mercoledì, Ottobre 9, 2024
Criminal & Compliance

Corruzione tra privati: disciplina legislativa e novità introdotte dall’ultima riforma

La corruzione tra privati è stata sempre considerata dall’ordinamento italiano ricollegabile ai pubblici poteri per questo, anche il codice penale disciplina i reati di corruzione nel titolo dedicato ai reati contro la Pubblica Amministrazione. Le forme di corruzione che vengono attuate tra soggetti privati, sono state per la prima volta prese in considerazione dal legislatore nazionale in sede di riforma del diritto societario a seguito della rielaborazione degli articoli 2634 e 2635 del codice civile sulla spinta delle sollecitazioni internazionali. Un ruolo rilevante in proposito, ha svolto la legge del 6 novembre 2012 n 190 recante “ disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione” che ha introdotto nell’ordinamento il delitto di “corruzione tra privati”.

È stata proposta una rivisitazione globale degli strumenti di contrasto alla corruzione che sembra prefiggersi l’obiettivo di colmare le lacune che presenta l’ordinamento. L’intervento realizzato nel 2002 è stato giudicato troppo limitato rispetto agli obiettivi stabiliti dagli impegni internazionali, che ipotizzano una fattispecie nella quale il reato di corruzione viene posto in essere da parte di chiunque svolge funzioni direttive o lavorative per conto di una persona fisica o giuridica operante nel settore privato. (Corruzione tra privati: approfondimenti Orrick, Herrington & Sutcliffe, Newsletter 26 ottobre 2012)

Art. 2635“Corruzione tra privati” cc recita quanto segue:

 “1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra utilità, per sé o per altri, compiono od omettono atti, in violazione degli obblighi inerenti al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puniti con la reclusione da uno a tre anni.

2. Si applica la pena della reclusione fino a un anno e sei mesi se il fatto è commesso da chi è sottoposto alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti indicati al primo comma.

3. Chi dà o promette denaro o altra utilità alle persone indicate nel primo e nel secondo comma è punito con le pene ivi previste. 

4. Le pene stabilite nei commi precedenti sono raddoppiate se si tratta di società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell’Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e successive modificazioni. 5. Si procede a querela della persona offesa, salvo che dal fatto derivi una distorsione della concorrenza nella acquisizione di beni o servizi”.

La norma considera la corruzione tra privati come un reato plurisoggettivo a concorso necessario dove il soggetto corruttore può essere chiunque, mentre il corrotto deve rivestire la qualifica di amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore, dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari.

Il comma 2, inoltre estende l’incriminazione ai soggetti sottoposti alla  direzione o vigilanza di uno dei predetti soggetti. Dunque possono essere soggetti del reato tutti i dipendenti e collaboratori della società, direttamente o indirettamente sottoposti, in via legale o contrattuale, alla direzione o vigilanza delle persone richiamate nel comma 1 e in particolare, del direttore generale. Diversa è la risposta sanzionatoria in funzione della qualifica ricevuta: nel caso di soggetto sottoposto all’altrui i potere di direzione o vigilanza è prevista la pena della reclusione fino a diciotto mesi, anziché la reclusione da uno a tre anni per i soggetti individuati nel primo comma.

Il fatto tipico della corruzione tra privati è caratterizzato da una duplice condotta: da un lato la dazione o la promessa di denaro o altra utilità che un terzo rivolge al soggetto  intraneus; dall’altro il compimento o l’omissione di atti di violazione dei doveri d’ufficio o degli obblighi di fedeltà da parte del corrotto.

Tra la dazione e la promessa ed il compimento (o l’omissione dell’atto) deve sussistere un nesso casuale perché la seconda condotta deve essere posta in essere a seguito della prima. La promessa consiste nell’impegno di eseguire una prestazione futura avente carattere di utilità per il corrotto e rileva qualsiasi sia la forma con cui è espressa purchè presenti un certo carattere di attendibilità. La dazione invece consiste nella traslazione di un diritto o nell’effettuazione di una prestazione. Rispetto alla disciplina precedente la norma specifica che il compenso può essere accettato per sé o per altri, di qui la rilevanza penale anche dell’intermediazione.

La condotta attiva o omissiva del corrotto deve essere posta in essere in violazione degli obblighi inerenti all’ufficio, o a seguito della riforma del 2012, degli obblighi di fedeltà. Obblighi inerenti all’ufficio si considerano tutti gli obblighi che regolano l’esercizio delle funzioni costituenti il contenuto delle qualifiche considerate (amministratore, sindaco, direttore generale ecc.).

