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Corte Costituzionale: illegittimo l’obbligo di esporre la bandiera veneta negli uffici statali

Con la storica sentenza 4 ottobre 2018, la Consulta ha statuito l’illegittimità dell’obbligo di esporre la bandiera veneta negli uffici statali, prendendo una chiara posizione sulla questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri relativamente alla L.R. Veneto n. 28 del 5/09/2017.

1. La questione

La legge regionale  recante “Nuove disposizioni in materia di uso dei simboli ufficiali della Regione del Veneto” prevedeva l’obbligo di esporre la bandiera regionale all’esterno degli edifici adibiti a sede di organi e uffici statali e di enti e organismi pubblici nazionali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi [1]. La normativa in questione veniva impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri per contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., che riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la “materia dell’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”.
E infatti i casi e i modi di esposizione della bandiera nazionale e di quella dell’UE sono disciplinati dalla legge statale 5 febbraio 1998, n. 22, che qualifica le disposizioni contenute al suo interno come “norme generali regolatrici della materia”, autorizzando il Governo a emanare, nel loro rispetto, un regolamento di delegificazione per i casi di cui alle lettere a), b), d) ed e) del comma 1 e di cui al comma 2 dell’art. 2 (ossia in rapporto all’esposizione delle bandiere presso le sedi degli organi costituzionali e di rilievo costituzionale, i ministeri, gli uffici giudiziari, le scuole e università, i seggi elettorali e le rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all’estero) [2].

Il primo periodo del medesimo comma 2 dell’art. 1 consente, invece, alle Regioni di emanare norme attuative limitatamente ai casi di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 2, ossia “con esclusivo riguardo all’esposizione della bandiera nazionale e dell’Unione europea presso gli edifici sedi dei consigli regionali, provinciali e comunali, in occasione delle riunioni degli stessi“.
Il successivo comma 3 dell’art. 2 stabilisce, altresì, che il regolamento e le norme regionali possono, nei limiti delle rispettive competenze dinanzi indicate, dettare una disciplina integrativa in merito alle modalità di uso ed esposizione della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea, nonché di gonfaloni, stemmi e vessilli, anche con riferimento ad organismi di diritto pubblico diversi da quelli compresi nel comma 1 dello stesso art. 2.

Alla luce di tutto ciò, il Presidente del Consiglio dei ministri ravvisava che l’attuale normativa prefigurasse un assetto di competenze pienamente rispettoso della sfera di autonomia regionale, dal momento che lo Stato si era riservato la regolamentazione dell’uso della bandiera della Repubblica italiana e di quella dell’Unione europea con riguardo agli edifici degli uffici pubblici statali e degli enti pubblici di carattere nazionale, senza mai pretendere di disciplinare casi, tempi e modi di esposizione dei simboli ufficiali delle Regioni relativamente alle sedi di organi e uffici regionali.
Al contrario, la Regione Veneto, in violazione della sfera di competenza legislativa garantita allo Stato, pretendeva di conformare l’organizzazione amministrativa di questo e degli enti pubblici nazionali, stabilendo dove, come e quando i titolari e i preposti ad organi e uffici dello Stato e di organismi di rilievo nazionale sono obbligati ad esporre la bandiera veneta sugli immobili e sulle imbarcazioni di proprietà di questi ultimi.

2. Il ragionamento della Consulta: il quadro normativo

Le argomentazioni della Consulta prendono le mosse da una ricognizione del quadro normativo di riferimento.
In particolare, l’art. 12 Cost. disciplina la bandiera della Repubblica: l’inserimento nella Costituzione di una disposizione sulla bandiera nazionale fu ritenuto pacificamente opportuno in sede di Assemblea costituente, dal momento che questo rispondeva all’esigenza, «che vi è in tutte le Costituzioni, di precisare, anche per ragioni internazionali, i caratteri del vessillo della propria Nazione». La bandiera rappresenta, in effetti, sin da epoche remote, un segno distintivo della personalità dello Stato sul piano internazionale. Nell’età moderna, essa ha peraltro assunto anche un altro e più profondo significato: quello, cioè, di strumento di identificazione della Nazione nel suo Stato.

La legge 22/1998 – che si autodichiara «adottata in attuazione dell’articolo 12 della Costituzione e in conseguenza dell’appartenenza dell’Italia all’Unione europea» [3] – prevede l’esposizione permanente delle due bandiere all’esterno di una serie di edifici pubblici, a cominciare da quelli ove hanno la sede centrale gli organi costituzionali e di rilievo costituzionale [4]. Tale legge, qualificando le proprie disposizioni come «norme generali regolatrici della materia», affida peraltro ad un regolamento governativo in delegificazione e alla normazione regionale il compito di emanare disposizioni attuative e integrative. Il discrimen tra l’area di intervento dell’uno e dell’altra è segnato dalla tipologia dell’edificio: è infatti previsto che le Regioni possano emanare norme di attuazione solo in rapporto ai casi di cui all’art. 2, comma 1, lettera c), della stessa legge n. 22 del 1998, ossia esclusivamente per ciò che concerne l’esposizione delle bandiere, nazionale ed europea, presso le sedi dei consigli regionali, provinciali e comunali (in occasione delle loro riunioni). In tutti gli altri casi indicati dal citato art. 2, è deputato a provvedere il regolamento. Nei medesimi limiti di competenza ora indicati, regolamento e norme regionali vengono abilitati, altresì, a dettare una disciplina integrativa riguardo alle modalità di uso ed esposizione delle predette due bandiere, nonché di «gonfaloni, stemmi e vessilli», anche con riferimento a ulteriori organismi di diritto pubblico (art. 2, comma 3).

