venerdì, Marzo 29, 2024
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Costruzione realizzata su un suolo in comunione: quale disciplina?

L’art 934 c.c. disciplina il principio dell’accessione, quale modo di acquisto della proprietà a titolo originario,  per cui “qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo”, salvo quanto disposto dagli articoli seguenti e sempre che non risulti diversamente dalla legge o dal titolo. Dunque, proprio in virtù del principio dell’incorporazione il diritto di proprietà sulla cosa principale esercita una vis attractiva sulla proprietà della cosa accessoria e, difatti, la proprietà si acquista ipso iure, per il solo fatto dell’accessione.

Tanto premesso, il codice civile detta una disciplina particolare per una serie di casi, agli artt. 935-937 c.c., tuttavia, nessuna specificazione è fatta nell’art. 934 c.c. in merito alla titolarità del suolo o dei materiali, da qui la questio iuriscirca l’ipotesi in cui, su un fondo in contitolarità, uno solo sia il costruttore dell’immobile[1].

In altre parole, la questione investe la latitudine più o meno ampia del principio enucleabile dall’art. 934 c.c. Sul punto, a lungo, si sono confrontati due opposti orientamenti. Giurisprudenza tradizionale[2]ritiene che il principio dell’accessione opera anche nel caso di proprietà comune del suolo: la costruzione su un suolo in comune, pur se realizzata da uno solo dei comunisti, diventerebbe anch’essa comune, man mano che viene edificata, salvo contrario accordo scritto.

Ecco, quindi, che la proprietà della nuova costruzione diventerebbe, ex art. 934 c.c., di tutti i comproprietari del suolo su cui la stessa insiste, secondo le quote spettanti a ciascuno di essi, salvo il diritto del costruttore al rimborso pro quota elle spese sostenute.

Orientamento più recente, all’opposto, ritiene che l’istituto dell’accessione si riferirebbe solo alle costruzioni realizzare su fondo altrui, presupponendo che il costruttore sia terzo rispetto al titolare del suolo. Diversamente, nel caso in cui uno dei comunisti sia egli stesso costruttore del fabbricato, la fattispecie della costruzione eseguita da uno solo dei comproprietari sul suolo in comune non potrebbe essere regolata dalle norme sull’accessione, ma sarebbe, invece, regolata dalle norme sulla comunione, derogatorie del principio di cui all’art. 934 c.c. Si badi, peraltro, che per tale orientamento Giurisprudenziale la nuova costruzione sarebbe di proprietà comune a tutti i comunisti, se realizzata in conformità alle regole della comunione; di proprietà del solo costruttore, viceversa, allorquando il fabbricato risulti essere “illegittimo”, in quanto eretto al suolo in difformità e violazione delle regole della comunione[3].

Sul punto, recentemente, si sono espresse le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione[4]che hanno ritenuto non condivisibile l’orientamento per cui le norme dettate in tema di comunione, agli artt. 1100 ss. c.c., derogano alle norme in punto di accessione. In primis, il Collegio nega in radice la correttezza del presupposto di partenza per cui elemento indefettibile ai fini dell’operatività dell’accessione sarebbe la qualità di terzo del costruttore rispetto al suolo. Difatti, la norma generale che regola l’accessione, l’art. 934 c.c., non fa alcun riferimento espresso alla persona del costruttore, dettando piuttosto una regola generale che disegna una nozione ampia di accessione. In tal senso, peraltro, il Legislatore disciplina in modo espresso i casi in cui la costruzione insiste su suolo altrui, agli artt. 936 e 937 c.c., che, evidentemente, dettano una disciplina specifica, altra, pur se collegata, a quella dell’art. 934 c.c.

