martedì, Marzo 19, 2024
Di Robusta Costituzione

Cronaca di un’iniziativa singolare, a margine di Corte cost., ord. n. 175/2020

Singolare. Forse – dal proprio peculiare punto di vista –, qualcuno potrebbe definirla coraggiosa: obiettivamente, è quanto meno inconsueta. È in questi termini che occorre riferirsi all’iniziativa intrapresa da Codacons (il noto “Coordinamento delle associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori”, fondato nel 1986) dinanzi alla Corte costituzionale – che, sul punto, si è pronunciata con ordinanza n. 175/2020, depositata in cancelleria il 29 luglio [[1]] – la scorsa primavera. Un’iniziativa passata in sordina, rispetto alla quale si è scritto poco o nulla, ma che merita senz’altro di essere raccontata, proprio in ragione di questo suo carattere inusuale.

Con ricorso del 21 aprile 2020 [[2]], il Codacons ha proposto conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni (in ispecie, nei confronti di Lombardia e Veneto) per l’accertamento dell’illegittimità costituzionale – in asserita violazione degli artt. 117, 2° comma, lett. d), q) e h), 3° comma e 120 Cost. – dei “comportamenti formali posti in essere” da queste ultime nella gestione della c.d. “Fase 2” della pandemia da Covid-19.

Già da questa prima notazione, anche il non giurista – si potrebbe dire, “l’uomo della strada”, “l’uomo qualunque”, nell’accezione fatta propria da Santi Romano [[3]] – dovrebbe essere in grado di cogliere, a lume di semplice logica, la particolarità del caso: a sollevare un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni – ai sensi dell’art. 39 della legge n. 87/1953 –, infatti, non è né lo Stato né una Regione, bensì un ente esponenziale, qual è Codacons, che dichiara espressamente di agire “in azione suppletiva” (istituto del tutto sconosciuto al nostro ordinamento, con particolare riguardo al sistema di giustizia costituzionale) rispetto al Governo.

Appare opportuno, allora, ripercorrere – a partire dal testo dell’atto introduttivo del giudizio e dell’ordinanza in commento – le principali tesi addotte dall’associazione ricorrente a sostegno dell’ammissibilità della propria iniziativa, in primis sotto il profilo (che è quello che, ad una prima analisi, finisce per impressionare maggiormente) soggettivo.

Così, Codacons richiama, innanzi tutto, alcune pronunce della Corte costituzionale che avrebbero legittimato soggetti diversi dallo Stato – purché titolari “dell’esercizio di una pubblica funzione costituzionalmente rilevante e garantita” – a sollevare conflitto tra poteri [[4]], adducendo dunque stralci del proprio statuto e sentenze rese dalla Corte di cassazione e dal Consiglio di Stato che riconoscerebbero un tale status in capo all’associazione de qua. In particolare, vengono portate all’attenzione dei giudici della Consulta Cass., sent. n. 17351/2011, stando alla quale gli enti esponenziali sono titolati a “far valere l’interesse generale e comune di un’intera categoria di utenti o di consumatori (…) allo scopo non di sostituirsi alle iniziative dei singoli, ma si spianare ad esse la strada”; e Cons. Stato, Adunanza plenaria, sent. n. 6/2020, secondo cui tali enti “sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie”.

In secondo luogo, la ricorrente invoca – ancora, a sostegno dell’ammissibilità della propria “azione suppletiva” dal punto di vista soggettivo – il neo-introdotto art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, che avrebbe “costituzionalizzato (…) la posizione degli Enti esponenziali”, permettendo a questi ultimi di “partecipare ai giudizi di legittimità costituzionale sulle leggi”; nonché alcune altre disposizioni (come l’art. 120, 2° comma, Cost., nella misura in cui disciplina il potere sostitutivo del Governo rispetto alle Regioni e agli enti locali in particolari – e tassative – ipotesi; l’art. 9 TUEL e l’art. 310 del Codice dell’ambiente).

Ebbene, dinanzi ad una costruzione di questo genere – che non può che attestare la peculiarità e il carattere squisitamente innovativo del caso di specie – sorgono spontanei alcuni rilievi critici (messi in luce anche dalla difesa delle Regioni coinvolte, nonché dalla Corte stessa), che a tratti – ad onor del vero – potrebbero risultare addirittura lapalissiani, per quanto eclatanti appaiono.

Del resto, la prima di queste notazioni non può che provenire dal semplice – ma quanto mai importante, perché potenzialmente in grado di estirpare alla radice qualunque dubbio – dato letterale dell’art. 39 della più volte menzionata legge n. 87/1953 (oltre che, già, dallo stesso art. 134 Cost.), a tenore del quale, nell’ambito dei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni e tra Regioni, “lo Stato o la Regione rispettivamente interessata possono proporre ricorso alla Corte costituzionale per il regolamento di competenza. Del pari può produrre ricorso la Regione la cui sfera di competenza costituzionale sia invasa da un atto dello Stato”. Dunque, Stato (nella persona del Presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro delegato) e Regioni (nella persona del Presidente della Giunta regionale): questi gli unici protagonisti del conflitto delineato dall’art. 39; questi gli unici soggetti legittimati a sollevarlo: questi, insomma, “gli unici enti abilitati a stare in giudizio davanti alla Corte”, come suole tradizionalmente affermare la dottrina [[5]] in subiecta materia.

