Critiche delle Nazioni Unite alle politiche migratorie italiane: il bilanciamento tra esigenze di sicurezza e tutela dei migranti
Il 15 maggio u.s., il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, nella persona dello Special Rapporteur Beatriz Balbin, ha notificato al governo italiano una lettera[1] con la quale segnala le sue preoccupazioni relative all’applicazione della Direttiva 14100/141(8)[2], provvedimento adottato dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini nei confronti “del comandante e della proprietà della Nave Mare Jonio”, imbarcazione che, lo scorso 19 marzo, portò in salvo nel porto di Lampedusa cinquanta migranti. Proprio con riferimento a questa attività di soccorso, il Viminale adottò la predetta direttiva, evidenziando come la condotta della ONG fosse stata illegittima, accusandone i membri di scarsa collaborazione con le autorità e favorendo l’ingresso di migranti irregolari nel paese.
Invero, questo provvedimento si inserisce in una più ampia politica repressiva attuata dal governo italiano a partire dal d.l. 840/2018, il c.d. “decreto sicurezza”. Voluto dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, il testo contiene “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione” ed è stato proposto come strumento per regolare la gestione dei migranti nel paese e garantire maggiore ordine, sicurezza e controlli[3]. Da un punto di vista giuridico, l’intervento legislativo ha fin da subito sollevato forti perplessità[4]. La protezione umanitaria (garantita dal TU sull’immigrazione – d.lgs. 286/98) è stata abolita e sostituita da forme di permessi “speciali”, riconosciuti per casi di particolare vulnerabilità, senza però garantire adeguata tutela a quei soggetti che, senza vedersi riconosciuto altro titolo o status, rischierebbero di essere rimpatriati in paesi in cui sarebbero esposti a trattamenti inumani e degradanti. Più in generale, l’estensione dei periodi di trattenimento in hotspot e centri di accoglienza, l’aumento (relativo) dei fondi per le espulsioni e il ricorso a procedure accelerate per i rimpatri raccontano di un intervento legislativo orientato al controllo del fenomeno, anche in termini repressivi, più che all’accoglienza e all’integrazione dei migranti (aspetto confermato dalla riduzione dei fondi per il circuito degli SPRAR).
È di poche settimane fa la notizia che lo stesso Ministro dell’Interno abbia poi paventato l’ipotesi di un “decreto sicurezza bis”, intervento pensato per dare un ulteriore giro di vite alla normativa in tema di controllo delle frontiere e accoglienza dei migranti[5]. Non vi sono ancora bozze ufficiali, ma le voci trapelate dal Viminale fanno intendere un provvedimento apertamente ostile contro le organizzazioni non governative operanti nel Mediterraneo per il salvataggio dei migranti, da sempre oggetto di critiche da parte del Ministro dell’Interno: sanzioni quantificate in base al numero di persone salvate, sospensioni e revoca delle autorizzazioni, ma anche un cambiamento nell’equilibrio istituzionale dei ministeri, con il controllo dell’accesso ai porti che passerebbe dalle competenze Ministero delle Infrastrutture a quelle del Ministero dell’Interno.
La lettera inviata dal Comitato conferma come la politica generale del governo, nonché l’atteggiamento di aperta ostilità delle autorità rappresentino un pericolo per la tutela dei diritti fondamentali dei migranti. Le critiche rivolte al nostro paese – e alla direttiva in oggetto – si basano principalmente su quattro punti.
1) La criminalizzazione delle ONG
Un primo aspetto ad essere stato attenzionato dai membri del Comitato riguarda il processo di costante criminalizzazione delle ONG. La narrativa proposta da diversi esponenti politici e del governo, che hanno accusato a più riprese le ONG di essere colluse con i trafficanti, è però falsa e smentita dai fatti: infatti, come ben evidenziato anche nella comunicazione delle NU, tali accuse “are not based on and have not been confirmed by any decision by the competent judicial authority”[6]. I membri del Comitato, rispetto al caso della Mare Jonio, infatti, esprimono la loro perplessità in merito alle conclusioni del Ministero, che parla esplicitamente di illeciti e irregolarità senza che però le autorità giudiziarie siano intervenute in questo senso.
Più in generale, la conseguenza di questa ormai diffusa diffidenza nei confronti di operatori e volontari si traduce in interventi legislativi essenzialmente punitivi – come quelli ipotizzati nel decreto sicurezza bis – che non farebbero altro che peggiorare la situazione di migranti e richiedenti asilo la cui vita è a rischio nel Mediterraneo.
2) Scarsa attenzione per gli obblighi derivanti dal diritto internazionale
In un successivo passaggio, il Comitato ricorda come, da convenzioni, accordi e carte internazionali, derivino una serie di obblighi in capo agli Stati per quanto riguarda la tutela e la protezione dei migranti.
