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Corte di Cassazione n. 2126/2021: quando è lecita la trasformazione del tetto condominiale in terrazzo?

A cura dell’Avv. Tommaso Gioia

Con la sentenza n. 2126/2021 la Corte di Cassazione ha ritenuto lecita la trasformazione del tetto in terrazza ad uso esclusivo da parte del condomino del piano sottostante. In particolare, gli ermellini hanno ribadito il concetto secondo cui il tetto comune all’edificio può essere trasformato in terrazza ad uso esclusivo di uno dei condomini. Tuttavia, come vedremo in seguito, questo genere di modifica è assoggettata ad alcuni limiti e alla sussistenza di alcune restrizioni.In questo caso, gli articoli al centro della trattazione sono quelli indicati dal titolo VII del libro terzo del codice civile, che disciplina le ipotesi di comunione nella circostanza della proprietà. Particolare attenzione è stata prestata sull’interpretazione dell’art. 1128 c.c. e sull’obbligatorietà dell’assemblea in caso di ricostruzione della parte comune perita.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dalla condotta di una coppia di condomini che, in qualità di proprietaria dell’ultimo piano dell’edificio, aveva trasformato il tetto condominiale in terrazze e mansarde da annettere alla proprietà della loro abitazione, trasformando di riflesso il prospetto dell’intero condominio.

I condomini, contrari alla modifica, esperivano vocatio in ius verso la coppia che aveva intrapreso queste opere di modifica senza preventiva delibera assembleare.

Il giudice di prime cure, condannava questi ultimi a ricostruire per intero le falde del tetto anche in corrispondenza dei tre terrazzi realizzati e, condannava altresì, alla sostituzione delle tegole utilizzate. Con la stessa pronuncia rigettava la domanda riconvenzionale proposta dalla coppia che prevedeva il rimborso delle spese sostenute per il consolidamento e la ricopertura del tetto.

La coppia proponeva appello avverso la predetta sentenza dinanzi alla competente Corte di Appello. Anche in questa fase di giudizio, le istanze della coppia venivano rigettate e, pertanto, portate all’attenzione dinanzi alla Corte di Cassazione.

Motivi del ricorso

Il ricorso in Cassazione è stato articolato sulla base di cinque motivi che si riassumono nella misura che segue:

  1. Violazione dell’articolo 1102 c.c. poiché le opere di modifica sono intervenute successivamente al totale deterioramento del tetto. Sul punto i ricorrenti hanno altresì precisato che dopo aver proceduto a loro cura e spese alla parziale ricostruzione del tetto precedentemente crollato, non potevano intendersi obbligati a ricostruirlo per l’intero;
  2. Violazione sulla pronuncia di merito nei gradi precedenti, poiché i condomini avevano chiesto il ripristino dello stato preesistente mentre, in realtà, la sentenza impugnata prevedeva il rifacimento del tetto anche in corrispondenza dei tre terrazzini e la ricostruzione per intero delle falde del tetto;
  3. Nullità della sentenza impugnata per contrasto tra dispositivo e motivazione, sostenendosi nuovamente che la motivazione della decisione non poteva giustificare la condanna dei ricorrenti principali a completare le opere di ricostruzione;
  4. Nullità della sentenza nella parte in cui si asserisce che l’obbligo di ricostruire il tetto per intero deriverebbe dalla mancata e preventiva autorizzazione assembleare;
  5. Nullità della sentenza  nella parte in cui si asserisce che la parziale ricostruzione del tetto aveva consentito ai ricorrenti di appropriarsi di beni condominiali.

La decisione della Corte di Cassazione

Gli ermellini, a seguito di un elaborato ragionamento logico-giuridico, hanno accolto i primi tre motivi del ricorso, ritenuto assorbito il quarto e rigettato, infine il quinto motivo.

Le ragioni che hanno indotto la Suprema Corte a ribaltare le decisioni intervenute nei precedenti gradi di giudizio vengono fondate sul presupposto secondo cui: “Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali”.

Nella prosecuzione dell’iter logico-giuridico che ha condotto a tale decisione è stato preso in esame il II° comma dell’art. 1128 c.c. il quale dispone che, nel caso di perimento di una parte minore dell’edificio, l’assemblea dei condomini dovrà deliberare la ricostruzione delle parti comuni dell’edificio e i condomini dovranno partecipare alle spese in ragione della loro quota condominiale. Ma su questa stessa disposizione i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che la mancanza della delibera assembleare non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l’esistenza ed il godimento di esse.

Ad ogni modo, la Corte ha successivamente precisato che generalmente il condomino può senz’altro rivendicare il ripristino allo stato precedente circa gli interventi eseguiti arbitrariamente da altri condomini; ma, per il caso de quo, tale eccezione non può essere accolta poiché i lavori eseguiti sulla cosa comune non ritrovavano altri condomini con una proprietà annessa, e che quindi avrebbero potuto avere concreto interesse ad una decisione di carattere assembleare e, in mancanza, a un ripristino dei luoghi.

Conclusione

In realtà, tale principio generale era stato già introdotto dalla Suprema Corte con la sentenza n. 1410/2012 emessa dalla II sezione civile. Tuttavia, nell’interpretazione degli articoli di legge coinvolti nella pronuncia in esame è necessario effettuare una valutazione “volta per volta” in ragione del caso concreto sottoposto a giudizio.

Come si è potuto notare i giudici della Cassazione, benchè abbiano accolto il ricorso della coppia, ci hanno tenuto a precisare subito dopo che il caso concreto acconsentiva ad una visione più ampia e meno restrittiva del disposto di cui all’art. 1128 c.c., lasciando dedurre che, in altra circostanza concreta, il ricorso non avrebbe potuto trovare accoglimento.

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