Il regolamento governativo, emanato con d.P.R. n. 121 del 2000, amplia il novero degli edifici all’esterno dei quali debbono essere esposte la bandiera della Repubblica italiana e quella dell’Unione europea, includendovi, tra gli altri, quelli adibiti a sede centrale o a ufficio periferico, con circoscrizione non inferiore alla provincia, delle autorità indipendenti e degli enti pubblici di carattere nazionale [6]; prevede, altresì, una serie di casi nei quali le bandiere debbono essere esposte anche all’interno degli uffici pubblici [7]; regola, poi, le modalità e i tempi di esposizione [8].

Uno degli aspetti maggiormente innovativi della legge del 1998 e del regolamento del 2000 è consistito, dunque, nella presa d’atto del carattere decentrato della Repubblica e del fatto che la bandiera nazionale si trovi conseguentemente a dover convivere con i simboli delle autonomie territoriali. Tale presa d’atto si è manifestata sotto due aspetti: da un lato, si è consentito alle Regioni e agli enti locali di disciplinare l’esposizione delle bandiere, compresa quella nazionale, all’esterno e all’interno delle proprie sedi; dall’altro, si è riconosciuta l’esistenza di «vessilli» e «gonfaloni» di tali enti, la cui disciplina resta affidata all’autonomia normativa e regolamentare dei medesimi.

3. La decisione

La Corte Costituzionale ha anzitutto rilevato che la disposizione impugnata invade la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali» (art. 117, secondo comma, lettera g, Cost.). Tale preclusione opera anche con riguardo alla previsione di «forme di collaborazione e di coordinamento», le quali, ove coinvolgano compiti e attribuzioni di organi dello Stato, «non possono essere disciplinate unilateralmente e autoritativamente dalle Regioni, nemmeno nell’esercizio della loro potestà legislativa», dovendo trovare il loro fondamento o il loro presupposto in leggi statali che le prevedano o le consentano, o in accordi tra gli enti interessati [9].

Inoltre, come già affermato dalla Corte in passato [10], non spetta alla Regione il potere di disciplinare l’ordine delle precedenze tra le cariche pubbliche, coinvolgendo in tale ordine anche organi statali, trattandosi di intervento che – se pure limitato alle sole cerimonie locali – incide, comunque sia, sulla materia «ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali», attribuita dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost. alla competenza esclusiva dello Stato per assicurarne l’esercizio unitario. Va da sé, per altro verso, che, alla luce dell’univoco tenore della norma costituzionale evocata, i principi ora ricordati sono destinati a valere allo stesso modo anche in rapporto agli organi degli «enti pubblici nazionali».

Nel caso in esame, la disposizione regionale impugnata pone a carico di organi e amministrazioni dello Stato (a cominciare dai prefetti), nonché di organismi ed enti pubblici nazionali, uno specifico obbligo di facere (e cioè l’esposizione della bandiera veneta all’esterno degli edifici in cui gli uffici in questione hanno sede, o sulle imbarcazioni di proprietà degli organismi). Il carattere meramente materiale dell’attività, in sé e per sé considerata, non esclude che si tratti di obbligo riconducibile alla sfera dell’«organizzazione amministrativa», posto che l’esposizione pubblica di un simbolo ufficiale è destinata ad assumere una valenza connotativa delle funzioni che gli uffici ed enti considerati sono chiamati ad esercitare (e degli stessi uffici ed enti).

Né può farsi leva, in senso contrario – come ipotizza la Regione – sul ricordato riconoscimento, da parte della Corte Costituzionale, già prima della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, della competenza delle Regioni a legiferare in materia di adozione e definizione dei simboli regionali, sulla base del generale principio di autonomia espresso dall’art. 5 Cost.[11]. Nel frangente non è infatti in discussione – per valersi delle parole della sentenza ora citata – il potere della Regione «di scegliere i segni più idonei a distinguere l’identità stessa della collettività che essa rappresenta», ma la pretesa della Regione di imporre l’uso di tali segni ad organi ed enti che, se pure operanti nel territorio regionale, sono espressivi di una collettività distinta e più vasta (quella dell’intera nazione).

Questa stessa considerazione rende non rilevante la circostanza che la norma impugnata intervenga in un ambito distinto da quello regolato dalla legge n. 22 del 1998, la quale si occupa della sola esposizione della bandiera nazionale e di quella della Unione europea, affidando ad ulteriori norme di attuazione, statali e regionali, il compito di introdurre una disciplina più circostanziata, nonché previsioni di carattere integrativo. Da ciò non è lecito, comunque sia, inferire che il legislatore regionale sia abilitato a vincolare all’impiego del vessillo veneto anche organi dello Stato e di enti pubblici nazionali.