Risulta più complessa  l’individuazione della nozione di obblighi di fedeltà che sembra attribuire rilevanza non solo alla violazione degli specifici doveri ricavabili dalle norme giuridiche o contrattuali che disciplinano la posizione del soggetto attivo tipico, ma altresì a quella di un più generico dovere di fedeltà nell’esercizio dell’ufficio privato.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo della fattispecie, si richiede un dolo generico che consiste nella consapevolezza e volontà di porre in essere la condotta tipica unitamente alla volontà di cagionare un nocumento alla società. È necessario che l’intraneus ha la consapevolezza di ricevere l’utilità o di accettare la promessa in relazione al futuro compimento od omissione di un atto in violazione degli obblighi inerenti al suo ufficio o di fedeltà nonchè la volontà di arrecare nocumento alla società per il conduttore occorre verificare la consapevolezza di dare o promettere l’utilità in vista della commissione o dell’omissione dell’atto in violazione degli obblighi inerenti all’ufficio o gli obblighi di fedeltà del soggetto qualificato, nonché la volontà dell’evento lesivo.

Il delitto è punibile anche nella forma del dolo eventuale se il nocumento è stato accettato come rischio del compimento della condotta illecita: a differenza della fattispecie dell’infedeltà patrimoniale non è richiesto il dolo intenzionale in relazione all’evento lesivo.

Ma cosa si intende con l’espressione nocumento della società? Il nocumento deve ritenersi ravvisabile in ogni tipo di pregiudizio giuridicamente rilevante che viene patito da una società commerciale e deve essere sempre economicamente valutabile.

Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio della corruzione tra privati, la novella del 2012 ha innalzato il minimo edittale della reclusione prevista per la fattispecie di cui al primo comma ad un anno, mantenendo il massimo di tre anni stabiliti per l’infedeltà a seguito di dazione promessa di utilità. Per l’ipotesi prevista dal secondo comma il legislatore ha stabilito solamente il massimo edittale della pena (reclusione fino a un anno e sei mesi). Il quarto comma ripropone l’aggravante ad effetto speciale introdotta dalla legge sulla tutela del risparmio. Per effetto di tale disposizione, la sanzione è raddoppiata se il fatto corruttivo concerne una duplice categoria di società : quelle con azioni quotate e quelle che emettono strumenti finanziari  diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’articolo 116 tuf. È applicabile l’articolo 2640 cc che prevede una circostanza attenuante per l’ipotesi in cui il fatto abbia cagionato un’offesa di particolare tenuità. In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti e inoltre prevista la confisca del prodotto o del profitto del reato o dei beni utilizzati per commetterlo o la confisca per equivalente qualora non sia possibile l’individuazione o l’apprensione dei beni.

Vanno analizzate le  modifiche della disciplina della corruzione tra privati sulla base del nuovo decreto legislativo 15 marzo 2017 n 38.Con la nuova formulazione dell’art 2635 del cc si va ad ampliare il novero dei soggetti attivi includendo tra gli autori del reato, oltre a coloro che rivestono posizioni apicali di amministrazione o di controllo, anche coloro che svolgono attività lavorativa con l’esercizio di funzioni direttive presso società o enti privati. Con la modifica del testo dell’art. 2635 c.c. viene eliminato il riferimento alla necessità che la condotta «cagioni nocumento alla società», con conseguente trasformazione della fattispecie da reato di danno a reato di pericolo.

Quattro le novità di rilievo:

  1. la prima novità riguarda le modifiche al testo dell’art 2635 cc
  2. La seconda novità consiste nell’introduzione dell’art. 2635-bis
  3. La terza novità in merito l’art. 2635-ter del codice civile per la disciplina delle pene accessorie
  4. Il  quarto intervento prevede una modifica del testo del decreto n 231 del 2001, il quale disciplina  la responsabilità delle persone giuridiche

Il provvedimento è entrato in vigore il 14 aprile 2017.

 

 

 

 

 

 

 

Mariaelena D'Esposito

Mariaelena D'Esposito è nata a Vico Equense nel 1993 e vive in penisola sorrentina. Laureata in giurisprudenza alla Federico II di  Napoli, in penale dell’economia: “bancarotta semplice societaria.” Ha iniziato il tirocinio forense presso uno studio legale di Sorrento e spera di continuare in modo brillante la sua formazione. Collabora con ius in itinere, in particolare per l’area penalistica.

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