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Corte Cost., 11 gennaio 2021 n. 1: assistenza legale gratuita alle vittime di violenza sessuale

Con la pronuncia in commento, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Tivoli, con ordinanza del 13 dicembre 2019, iscritta la n. 48 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Il GIP del Tribunale di Tivoli, difatti, aveva sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., tale questione di legittimità costituzionale sottolineando come fossero già presenti dei limiti reddituali per l’ammissione al Patrocinio dello Stato per le persone offese dai reati ai sensi degli artt. 572, 583 bis, 609 bis, 609 quater, 609 octies e 612 bis c.p. e, se in danno di minori, ex artt. 600, 600 bis, 600 ter, 600 quinquies, 601, 602, 609 quinquies e 609 undecies c.p.

Si legge in sentenza che: “Il rimettente assume il contrasto della disposizione censurata con l’art. 3 della Costituzione in quanto istituisce un automatismo legislativo di ammissione al beneficio al solo verificarsi del presupposto di assumere la veste di persona offesa di uno dei reati indicati dalla medesima norma, con esclusione di qualsiasi spazio di apprezzamento e discrezionalità valutativa del giudice, disciplinando in modo identico situazioni del tutto eterogenee sotto il profilo economico; nonché con l’art. 24, terzo comma, Cost., in quanto l’ammissione indiscriminata e automatica al beneficio di qualsiasi persona offesa da uno dei reati indicati porta a includere anche soggetti di eccezionali capacità economiche, a discapito della necessaria salvaguardia dell’equilibrio dei conti pubblici e di contenimento della spesa in tema di giustizia”.

Sul punto, la Corte Costituzionale aveva già disposto che: “difetto di un vero e proprio diritto vivente, si deve tenere conto della circostanza che un’eventuale pronuncia di dissenso» da parte del rimettente lo espone ad una assai probabile riforma della propria decisione da parte del giudice di ultimo grado: «[i]n tale ipotesi, quindi, la via della proposizione della questione di legittimità costituzionale costituisce l’unica idonea ad impedire che continui a trovare applicazione una disposizione ritenuta costituzionalmente illegittima, in quanto se il giudice non si determinasse a sollevare la questione di legittimità costituzionale, l’alternativa sarebbe dunque solo adeguarsi ad una interpretazione che non si condivide o assumere una pronuncia in contrasto, probabilmente destinata ad essere riformata” (Corte Cost. n. 240 del 2016).

Nell’ambito delle pronunce della Corte Costituzionale, in tema di reati sessuali e nel riconoscere i diritti delle vittime di violenza “è stato dato grande spazio a provvedimenti e misure tesi a garantire una risposta più efficace verso i reati contro la libertà e l’autodeterminazione sessuale, considerati di crescente allarme sociale, anche alla luce della maggiore sensibilità culturale e giuridica in materia di violenza contro le donne e i minori. Di qui la volontà di approntare un sistema più efficace per sostenere le vittime, agevolandone il coinvolgimento nell’emersione e nell’accertamento delle condotte penalmente rilevanti. Ed infatti, nel preambolo del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella legge n. 38 del 2009, che ha introdotto la disposizione in esame, si richiama «la straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività, a fronte dell’allarmante crescita degli episodi collegati alla violenza sessuale, attraverso un sistema di norme finalizzate al contrasto di tali fenomeni e ad una più concreta tutela delle vittime dei suddetti reati». Non diverse sono le considerazioni sviluppate nel preambolo del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, nella legge n. 119 del 2013. È evidente, dunque, che la ratio della disciplina in esame è rinvenibile in una precisa scelta di indirizzo politico-criminale che ha l’obiettivo di offrire un concreto sostegno alla persona offesa, la cui vulnerabilità è accentuata dalla particolare natura dei reati di cui è vittima, e a incoraggiarla a denunciare e a partecipare attivamente al percorso di emersione della verità. Valutazione che appare del tutto ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della propria discrezionalità da parte del legislatore“.

