giovedì, Marzo 28, 2024
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Covid-19: tra propaganda e disinformazione

Quelli della disinformazione e della propaganda, sono temi che, particolarmente negli ultimi anni, hanno suscitato e attratto sempre maggiore interesse sia da parte dell’opinione pubblica che delle istituzioni.

Le elezioni presidenziali statunitensi del 2016, così come il referendum sulla c.d. Brexit dello stesso anno, sono riusciti a dimostrare in modo emblematico e significativo come, disinformazione e propaganda siano fenomeni tanto subdoli quanto preoccupanti, in grado di erodere e far mutare le normali dinamiche di un’elezione democratica.

In suo interessante quanto toccante intervento su Ted Talks del 2019 [1], Carole Cadwalladr, giornalista britannica del Guardian, si domanda se, all’indomani dello scandalo Cambridge Analityca sarà mai più possibile parlare di elezioni realmente “libere”.

La domanda non è banale, ed anzi, considerata l’importanza e l’incidenza che i social network e il vasto mondo di internet in generale hanno nelle nostre esistenze, è lecito, ad opinione di chi scrive, domandarsi fino a che punto i nostri stessi pensieri, le nostre idee ed opinioni e dunque, i nostri comportamenti, siano “liberi” e non frutto, in buona parte, di quanto quotidianamente scorre nei nostri feed.

Disinformazione e Propaganda: cosa sono?

Secondo la definizione che ci viene fornita dal Treccani, per disinformazione è da intendersi “La diffusione intenzionale di notizie o informazioni inesatte o distorte allo scopo di influenzare le azioni e le scelte di qualcuno” laddove per propaganda si intende “[…] il tentativo deliberato e sistematico di plasmare percezioni, manipolare cognizioni e dirigere il comportamento al fine di ottenere una risposta che favorisca gli intenti di chi lo mette in atto”.

Disinformazione e propaganda hanno dunque come obiettivo quello di manipolare la percezione che un determinato gruppo di individui target, ha della realtà e conseguentemente di manipolarne e guidarne i comportamenti al fine di conseguire e raggiungere lo scopo che l’attore, sia esso uno Stato, un Governo o anche semplicemente un’azienda, si propone di raggiungere.

Dal passato fino ai nostri giorni

Beninteso, disinformazione e propaganda non sono fenomeni nati nell’epoca dei social network, e le c.d. “fake news” sono sempre esistite. Si può dire anzi che le stesse hanno di fatto permeato tutta la storia del ‘900, specie durante i periodi di guerra.

In un interessante lavoro pubblicato nel 2016 [2] alcuni studiosi hanno cercato di ripercorrere brevemente l’evoluzione delle c.d. Psychological Operation nel corso della storia.

Se nel corso del Primo Conflitto mondiale gli strumenti utilizzati per condurre operazioni di propaganda e disinformazione erano principalmente i giornali e i pamphlet, nel corso della Seconda guerra mondiale venne fatto un ampio uso della radio. Emblematico il caso di una trasmissione della BBC, nella quale venivano elargite lezioni di inglese per tedeschi, all’interno delle quali tuttavia venivano subdolamente inseriti messaggi estremamente crudi e violenti, al fine di abbattere il morale e creare insicurezza a livello psicologico, nei soldati che combattevano per la potenza avversaria.

Oggi come oggi, è evidente, non esiste luogo migliore del cyberspace per riuscire ad influenzare le opinioni e dunque i comportamenti delle persone.

In primo luogo l’elevato numero di utenti costantemente connessi sui social network fa si che il messaggio possa essere diffuso ad una velocità prima d’ora inimmaginabile; in secondo luogo l’anonimato rende pressoché impossibile l’individuazione del/dei responsabile/i delle campagne di disinformazione e propaganda; in terzo luogo, la possibilità di profilare e clusterizzare gli individui, fa sì che quei determinati messaggi, vengano veicolati solo a soggetti che con ogni probabilità “abboccheranno” all’esca, diffondendo a loro volta quei contenuti con la propria “bolla” di contatti; infine, ma non meno importante, la possibilità di creare in modo agevole e semplice fitte reti di account falsi (bots) rende ancora più impattante e massiva la condivisione di contenuti e messaggi fuorvianti.