A ciò si aggiunga, che lo stesso art. 935 c.c. disciplina l’istituto dell’accessione per il caso in cui l’opera sia edificata sul suolo di proprietà ma con materiali altrui, evidentemente muovendo dal presupposto che l’accessione non presupponga affatto l’alterità soggettiva tra proprietario del suolo e costruttore. Sul punto, poi, il Supremo Consesso di giustizia civile richiama pure l’orientamento giurisprudenziale che, in tema di comunione legale tra coniugi, afferma che la costruzione realizzata da entrambi i coniugi sul suolo di proprietà esclusiva di uno  di essi, appartiene al solo proprietario del suolo, proprio in forza del principio dell’accessione, e, pertanto, non entra a far parte della comunione legale[5]. Si conclude, così, che l’art. 934 c.c. detta la regola generale dell’accessione, che costituisce norma immediatamente applicabile e destinata a regolare tutte le fattispecie in cui l’incorporazione di piantagioni, costruzioni od opere al suolo non trovi disciplina in diverse disposizioni di legge o in diverse pattuizioni espresse. Inoltre, “nel caso di costruzione del singolo comunista sul suolo comune, l’accessione non perde la propria ragion d’essere giuridica: basti considerare che, proprio grazie all’accessione, l’alienazione del suolo comporta l’automatica alienazione di quanto sullo stesso incorporato, senza necessità di un separato atto di alienazione dei materiali ad esso stabilmente uniti e senza che, in mancanza di tale atto, l’acquirente corra il  rischio di vedersi disturbato nel godimento del fondo da alcuno dei suoi danti causa[6].

Tanto premesso, le Sezioni Unite proseguono nell’analisi del regime giuridico che disciplina i rapporti tra comproprietari e costruttori. In particolare, escluso che la disciplina possa individuarsi nell’art. 936 c.c. che regola, piuttosto, la costruzione fatta su suolo altrui, i Giudici di Piazza Cavour ritengono che possano applicarsi le norme sulla comunione. Pertanto ai sensi degli artt. 1108, 1120 e 1121 c.c., la costruzione, sub specieinnovazione, deve essere deliberata nei termini ivi previsti, con il limite del godimento della cosa comune da parte dei partecipanti. Si badi, peraltro, che il proprietario leso o la maggioranza dei comunisti possono, altresì, esercitare il c.d. Jus tollendi e richiedere la demolizione dll’opera ex art. 2933 c.c., ma il suo potere dovrà comunque bilanciarsi con i principi di tolleranza, affidamento e buona fede, comunque sottesi dall’art. 936, co. 4, c.c. Difatti, ancorchè l’art. 936 non risulti immediatamente applicabile al caso de quo, in ogni caso, è espressione di principi generali, immanenti nel nostro ordinamento che, per ciò solo, non potranno essere obliterati dal giudice.

Bisognerà, quindi, necessariamente distinguere il caso in cui il comproprietario ha agito contro l’esplicito divieto del proprietario o a sua insaputa, ed in questo caso può riconoscersi senza dubbio lo Jus tollendi al proprietario del suolo, non costruttore dell’immobile; dal caso in cui il comproprietario costruttore ha agito con la consapevolezza e senza l’opposizione del proprietario, in questo caso è da escludere che il comproprietario non costruttore, seppur pretermesso, possa pretendere la demolizione dell’immobile, proprio al fine di tutelare l’affidamento e la buona fede del costruttore. Tanto premesso, in ogni caso, se i comproprietari del suolo non esercitano lo jus tollendi, gli stessi diverranno proprietari dell’immobile, proprio in forza dell’accessione e, così, saranno tenuti a rimborsare il comproprietario costruttore delle spese sopportate per la costruzione dell’opus, in maniera proporzionale alle rispettive quote.

[1]Si badi, peraltro, che la questione si pone specularmente anche in materia di comunione legale tra coniugi, laddove, però, si è discusso specificatamente del caso in cui il titolare del suolo fosse solo uno dei coniugi, di qui il problema di coerenziare le norme dettate in tema di accessione con quelle dettate in punto di comunione ordinaria.

[2]Cfr., Cass., 11 novembre 1997, n. 11120.

[3]Cfr., Cass. 27 marzo 2007, n. 7523; Cass. 22 marzo 2001, n. 4120.

[4]Cass., S.U., 16 febbraio 2018, n. 3873.

[5]V., Cass., S. U., 27 gennaio 1996, n 651.

[6]Così, Cass., S.U., 16 febbraio 2018, n. 3873.

Elena Ficociello

Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l'istituto "P. Giannone" si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l'opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all'incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema "La responsabilità civile dei magistrati". Nell'estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time "Corso Robert Shuman" sulla tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre. Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi. È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse. Contatti: elena.ficociello@iusinitinere.it

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