Pertanto, dinanzi alla questione sollevata dal GIP di Tivoli, la Corte Costituzionale, in materia di patrocinio a spese dello Stato segnala che “secondo la giurisprudenza costituzionale, la presunzione legislativa è immune da censure di legittimità costituzionale e resiste al vaglio di ragionevolezza solo quando vi sia «solida rispondenza all’id quod plerumque accidit – (così tra le altre, sia pure relative a ipotesi decisamente distanti da quelle in esame, sentenza n. 191 del 2020); e che – “le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit” (sentenza n. 268 del 2016; in precedenza, sentenze n. 185 del 2015, n. 232, n. 213 e n. 57 del 2013, n. 291, n. 265, n. 139 del 2010, n. 41 del 1999 e n. 139 del 1982). In particolare, l’irragionevolezza di una presunzione assoluta si coglie tutte le volte in cui sia possibile formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa.» (sentenza n. 253 del 2019). E però, il rimettente non coglie nel segno richiamando questa giurisprudenza, posto che, per quanto sin qui esposto, il beneficio non è legato ad una presunzione di non abbienza delle persone offese dai reati indicati dalla norma censurata e ha tutt’altre giustificazioni. La verifica della regola dell’id quod plerumque accidit dovrebbe, piuttosto, concernere la vulnerabilità delle persone offese dai reati presi in considerazione dal censurato comma 4-ter, in ordine alla cui sussistenza convergono significativi dati di esperienza e innumerevoli studi vittimologici”.

Ed infine, in relazione all’art. 24 co.3 Cost., si evidenzia come il parametro evocato nell’ordinanza del GIP di Tivoli impone di assicurare ai non abbienti i mezzi per agire in giudizio e difendersi dinanzi ad un giudice; pertanto tale articolo non può essere interpretato come un limite per l’accesso alla giustizia e per la tutela dei diritti di ciascun cittadino.

Poste tali ragioni, in linea con il pensiero dei giudici della Corte Costituzionale che si pone come obiettivo principale quello di offrire un sostegno concreto alla persona offesa, a incoraggiarla a denunciare il suo aggressore e al fine di garantirle una partecipazione attiva al procedimento volta alla ricerca della verità, la questione di legittimità sollevata dal GIP di Tivoli viene dichiarata non fondata.

Scarica la sentenza qui: Corte Cost. n.1:2021- vittime violenza

Leggi anche: Baracco, L’abuso di autorità nel delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis co. 1 c.p.: la parola alle Sezioni Unite, Ius in itinere, disponibile al link https://www.iusinitinere.it/labuso-di-autorita-nel-delitto-di-violenza-sessuale-ex-art-609-bis-co-1-c-p-la-parola-alle-sezioni-unite-33874.

Maria Elena Orlandini

Avvocato, finalista della II edizione della 4cLegal Academy, responsabile dell'area Fashion Law e vice responsabile dell'area di Diritto Penale di Ius in itinere. Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993. Grazie all’esperienza di suo padre, fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto penale, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso l'Università degli Studi del Sannio. Si laurea con 110 e lode il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo "Mass Media e criminalità" seguita dai Proff. Carlo Longobardo e Prof. Felice Casucci, in cui approfondisce il modus attraverso il quale i social media e la tv siano in grado di mutare la percezione del crimine nella società. Nel 2019 ha conseguito con il massimo dei voti il Master di II livello in Giurista Internazionale d'Impresa presso l'Università degli Studi di Padova - sede di Treviso, specializzandosi in diritto penale dell'economia, con una tesi dal titolo "Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa", sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna. Nel giugno 2020 ha superato il corso di diritto penale dell'economia tenuto dal Prof. Adelmo Manna, professore ordinario presso l'Università degli Studi di Foggia, già componente della commissione che ha varato il d.lgs. 231/2001. All'età di 27 anni consegue l'abilitazione all'esercizio della professione forense presso la Corte d'Appello di Venezia. Dal 2019 segue plurimi progetti legati al Fashion Law e alla proprietà intellettuale, prediligendone gli aspetti digital in tema di Influencer Marketing. Nel 2020 viene selezionata tra i cinque giovani talenti del mercato legale e partecipa alla seconda edizione della 4cLegal Academy, legal talent organizzato dalla 4cLegal, visibile sul canale BFC di Forbes Italia, su Sky. Nel 2022 si iscrive al corso di aggiornamento professionale in Fashion Law organizzato dall'Università degli Studi di Firenze. Passione, curiosità, empatia, capacità di visione e self control costituiscono i suoi punti di forza. Collabora per le aree di Diritto Penale e Fashion Law & Influencer marketing di Ius in itinere. email: mariaelena.orlandini@iusinitinere.it

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