L’articolo 98 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare[7] pone in capo a ciascuno Stato coinvolto l’obbligo di prestare “soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”, promuovendo “la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”. Pertanto, qualora uno Stato fallisca nell’adempiere a questi obblighi, le autorità si rendono inevitabilmente protagoniste di una violazione del diritto alla vita; tale diritto, inderogabile, è previsto da svariate convenzioni e documenti internazionali, tra cui l’articolo 2 CEDU e l’articolo 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Su questo punto, il comunicato del Comitato per i diritti umani è molto netto nell’affermare come l’Italia debba tornare a rispettare in maniera esplicita le previsioni di convenzioni e carte internazionali. Tale rispetto si traduce in una serie di obblighi positivi (“… to seek and facilitate humanitarian action…”) e negativi (“… not to engage in acts that would jeopardize the enjoyment of the right to life.”) concernenti la protezione di persone e imbarcazioni in distress.
Senonché, l’atteggiamento delle autorità italiane, esemplificato dalla condotta tenuta nei confronti della Mare Jonio, non solo marginalizza il ruolo di organizzazioni ed associazioni attive sul territorio, particolarmente importanti per garantire concreta, immediata e puntuale assistenza a soggetti a rischio[8], ma porta le stesse ad ignorare i propri obblighi derivanti dal diritto internazionale “… by discrimination motives”, tenendo una condotta che potrebbe “result in discrimination”.
3) Generale stigmatizzazione dei migranti e mancato riconoscimento della loro posizione di vulnerabilità
Quanto visto finora rappresenta un quadro particolarmente complesso per i migranti, ormai diventati, nella narrativa comune e nelle scelte dell’autorità, oggetto di stigmatizzazione e xenofobia sul timore che, tra di loro, si nascondano criminali, terroristi e trafficanti. È proprio da questo diffuso timore che nascono, fin dall’inizio della crisi migratoria, rinnovate esigenze di protezione, controllo e ordine.
Dette esigenze, però, devono essere necessariamente bilanciate con la tutela dei diritti fondamentali degli individui, soprattutto alla luce della posizione di particolare vulnerabilità patita e sopportata dai migranti. In concreto, nell’opinione del Comitato, tale principio si traduce nell’invito, rivolto al nostro paese, di riconoscere, valutare e considerare la posizione dei singoli individui senza generalizzazioni o discriminazioni di sorta.
Ciò che il Comitato evidenzia, in definitiva, è una distorta lettura del fenomeno che ha conseguenze giuridiche particolarmente varie e gravi, e che va a minare le stesse basi su cui si fondano i principali doveri delle autorità nei confronti migranti, quali assistenza e soccorso in mare – ai sensi della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo – e il parallelo contrasto al traffico di esseri umani. In questo senso, il documento sottolinea come provvedimenti troppo severi ed ispirati ad una logica punitiva, quali la Direttiva 14100/141(8), “make(s) instrumental use of the fight against trafficking in persons, since restrictive migration policies contribuite to exacerbate migrants’ vulnerabilities and, thus, to favour trafficking in persons, rather than prevent it and protect its potential victims”. La logica così proposta porta alla sempre più frequente violazione di un altro diritto fondamentale, ossia il diritto a presentare richiesta per ottenere asilo ai sensi dell’articolo 14 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, soprattutto qualora non venga data la possibilità ai migranti di poter trovare primo soccorso nel porto sicuro più vicino o vengano ritardate le procedure per lo sbarco[9].
L’invito del Comitato delle NU per i diritti umani è quindi quello di adottare un approccio di più ampio respiro, bilanciando le due opposte esigenze prima evidenziate ma riconoscendo comunque come tale equilibrio non sia facilmente raggiungibile e difendibile, soprattutto alla luce del delicato contesto libico.
4) Il non rispetto del principio di non-refoulement
Il principio di non-refoulement consiste nel divieto, previsto anche ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, di espellere, respingere o rimpatriare individui verso paesi in cui i loro diritti fondamentali sarebbero a rischio o in cui sarebbero esposti ad un pericolo per la loro vita e la loro sicurezza.
Stabilire se e come il nostro paese abbia violato questo divieto richiede necessariamente un’analisi della situazione geopolitica del Mediterraneo. La lettera, in questo senso, evidenzia come, nel corso degli anni, la situazione libica, punto di partenza della rotta mediterranea, sia peggiorata nel corso degli anni: già afflitto, fin dal 2014, da un durissimo conflitto, la Libia ha visto la sua posizione aggravarsi ulteriormente dopo la recente escalation negli scontri tra milizie ed esercito governativo. Sia l’UNHCR, l’agenzia ONU per i rifugiati, che lo stesso Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno a più riprese ribadito come la Libia non sia un paese sicuro per i migranti, sia per la guerriglia in atto sia perché sono spesso detenuti in condizioni inaccettabili nei “centri di accoglienza” organizzati e controllati dalle autorità locali[10]. Conseguentemente, anche l’attività della Guardia costiera libica, ritenuta essere collusa con gli stessi trafficanti, costituisce un grave pericolo per gli individui che affrontano la rotta del Mediterraneo[11]: essendo, nella migliore delle ipotesi[12], impegnata principalmente in attività di recupero dei migranti e di riaccompagnamento in Libia, è facilmente intuibile come l’interesse principale dell’autorità marittime libiche non sia quello di proteggere i migranti, che verrebbero inevitabilmente ricondotti nei centri di detenzione.
