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“Critica della ragion celere”: la speditezza processuale sopra le garanzie

A cura di Pasquale La Selva

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato si è pronunciata sulla portata dell’art. 105 c.p.a.  e sui possibili casi di rinvio al giudice di primo grado quando questo ometta di pronunciarsi relativamente a determinate domande proposte in via contestuale ed autonoma. Sulla questione si pronuncia il giudice di primo grado o il giudice di secondo grado per l’effetto devolutivo?

Il fatto e il parere dell’Adunanza Plenaria

Nel 2010 il Consiglio Comunale di Borgia (CZ) veniva sciolto per infiltrazione mafiosa ai sensi dell’art. 143 del TUEL, al cui posto veniva insediato un commissario prefettizio.

Due anni dopo, il ricorrente chiedeva al commissario una SCIA al fine di ottenere un esercizio di vendita al dettaglio di frutta e verdura. Decorsi i termini previsti dall’art. 19 della legge sul procedimento amministrativo, il ricorrente dava inizio alla propria attività.

A seguito di elezione del nuovo Consiglio Comunale, questo riteneva che tale vicenda rientrasse tra le autorizzazioni indicate nell’art. 67 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia), pertanto l’organo chiedeva alla Prefettura di Catanzaro, ai sensi dell’art. 100 dello stesso codice, un’informativa antimafia relativa alla posizione del soggetto ricorrente.

In seguito alla richiesta promossa dal Consiglio Comunale, il 30 maggio 2014 la Prefettura adottava contro il sig. ricorrente un’interdittiva antimafia ai sensi dell’art. 91 comma 6 del codice sopra citato. Di conseguenza, il sindaco di Borgia adottava con ordinanza, nella qualità di Autorità ex lege di polizia, la revoca della SCIA nei confronti del sig. ricorrente, il quale ricorreva dinanzi al TAR per erronea applicazione degli artt. 67 e 100 sopra citati, per eccesso di potere sotto diversi profili, nonché, con separata e contestuale domanda, il risarcimento del danno a causa della chiusura dell’esercizio.

L’adito TAR, con sentenza n. 367 del 26 febbraio 2015 accoglieva il ricorso, annullando così tutti i provvedimenti citati, ma aveva omesso di pronunciarsi in materia di risarcimento del danno, non essendoci nessun minimo cenno nella pronuncia.

Il sig. ricorrente dunque appellava la sentenza del TAR Catanzaro nella parte in cui non disponeva alcunché sulla domanda risarcitoria – deducendo dunque la violazione dell’art. 112 c.p.c. – dal momento in cui la pretesa appariva oggettivamente fondata e implicitamente respinta senza motivazione, malgrado ricorressero il pregiudizio economico ed il nesso eziologico coi provvedimenti illegittimi.

Dunque, investita della trattazione la Sezione III del Consiglio di Stato, questa rimetteva all’Adunanza Plenaria la portata applicativa dell’art. 105, comma 1, c.p.a., il quale dispone che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado «soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure è stato leso il diritto di difesa di una delle parti ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio».

Mancando del tutto una pronuncia relativa all’azione risarcitoria, l’Adunanza Plenaria riconosce che la vicenda de qua manifesta la violazione della disposizione di cui all’art. 112 c.p.c. che prescrive per il giudice l’obbligo di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Vista la necessità di inquadrare o meno il caso di specie nella ipotesi prevista dall’art. 105 c.p.a., l’AP ritiene di trattenere la causa al fine di decidere in via pregiudiziale e nel merito. L’Adunanza rammenta come l’ordinamento della giustizia amministrativa s’incentri sul principio del doppio grado di giurisdizione, sancito dall’art. 125 Cost. ed attuato con l’istituzione dei TAR nel 1971. Ma rammenta altresì come la regola costituzionale non imponga affatto che la legge processuale debba garantire sempre alle parti il diritto d’un doppio esame di ogni questione di rito o di merito proposta nel corso del giudizio, all’uopo essendo necessario e sufficiente che ciascuna domanda od eccezione sia potenzialmente esaminabile in due diversi gradi di giudizio, tenuto conto per vero del rapporto di pregiudizialità logica tra le diverse questioni. Dal che l’avvenuto contemperamento, nel c.p.a., tra le regole costituzionali sul doppio grado e sulla ragionevole durata del processo, grazie alla precisa e rigorosa delimitazione dei casi di rinvio al primo giudice, che si pone come eccezione rispetto alla regola dell’effetto devolutivo dell’appello.