Ma quali possono essere gli effetti?

Oltre ai noti casi della Brexit e delle elezioni americane del 2016, vi è un ulteriore caso lampante ma meno conosciuto di come le campagne di propaganda e disinformazione online possano avere effetti, anche devastanti, nella “vita reale”.

Stiamo parlando del genocidio del Myanmar a danno della minoranza musulmana dei Rohingya avvenuto nel 2017. Secondo una ricerca condotta dalla ONG Business for Social Responsability (BSR) [3], Facebook contribuì a creare un clima favorevole per la persecuzione dei Rohingya e per una sistematica violazione dei loro diritti umani. Sul social network, e su Facebook in particolare vi è stata infatti per anni una proliferazione di account creati ad hoc proprio al fine di diffondere notizie false e diffamatorie sulla minoranza musulmana e dunque far si che le violenze perpetrate a danno della stessa venissero in qualche misura “giustificate” e “tollerate”.

La stessa Facebook ha ammesso di aver avuto un ruolo nelle campagne d’odio a danno dei Rohingya e ha successivamente avviato un’operazione di cancellazione dei profili e degli account che più di tutti istigavano alla violenza e a quello che è stato da taluni definito come un vero e proprio genocidio.

Propaganda e disinformazione ai tempi del Covid-19

Il 2020, oramai giunto a termine, è stato ahinoi, l’anno della pandemia dovuta al diffondersi del virus SARS-CoV-2, un anno caratterizzato dall’incertezza, dalla paura, dal distacco, dai lockdown, dalla lontananza dagli affetti più cari, dalle morti.

Ma è stato anche l’anno della c.d. infodemia e della disinformazione. Per infodemia si intende, banalmente, la quantità eccessiva di informazioni su un determinato tema.

Mai come prima, durante questi problematici 12 mesi, ci siamo affidati al web per cercare chiarimenti, notizie, per capire cosa fare e come fare per evitare di contrarre il virus.

Mai come prima, tuttavia, ci siamo ritrovati ad essere confusi, deboli, inermi di fronte alla notevole quantità di informazioni discordanti e poco comprensibili che ci sono apparse e appaiono tuttora nel selvaggio web.

Un’occasione, quella creatasi a causa del diffondersi del coronavirus, fin troppo ghiotta per gli attori interessati che, come prevedibile, non hanno perso occasione per condurre campagne di propaganda e disinformazione.

Russia e Cina in particolare, anche secondo quanto testimonia il report condotto da EUvsDisinfo [4] hanno approfittato della situazione per portare avanti i propri interessi economici e politici.

Da un lato la Russia ha tentato, tramite la divulgazione di fake news, di alimentare la già esistente sfiducia nei confronti delle istituzioni europee ed americane ponendo in discussione la gravità stessa della pandemia. Dall’altro lato la Cina, ha tentato di allontanare le proprie responsabilità per non aver tempestivamente informato le istituzioni sanitarie mondiali della preoccupante propagazione del virus, ed anzi, in particolare dopo aver inviato i propri aiuti in Italia, ha cercato di creare fiducia per il proprio operato.

Così, malgrado le evidenze e quelle indimenticabili immagini delle bare portate via da Bergamo a bordo dei camion militari, a causa delle fake news quel Covid-19 si è tramutato in una banalissima influenza, un pretesto per imporre una quanto mai improbabile dittatura sanitaria a colpi di mascherine e lockdown. Un modo come un altro per privare i cittadini della propria libertà, della propria socialità, per privarli del loro essere umani.