Il Comitato evidenzia, su questo aspetto, come il nostro paese, avviando nel corso degli anni un’attività di collaborazione sempre più stretta con le autorità libiche e, sostanzialmente, delegano ad esse, anche mediante la formazione dei suoi membri, il controllo della rotta, sia venuto meno ai suoi obblighi scaturenti dal diritto internazionale.
Conclusioni
Alla luce di quanto visto sopra, la lettera si chiude non solo con l’invito, per le autorità italiane, a ritirare la direttiva in oggetto, ma anche con l’auspicio che queste adottino, in futuro, “… a coherent, human rights-based response to maritime migration from Libya … to ensure adequate search and rescue capacity in the Mediterranean and to prioritize the primary obligation to save lives at sea, while upholding the principle of non-refoulement”.
L’efficacia di tali raccomandazioni è ovviamente relativa e ha più il sapore della presa di posizione politico-istituzionale. Difficilmente la posizione di questo governo cambierà nell’immediato futuro, ma queste segnalazioni evidenziano il fondato e diffuso timore della comunità internazionale di uno slippery slope punitivo e repressivo nei confronti dei migranti in cui l’Italia sta rischiando di scivolare.
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[1] Testo completo a questo link https://www.avvenire.it/c/attualita/Documents/ONUdirittiViolati.pdf
[2] http://www.interno.gov.it/sites/default/files/direttiva_del_ministro_n._141001418_15_aprile_2019.pdf
[3] Si veda l’articolo di Svampa C., Protezione internazionale: le novità del decreto sicurezza, in Ius in itinere, 10 ottobre 2018 (https://www.iusinitinere.it/protezione-internazionale-le-novita-del-decreto-sicurezza-13160);
[4] Si veda Camilli A., Cosa prevede il decreto sicurezza e immigrazione, Internazionale, 27 novembre 2018 (https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2018/11/27/decreto-sicurezza-immigrazione-cosa-prevede).
[5] Che cos’è questo “Decreto sicurezza 2”, Il Post, 11 maggio 2019 (https://www.ilpost.it/2019/05/11/decreto-sicurezza-2-bis-salvini/).
[6] Risulta infatti ormai ampiamente smentito il c.d. Teorema Zuccaro, dal nome del P.M. divenuto noto per le sue inchieste sulle ONG e, in particolare, sui flussi di finanziamento ed eventuali legami con i trafficanti libici. Si veda Camilli A., Il teorema Zuccaro sulle ONG è fallito, Internazionale, 15 maggio 2019 (https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2019/05/15/open-arms-zuccaro-ong).
[7] Per il testo completo http://www.ibneditore.it/wp-content/uploads/_mat_online/DirittoMarittimo/Convenzione_Diritti1982.pdf
[8] Aspetto evidenziato anche dalla Corte EDU in Khlaifia e altri c. Italia, ricorso n., sentenza
[9] Ciò è quanto accaduto nel caso della nave Diciotti (si veda la completa analisi i Cancellaro F., Zirulia S., Caso Diciotti: il Tribunale dei Ministri qualifica le condotte del Ministro Salvini come sequestro di persona aggravato e trasmette al Senato la domanda di autorizzazione a procedere, in Diritto Penale Contemporaneo, 28 gennaio 2019, ).
[10] Sono numerosi i comunicati stampa in cui l’organizzazione ha segnalato le criticità di questi de facto centri di detenzione (UNHCR chiede di portare al sicuro i rifugiati detenuti a Tripoli, 9 maggio 2019,
https://www.unhcr.it/news/unhcr-chiede-portare-al-sicuro-rifugiati-detenuti-tripoli.html).
[11] Dubbi sulla Guardia costiera libica erano presenti già dal 2017 (si veda La Guardia costiera libica non esiste, il Post, 26 agosto 2017, https://www.ilpost.it/2017/08/26/guardia-costiera-libica/) e sono stati confermati da recenti inchieste in cui si evidenza l’incapacità delle autorità libiche di intervenire a tutela e protezione dei migranti (Scavo N., Migranti. Guardia costiera libica incapace di soccorrere, la prova delle registrazioni, in Avvenire, 19 aprile 2019, https://www.avvenire.it/attualita/pagine/migranti-libia-audio-segreti).
[12] L’accusa delle Nazioni Unite è infatti molto più specifica e parla di “… deliberate sinking of boats using firearms”.
30 anni, attualmente attivo nel ramo assicurativo, abilitato all’esercizio della professione forense, laureato in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Torino con tesi sulla responsabilità medico-sanitaria nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e vincitore del Premio Sperduti 2017.
Vice-responsabile della sezione di diritto internazionale di Ius in itinere, con particolare interesse per diritto internazionale, diritti umani e diritto dell’Unione Europea.
Già autore per M.S.O.I. ThePost e per il periodico giuridico Nomodos – Il Cantore delle Leggi, ha collaborato alla stesura di una raccolta di sentenze ed opinioni del Giudice della Corte europea dei diritti dell’uomo Paulo Pinto de Albuquerque (“I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni dissenzienti e concorrenti 2016 – 2020”).