Alla luce di queste osservazioni, la sezione remittente chiedeva all’Adunanza Plenaria se «qualora il giudice di primo grado abbia omesso del tutto la pronuncia  su una delle domande del ricorrente (nella specie l’azione di risarcimento del danno, conseguente all’annullamento dei provvedimenti impugnati), la controversia debba essere decisa nel merito dal giudice di secondo grado, in coerenza con l’effetto devolutivo dell’appello e con la regola della tassatività delle ipotesi di rinvio al primo giudice, oppure, in alternativa, la causa debba essere rimessa al TAR, valorizzando la portata anche sostanziale della nozione di “violazione del diritto di difesa” e il principio costituzionale del doppio grado, anche alla luce della circostanza che la radicale e immotivata omissione di pronuncia avrebbe effetti equivalenti a quelli di una decisione adottata d’ufficio, in violazione del contraddittorio con le parti, stabilito dall’art. 73, comma 3, del CPA».

L’Adunanza Plenaria apre dunque la propria analisi partendo dall’idea che la riforma del processo amministrativo ha provveduto ad adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, motivo per cui l’art. 105 c.p.a. deve essere letto in coordinazione con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di principi generali. Si ha così un’unitaria regolazione per principi, nella specie quello per cui la sentenza d’appello si sostituisce alla sentenza di primo grado ed il giudice di appello decide nel merito, anche quando rileva un vizio del procedimento o della sentenza di primo grado, qualora, sia pur errando, il giudice di prime cure abbia esaurito la sua potestà decisoria.

La rigidezza dei casi di rimessione al primo giudice serve, in tutti i giudizi a duplice grado, a limitare la discrezionalità dell’interprete nell’“invenzione”, nel senso proprio di rinvenimento, di fattispecie ulteriori (cioè, diverse e distinte da tutti i casi implicati) di regressione dall’appello al primo grado, la tassatività delle categorie esistenti essendo indubbia pure per la remittente.

Sicché la pronuncia che dichiara erroneamente l’irricevibilità, l’inammissibilità o l’improcedibilità di un ricorso giurisdizionale, consuma il potere decisorio da parte del primo Giudice e, stante l’effetto devolutivo dell’appello, impone al secondo Giudice, una volta riscontrato tale error in iudicando, di pronunciarsi nel merito[1].

Tuttavia, osserva l’AP, che un giudizio potrebbe essere definito con una questione preliminare o pregiudiziale che impedisce un esame nel merito, in quanto non è vero che una parte abbia diritto sempre e comunque ad un doppio grado nel merito, ove nel merito non si possa giungere a causa, ad esempio, di preclusioni e decadenze.

Con l’ordinanza di rimessione, la Sez. III del CdS ritiene di attenersi alla prima interpretazione, secondo la quale il giudice di appello di sostituirebbe a quello di primo grado, ma resta da chiedersi se tale fattispecie possa comportare una lesione diretta del diritto di difesa, potendo una situazione simile generare un effetto equivalente a quello della c.d. “pronuncia a sorpresa” che l’art. 73 c.p.a. – nella parte in cui dispone che il giudice può ritenere di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, questo la indica in udienza dandone atto a verbale – tende ad evitare. Tanto è vero, che in caso di violazione trova la sua sanzione endoprocessuale nell’art. 105 c.p.a.[2]. La tassatività dei casi di annullamento con rinvio di cui all’art. 105 esclude, pertanto, la possibilità di equiparare situazioni processuali diverse sul presupposto della pari o maggiore gravità che caratterizzerebbe l’omessa decisione rispetto alla “decisione a sorpresa” adottata in violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a.