Allo stesso tempo è vertiginosamente aumentata la fiducia nei confronti dell’operato della Cina, cui, specialmente su Twitter, sono stati rivolti innumerevoli messaggi di solidarietà e ringraziamento, buona parte dei quali si è poi tuttavia in realtà rivelata frutto di bots e account falsi, creati appositamente per diffondere quel tipo di messaggio [5].

Per quanto alcune di queste fake news possano aver suscitato una genuina e profonda risata, gli effetti causati dalle stesse sono ben lungi dal poter essere definiti come “divertenti” e tanto meno possono essere sottovalutati. In questi mesi abbiamo assistito ad una proliferazione di campagne no-vax e delle teorie del complotto, ed osservato inermi le manifestazioni dei no-mask in piazza. Al contempo è aumentata la sfiducia nei confronti dell’operato delle istituzioni europee e nazionali.

Secondo un sondaggio condotto dall’Ipsos solo il 37% degli italiani è disposto a farsi somministrare immediatamente il vaccino anti-covid, laddove un italiano su sei lo rifiuterà categoricamente [6].

È evidente, dunque, come le campagne di disinformazione portate avanti nel corso del 2020, siano riuscite a sortire effetti a dir poco preoccupanti, specie se si considera che si parla di sanità pubblica e di potenziali nuove migliaia di morti.

Le reazioni a livello europeo e le possibili soluzioni

Il 10 giugno 2020 la Commissione Europea, preoccupata per il diffondersi di fake news sulla pandemia di Covid-19, ha emanato una comunicazione [7].

Nella stessa si legge che “Tutti i settori della società devono dare una risposta calibrata, in funzione della gravità del danno, dell’intenzionalità, del canale di divulgazione, dei soggetti coinvolti e della loro provenienza. Se arginare la diffusione di informazioni false è quindi possibile offrendo smentite mirate, demistificando e promuovendo iniziative di alfabetizzazione mediatica, la disinformazione tendenziosa va combattuta con altri mezzi, comprese misure dello Stato, come afferma tra l’altro il piano d’azione contro la disinformazione. Le piattaforme devono mettere un freno alle manovre coordinate di manipolazione e migliorare la trasparenza circa le operazioni di influenza malevola.

Tutte le soluzioni di cui sopra dovrebbero essere attuate nel pieno rispetto dei diritti fondamentali, in particolare la libertà di espressione.”

Particolarmente interessante è il riferimento alle piattaforme social, che nel pieno rispetto della libertà di espressione, dovrebbero cercare di porre un freno alla diffusione di fake news e alla conduzione di campagne di disinformazione.

L’attribuzione di una tale responsabilità ai social network, tuttavia, appare problematica. È lecito, infatti, domandarsi se sia corretto e desiderabile affidare a delle piattaforme private, la decisione su cosa sia vero e verificato e su cosa non lo sia.

La sensazione infatti e malgrado se ne comprendano le ragioni, è ad opinione di chi scrive, che gli Stati rinuncino in tal modo ad una fetta della propria sovranità per attribuirla alle piattaforme social, nuovo luogo in cui gli individui esprimono la propria personalità ed essenza, richiedendo alle stesse di ricucire quello strappo creatosi nel corso degli anni tra istituzioni e cittadini, nel tentativo di ristabilire una fiducia che in realtà, solo governi attenti alle nuove esigenze, ai nuovi cambiamenti sociali, potrebbero e dovrebbero ripristinare.

Sarebbe giusto affidare a delle piattaforme online il ruolo di “decisori” laddove, proprio per via di quelle piattaforme, dei messaggi in esse trasmessi sono stati possibili scandali come quelli delle presidenziali del 2016, della Brexit, del Myanmar?

Conclusioni

Nei mesi più caldi della pandemia, si è assistito ad una comunicazione da parte del Governo italiano, quanto meno oscura, per certi aspetti schizofrenica. Moltissimi cittadini non hanno compreso il senso delle misure, pure giuste e corrette, attuate nel nostro Paese per contrastare la diffusione del virus.