Fondata è, peraltro, anche la censura di violazione dell’art. 5 Cost., nella parte in cui enuncia il principio di unità e indivisibilità della Repubblica. Per questo verso, il citato art. 5 Cost. deve essere letto alla luce della specifica disposizione costituzionale – collocata anch’essa tra i «principi fondamentali» – relativa alla bandiera: ossia l’art. 12, pur non evocato come parametro dal ricorrente, che individua nel «tricolore italiano» la bandiera della Repubblica, erigendola a simbolo dell’unità nazionale. Traguardato alla luce dell’art. 12, l’art. 5 Cost. esclude che lo Stato-soggetto possa essere costretto dal legislatore regionale a fare uso pubblico di simboli – quali, nella specie, le bandiere regionali – che la Costituzione non consente di considerare come riferibili all’intera collettività nazionale.

La Corte ritiene non condivisibile, al riguardo, la tesi della difesa della Regione, secondo la quale la disposizione censurata, lungi dal violare l’art. 5 Cost., lo attuerebbe, nella parte in cui, pur qualificando la Repubblica come «una e indivisibile», le affida però il compito di promuovere le autonomie locali, affermando così il principio del pluralismo. L’esposizione della bandiera veneta, in aggiunta alla (e non già in sostituzione della) bandiera nazionale, mirerebbe – secondo la resistente – segnatamente ad esaltare il raccordo tra gli uffici statali e la realtà territoriale in cui operano, realizzando una istanza di sintesi della pluralità in unità non dissimile, nella sostanza, da quella che giustifica l’accostamento – voluto dallo stesso legislatore statale – della bandiera nazionale alla bandiera dell’Unione europea nelle sedi dei massimi organi dello Stato.

La Consulta osserva che l’unità e l’indivisibilità della Repubblica, costituzionalmente imposte come tratti che qualificano lo Stato-soggetto espressivo della comunità nazionale, comportano che le Regioni non possano avanzare la pretesa di affiancare imperativamente alla bandiera della Repubblica, configurata dalla Costituzione quale elemento simbolico “tipizzante”, i vessilli delle autonomie locali in tutte le ipotesi in cui il simbolo stesso sia chiamato a palesare il carattere “nazionale” dell’attività svolta da determinati organismi, enti o uffici.

Né è probante, in contrario, il richiamo della Regione alla esposizione congiunta delle bandiere italiana e dell’Unione europea, prevista dalla stessa legislazione statale. A prescindere dalla chiara eterogeneità dei rapporti tra Unione europea e Stati membri rispetto ai rapporti tra Repubblica italiana e Regioni, vale osservare che con la legge n. 22 del 1998 lo Stato ha disposto la contemporanea esposizione delle due bandiere, italiana ed europea, all’esterno degli uffici pubblici italiani, allo stesso modo in cui le Regioni ben possono prevedere l’esposizione congiunta delle bandiere regionale e italiana – nonché europea – nei loro uffici e negli uffici degli enti locali. Lo Stato italiano non ha preteso, per contro, di imporre l’esposizione della bandiera nazionale ad organi e uffici rappresentativi della comunità sovranazionale di cui l’Italia è parte, come invece ha inteso fare, mutatis mutandis, la Regione Veneto con la norma impugnata, nei rapporti con lo Stato.

Pertanto, alla luce delle considerazioni svolte dalla Consulta, l’art. 3, comma 1, della legge reg. Veneto n. 28 del 2017, va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, aggiungendo alla legge reg. Veneto n. 56 del 1975 l’art. 7-bis, comma 2, lettere a), d), f) ed n), prevede l’obbligo di esporre la bandiera regionale all’esterno di edifici adibiti a sede di organi e uffici statali e di enti e organismi pubblici nazionali, nonché su imbarcazioni di proprietà di questi ultimi.

[1] Artt. 3, comma 1, e 8, comma 1, della L.R. Veneto 5 settembre 2017, n. 28.

[2] Art. 1, comma 2, legge 5 febbraio 1998, n. 22.

[3] Art. 1, comma 1, legge 5 febbraio 1998, n. 22.

[4] Art. 2, commi 1 e 2, legge 5 febbraio 1998, n. 22.

[5] Art. 1, comma 2, legge 5 febbraio 1998, n. 22.

[6] Art. 1, comma 1, d.P.R. n. 121/2000.

[7] Art. 6 d.P.R. n. 121/2000.

[8] Artt. 2-5 e 7-11, d.P.R. n. 121/2000.

[9] cfr. Corte Cost. sent. n. 9/2016, n. 104/2010, n. 10/2008, n. 322/2006 e n. 30/2006; analogamente, sent. n. 213/2006.

[10] Corte Cost. sent. n. 311/2008.

[11] Corte Cost. sent. n. 365/1990.

Andrea Amiranda

Andrea Amiranda è un Avvocato d'impresa specializzato in Risk & Compliance, con esperienza maturata in società strategiche ai sensi della normativa Golden Power. Dal 2020 è Responsabile dell'area Compliance di Ius in itinere. Contatti: andrea.amiranda@iusinitinere.it

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