L’Adunanza Plenaria ribadisce come la violazione del’art. 112 c.p.c. non costituisce una causa di rinvio ex lege al giudice di primo grado. In generale, l’omesso esame di taluni motivi non determini la regressione della causa al primo giudice. Anzi, se non v’è un impulso della parte pretermessa a volerli far constare dal Giudice d’appello, i motivi s’intendono rinunciati sic et simpliciter.

Del pari, non si può mai configurare tal rinvio, quando, pur a fronte d’un materiale omesso esame di alcune delle domande, dalla lettura della motivazione si comprenda comunque perché il giudice non abbia pronunciato espressamente su queste ultime.

Ma ad analoga conclusione deve pervenirsi anche quando, a causa d’una svista o di un errore di fatto, il primo giudice non s’è materialmente accorto, nel leggere gli atti del giudizio, della formulazione d’una o più domanda (è il classico errore revocatorio, per c.d. “abbaglio dei sensi”). In tali casi, è utile ricordare che, secondo una pacifica giurisprudenza[3], l’omesso esame di una delle domande (o di uno o alcuni dei motivi proposti) integra, quando deriva da una svista del giudice nella percezione degli atti processuali, un errore di fatto idoneo a fondare il rimedio della revocazione.

L’AP tuttavia, specifica che l’errore di fatto revocatorio non è un error in procedendo che integra una violazione del diritto di difesa, né un’ipotesi di nullità della sentenza, bensì un errore che inficia la sentenza. E allora, la qualificazione, ai sensi dell’art. 105, di tale situazione come ipotesi di nullità (o come violazione del diritto di difesa delle parti) determinerebbe profili di incoerenza anche rispetto al citato indirizzo giurisprudenziale maturato in materia di revocazione dal momento in cui secondo tale ricostruzione non sarebbe, appunto, una nullità, bensì un mero “errore di fatto”.

Tuttavia, a parere dell’autore, con tali osservazioni sembra che l’Adunanza Plenaria voglia attribuire maggior “peso” alla celerità processuale piuttosto che alle garanzie e ai diritti di difesa, dal momento in cui una regressione processuale non farebbe altro che determinare lungaggini. Pertanto, la totale omissione di pronuncia su di una determinata domanda violerebbe manifestamente il diritto di difesa, in ragione del fatto che da una siffatta omissione non è certamente possibile dedurre una ipotesi di assorbimento nella motivazione, né tantomeno comprendere da questa il perché dell’omissione di pronuncia del giudice (come talaltro già addotto dalla stessa A.P.).

Per tali ragioni, secondo l’Adunanza Plenaria, deve allora ritenersi che la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (non importa se riferita a singoli motivi o a singole domande) non determina un’ipotesi di nullità della sentenza, né un caso di violazione del diritto di difesa idoneo a giustificare l’annullamento con rinvio della sentenza appellata.

Tale conclusione si impone anche alla luce dell’art. 101, comma 2, c.p.a., il quale nel prevedere che «si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano espressamente riproposte nell’atto di appello», chiaramente esclude che l’omesso esame di una domanda (e a maggior ragione di un motivo) possa determinare una regressione al primo giudice. Lo stesso articolo 101, comma 2, c.p.a. stabilisce che per le parti diverse dall’appellante principale la riproposizione delle domande non esaminate (o assorbite) può avvenire anche con semplice memoria difensiva, senza necessità di appello incidentale. Secondo l’AP viene codificato un indirizzo interpretativo che già la giurisprudenza aveva affermato, prima del Codice del processo amministrativo, secondo in virtù del quale l’appellato vittorioso non è costretto a cominciare ex novo un giudizio di primo grado né tantomeno appello incidentale.

Secondo l’Adunanza Plenaria dunque, la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non è equiparabile ad una ipotesi di violazione del diritto di difesa: in questo caso, infatti, la parte non lamenta di non essersi potuta difendere nel corso del procedimento, ma lamenta un vizio che attiene al contenuto della decisione, che risulta incompleto rispetto ai motivi o alle domande proposte[4].