Dunque, ci si domanda se questa confusione non abbia indirettamente incoraggiato i cittadini a credere con troppa facilità e superficialità, alle (dis)informazioni che gli stessi potevano ritenere più logiche ed attendibili.

Conseguentemente, pare opportuno interrogarsi anche sul se, prima di affidare alle piattaforme online il potere di decidere cosa sia lecito divulgare o meno, non sia necessario intervenire proprio sulla comunicazione operata dalle istituzioni e sull’educazione degli individui al fine di consentire agli stessi, autonomamente, di discernere le informazioni false da quelle vere, agevolando anche mediante l’educazione scolastica, lo sviluppo di un pensiero critico.

Solo operando in questa direzione sarà possibile, ad opinione di chi scrive, tutelare realmente le nostre democrazie, garantire i diritti dei cittadini, compreso il diritto alla salute, ed evitare che i comportamenti degli individui siano così facilmente manipolabili ed orientabili.

Affidare alle piattaforme social, anche in considerazione dell’importanza che le stesse rivestono nelle nostre società, il compito di ricucire lo strappo tra istituzioni e individui, potrà sembrare la scelta più razionale e logica. Ma la storia passata così come la crisi dettata dal Coronavirus, ci hanno dimostrato non solo, che questa potrebbe non essere la decisione più giusta, ma che in ogni caso sarebbe insufficiente, richiedendosi piuttosto agli Stati sovrani, un’operazione di sensibilizzazione dei propri cittadini e una maggiore cooperazione a livello internazionale per il contrasto alla propaganda e alla disinformazione.

[1] Carole Cadwalladr, “Facebook’s role in Brexit – and the threat to democracy”, intervento a TED Talks, 2019, disponibile qui:   https://www.youtube.com/watch?v=OQSMr-3GGvQ

[2]F. Mouton, K.Pillay, M.C. Van ‘t Wout, “The Technological Evolution of Psychological Operations Throughout History”, HAISA, 2016, disponibile qui: https://www.researchgate.net/publication/306354998_The_Technological_Evolution_of_Psychological_Operations_Throughout_History

[3] “Facebook ha ammesso di aver sbagliato in Myanmar”, Il Post, 7 novembre 2018, disponibile qui: https://www.ilpost.it/2018/11/07/facebook-ha-ammesso-di-avere-sbagliato-in-myanmar/. Per maggiori informazioni sui fatti del Myanmar si veda, E. Oberto, La deportazione del popolo Rohingya e la competenza della Corte Penale Internazionale, Ius in itinere, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/la-deportazione-del-popolo-rohingya-e-la-competenza-della-corte-penale-internazionale-12932

[4] Report EUvsDisinfo, “EEAS SPECIAL REPORT UPDATE: Short Assessment of Narratives and Disinformation Around the COVID-19 Pandemic (UPDATE MAY – NOVEMBER)”, disponibile qui:

[5] F. Bechis, G. Carrer, “How China unleashed Twitter bots to spread COVID-19 propaganda in Italy”, in Formiche, marzo 2020, disponibile qui: https://formiche.net/2020/03/china-unleashed-twitter-bots-covid19-propaganda-italy/

[6] “Vaccino anti-Covid, il sondaggio Ipsos a DiMartedì: “Il 42% degli italiani aspetterà per capirne l’efficacia”, Il Tempo, novembre 2020, disponibile qui: https://www.iltempo.it/attualita/2020/11/18/news/vaccino-covid-italiani-efficacia-sondaggio-ipsos-la7-dimartedi-dosi-italia-25268850/

[7] Comunicazione della Commissione Europea, “Contrastare la disinformazione sulla Covid-19 – Guardare ai fatti”, giugno 2020, disponibile qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT-EN/TXT/?from=IT&uri=CELEX%3A52020JC0008

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