cittadini (es. diritto di libera iniziativa economica, diritto di libera circolazione) a seguito di individuazione delle misure necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria, appare del tutto giustificata dall’ 118, comma 1, Cost., in particolare dal principio di sussidiarietà il quale impone che, trattandosi di emergenza sanitaria a carattere internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia operata a livello amministrativo unitario.
b) Inoltre non vi è alcuna alterazione alla ripartizione dei compiti amministrativi tra Stato e Regioni in ragione del fatto che la piena legittimazione del Presidente del Consiglio dei Ministri fa discendere direttamente l’attrazione in capo allo Stato della competenza legislativa, seppure in materie concorrenti quali la tutela della salute e la protezione civile. A tal proposito la Corte Costituzionale[6] ha delineato il principio in virtù del quale l’avocazione della funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento dell’esercizio della funzione amministrativa[7] (cfr., sul punto, Corte cost. 22 luglio 2010, n. 278).
Nel caso di specie, come ben evidenziato dai giudici, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i decreti sentiti – anche – i Presidenti delle Regioni interessate, nel caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale.
- Un ultimo profilo che ha condotto i giudici del TAR Calabria a rigettare l’eccezione di illegittimità costituzionale avanzata dalla Regione è quello relativo alla censura per cui il d.l. 19 del 2020 rappresenterebbe esercizio del potere sostitutivo da parte dello Stato non previsto dall’art. 120 Cost.
Il potere sostitutivo del Governo[8] è disciplinato dall’art. 120 Cost., così come riformulato dalla L. Cost. n. 3/2001, il quale stabilisce al secondo comma che «il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».
La disciplina dell’esercizio di questo potere sostitutivo del Governo per le finalità indicate nella stessa disposizione, è recata dall’art. 8 L. 131/2003 (cd. legge La Loggia).
I giudici calabresi hanno però dimostrato, come sopra illustrato, che nel caso di specie non vi è stato alcun intervento sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni amministrative in ragione del principio di sussidiarietà, accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione legislativa, per cui non si rinviene alcuna violazione dell’art. 120, comma 2 Cost.
La natura giuridica del d.P.C.M.
La pronuncia in commento ha inoltre dato la possibilità al TAR Calabria di ribadire quale sia la natura giuridica del d.P.C.M., questione fondamentale per comprendere appieno il dibattito sul rapporto tra le fonti sorto nell’attuale periodo di emergenza sanitaria.
Le parti resistenti si sono riferite al d.P.C.M. del 26 aprile 2020 come ad un atto a carattere normativo, il TAR ha invece ribadito che si tratta inequivocabilmente di un atto amministrativo generale, il cui tratto caratterizzante, appare opportuno ribadirlo, è costituito dal fatto di rivolgersi ad una pluralità aprioristicamente non determinabile di destinatari. Non essendo un atto a carattere normativo non ha forza di legge e, come i decreti ministeriali, nell’ambito della gerarchia tra le fonti si inserisce quale fonte normativa secondaria e serve per date attuazione a norme o varare regolamenti. Il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è espressione di una potestà non legislativa, con la conseguenza che esso è pensato e creato all’interno dell’esecutivo (Governo), senza alcun intervento diretto del Parlamento, e per la sua natura di fonte secondaria rimane subordinato, oltre che ovviamente alla Costituzione e alle Leggi costituzionali, anche alla Legge ordinaria.
L’illegittimità dell’ordinanza impugnata
Il TAR Calabria, al termine di una sentenza dettagliatamente argomentata, ha accolto i tre motivi di ricorso proposti dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, disponendo l’annullamento dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria.
1) Il primo motivo relativo alla carenza di potere per incompetenza assoluta ha trovato pieno accoglimento in virtù del fatto che le tre condizioni previste dall’art. 3, comma 1 del d.l. 19 del 2020 affinché la Regione Calabria potesse esercitare un potere integrativo, rispetto a quanto disposto dal Governo, non sono state dimostrate.
2) Altrettanto meritevole di accoglimento è stato considerato il secondo motivo di ricorso relativo alla mancanza di un’adeguata istruttoria che giustificasse l’abbandono del principio di precauzione.
Le parti resistenti hanno tentato di affermare che l’ordinanza impugnata sarebbe supportata da un impianto motivazionale sufficiente, nel quale si dà atto che l’analisi dei dati prodotta dal Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie della Regione Calabria ha fatto rilevare, alla data del 27 aprile 2020, un valore del Rapporto di replicazione (Rt) con daily time lag a 5 giorni, pari a 0,63; in generale, valori inferiori ad 1 indicano che la diffusione dell’infezione procede verso la regressione.
Tale motivazione non è stata però ritenuta sufficiente dai giudici del TAR Calabria che hanno posto l’accento sul fatto che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni alla circolazione extraregionale).
3) In ultima battuta il TAR ha accolto anche il terzo motivo di ricorso in virtù del quale vi sarebbe stata violazione del principio di leale collaborazione, elemento sintomatico del vizio dell’eccesso di potere[9].
I giudici calabresi hanno affermato che l’ordinanza oggetto di impugnativa sembra che non sia stata preceduta da qualsivoglia forma di intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del Governo, e che anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione.
In conclusione, ben si può affermare che la pronuncia in esame oltre che costituire un precedente di non poca importanza è sicuramente un’ottima occasione per approfondire la questione della legittimità costituzionale del d.l. 19 del 2020 e dei diversi d.P.C.M. che stanno proliferando in questo inaspettato periodo di emergenza sanitaria. Questi argomenti sono ormai al centro di attualissimi dibattiti, si pensi ad esempio a quello relativo all’adeguatezza del d.P.C.M., che come ha ribadito la sentenza in commento non ha natura normativa e dunque non ha forza di legge, a limitare diritti costituzionalmente tutelati quali ad esempio la libertà personale e la libertà di circolazione.
[1] Per il testo completo della sentenza: https://www.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=tar_cz&nrg=202000457&nomeFile=202000841_20.html&subDir=Provvedimenti.
[2] Per il testo completo dell’ordinanza: https://www.regione.calabria.it/website/portalmedia/2020-04/Ordinanza-P.G.R.-n.-37_2020.pdf.
[3] Per il testo completo del d.l. 25 marzo 2020, n. 19: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/03/25/20G00035/sg.
[4] Per il testo completo del d.P.C.M. del 26 aprile 2020: http://www.governo.it/sites/new.governo.it/files/Dpcm_img_20200426.pdf.
[5] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655.
[6] Cfr. C. Cost. 1 ottobre 2003, n. 303 con cui è stata teorizzata per la prima volta la teoria della cd. chiamata in sussidiarietà.
[7] Cfr., sul punto, C. Cost. 22 luglio 2010, n. 278.
[8] Per un approfondimento v. F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, DIKE Editore, 2020, p. 676.
[9] Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre 2001, n. 9.
Cristina Piccolo nasce a Foggia il 20 giugno 1994.
Nel 2018 si laurea in Giurisprudenza presso l’Università Lumsa di Roma con una tesi in diritto costituzionale dal titolo “Tutela giurisdizionale alla libera manifestazione del pensiero ai sensi dell’articolo 21 della Costituzione” con la votazione di 110/110 e lode.
Da ottobre 2018 svolge il tirocinio formativo ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Terza Sezione del Consiglio di Stato. Da questa esperienza ha sviluppato l’interesse per il diritto amministrativo.
Ha inoltre svolto la pratica forense presso il Coordinamento Regionale INPS Lazio.