La critica

Alla luce di queste considerazioni, a parere dell’autore non si dovrebbe qualificare la totale assenza di pronuncia relativa ad una domanda come “vizio” della decisione, ma come vera e propria mancanza, e ciò sposterebbe nuovamente gli equilibri. Anzitutto, bisognerebbe ragionare sulla disposizione dell’art. 101 c.p.a. che esclude una regressione del processo al primo grado per le domande dichiarate assorbite, così come giustamente dedotto dall’Adunanza Plenaria a fondamento della propria posizione. Ed è proprio la presenza del termine “dichiarate assorbite” che farebbe cadere le basi delle motivazioni addotte dall’Adunanza Plenaria, in quanto il giudice di primo grado non ha mai dichiarato assorbita la domanda di risarcimento del danno, nemmeno implicitamente, ma tuttalpiù, avrebbe decisamente omesso di pronunciarsi a riguardo, dimenticandosene. Tale circostanza, lo si ripete, violerebbe direttamente ed in maniera manifesta il diritto di difesa, e di conseguenza, come previsto dall’art. 105 c.p.a., si sarebbe dovuto procedere con il rinvio al giudice di primo grado, vista anche la lesione del principio del doppio grado di giudizio, salva l’applicabilità dell’istituto della revocazione per “abbaglio dei sensi”, come correttamente addotto dall’A.P.

Pertanto, sarebbe lecito presumere l’assorbimento, anche implicito e non espresso, di motivi, ma non è lecito ritenere assorbite vere e proprie domande autonome, in ragione dell’obbligo del giudice di pronunciarsi sulle questioni controverse a lui sottoposte.

Di fronte al diritto di difesa, non vi è esigenza di celerità processuale che tenga.

[1] cfr. Cons. St., ad. plen., 30 giugno 1978 n. 18). Già quarant’anni fa, essa aveva precisato che, quando il Giudice abbia erroneamente definito il giudizio dichiarando inammissibile o improcedibile il ricorso, «…in tale ipotesi il vizio fatto valere investe soltanto il contenuto della pronunzia impugnata e non il processo che ha condotto alla sua emanazione…».

[2] Cons. St., IV, 8 febbraio 2016 n. 478.

[3] cfr. Cons. Stato, sez. III, 1 aprile 2014, n. 1314.

[4] In questi termini cfr. Cons. Stato, Ad. plen. 20 dicembre 2002, n. 8, che aveva già ritenuto applicabile l’art. 346 Cod. proc. civ., contenente una previsione analoga a quella ora inserita nell’art. 101, comma 2, Cod. proc. amm.

Pasquale La Selva

Pasquale La Selva nasce a Napoli il 22 Febbraio 1994. Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” con tesi in Diritto Amministrativo dal titolo "Il socio pubblico e la golden share", a relazione del Prof. Fiorenzo Liguori, ed ha conseguito, presso il Dipartimento di Scienze Politiche dello stesso Ateneo la laurea magistrale in Scienze della Pubblica Amministrazione, con una tesi sulle "competenze e poteri di ordinanza tra Stato, Regioni ed Enti Locali nell'emergenza sanitaria" a relazione del Prof. Alfredo Contieri. Pasquale ha conseguito anche un Master di II livello in "Compliance e Prevenzione della Corruzione nei settori Pubblico e Privato" presso l'Università LUMSA di Roma, con una tesi sulla rotazione del personale quale misura anticorruttiva. Pasquale è direttore del Dipartimento di diritto amministrativo di Ius in itinere ed è praticante avvocato. Durante il periodo degli studi, Pasquale è stato anche un cestista ed un atleta agonista: detiene il titolo regionale campano sui 400 metri piani della categoria “Promesse” dell'anno 2016, è stato vice campione regionale 2017 della categoria "assoluti" sulla stessa distanza, ed ha partecipato ad un Campionato Italiano nel 2016. Contatti: pasquale.laselva@iusinitinere.it

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