Le pronunce riportate da Codacons a sostegno dell’impianto giuridico proposto – in particolare, le ordinanze n. 17/1978 e n. 256/2016 – difficilmente possono dirsi idonee a giustificare una tale iniziativa, dal momento che, in primo luogo, hanno ad oggetto una tipologia di giudizio completamente diversa, vale a dire il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, di cui all’art. 37 delle Norme sul funzionamento della Corte costituzionale; in secondo luogo, non possono essere sottovalutati alcuni dati decisivi: così, nella prima pronuncia, veniva dichiarata l’ammissibilità di un ricorso proposto dal comitato promotore di un referendum abrogativo, quale rappresentante qualificato della frazione di corpo elettorale che l’aveva richiesto; nella più recente, invece, la Consulta evidenziava che Codacons “non è titolare di funzioni costituzionalmente rilevanti”, negando, di conseguenza, l’ammissibilità del conflitto.

Quanto, invece, alle sentenze del giudice ordinario e di quello amministrativo – pure richiamate dall’associazione ricorrente a sostegno della propria posizione processuale nell’ambito del predetto conflitto – risulta difficile non scorgere, anche soltanto ad una prima e superficiale analisi, differenze di carattere sostanziale non così agevolmente colmabili.

Così, se è vero che la Corte di cassazione, nella pronuncia citata (riguardante la materia assicurativa), ha riconosciuto in capo agli enti esponenziali – limitatamente ai precisi effetti ivi indicati – una legittimazione attiva funzionale al superamento degli ostacoli che il cittadino potrebbe trovare dinanzi a sé ove decidesse di agire uti singulus (“non ultimo quello insito nelle remore del cittadino isolato ad affrontare costose controversie per somme relativamente modeste, nei confronti di avversari agguerriti”), risulta particolarmente arduo riconoscere che lo Stato (lo Stato!), nell’ambito di un conflitto di attribuzione, possa ritrovarsi ad avvertire il bisogno di qualcuno che gli ‘spiani la strada’ (proprio questa, infatti, è l’espressione utilizzata dalla Suprema Corte), agendo in sua sostituzione.

L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, per parte sua, ha invece sottolineato la sussistenza, in capo alle associazioni rappresentative di utenti e consumatori e in casi specifici, della titolarità all’esperimento – “in particolare” – dell’“azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità”, ove vengano in rilievo “interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie”: anche questo, dunque, un caso non certo assimilabile a quello in esame, specie ove si consideri che esso (al pari di quello affrontato dalla Cassazione) – in ogni caso – non ha ad oggetto l’applicazione di norme di rango costituzionale.

Ma si è visto come Codacons, nel proprio ricorso, invochi anche l’art. 4-ter delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, introdotto nel 2020 [[6]]. Sul punto, si è scritto già molto [[7]]. Basti allora ricordare, qui, che la disposizione in oggetto – pur pacificamente applicabile, a parere di chi scrive, anche nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni, a lume del richiamo che l’art. 25, 4° co., delle Norme integrative opera all’art. 4-ter – risulta ben lungi dal consentire agli enti esponenziali di assumere, in veste di vera e propria parte, l’iniziativa del giudizio: e ciò risulta, apertis verbis, dal suo ultimo capoverso, secondo il quale “Le formazioni sociali e i soggetti istituzionali le cui opinioni sono state ammesse con il decreto di cui al comma 3 non assumono qualità di parte nel giudizio costituzionale (…)”. Ogni diversa conseguenza che si voglia far scaturire dalla costituzionalizzazione dei c.d. amici curiae, insomma, finisce per scontrarsi con un dato letterale piuttosto inequivocabile, oltre che con il generale atteggiamento di rigore che la Corte tende ad assumere quando si tratti di valutare anche soltanto l’ammissione di atti di mero intervento di terzi, tanto nei giudizi di legittimità costituzionale (in via incidentale e principale), quanto nei conflitti di attribuzione.

Preso atto, dunque, della difficile (se non, addirittura, impossibile) configurabilità di una legittimazione soggettiva in capo ad un ente esponenziale come Codacons nell’ambito di un conflitto di attribuzione tra Stato e Regioni – prima di tutto, puramente e semplicemente, perché quest’ultimo non è Stato e non è Regione – merita comunque un breve cenno anche la questione attinente alla sussistenza del requisito oggettivo.

Codacons, infatti, lamenta la violazione delle prerogative statali da parte delle Regioni Lombardia e Veneto, con riguardo ad una serie di “comportamenti formali” che queste ultime avrebbero tenuto, procedendo “in ordine sparso”: si tratta, per lo più, di mere dichiarazioni che i rispettivi Presidenti resero alla stampa in relazione alle modalità attraverso le quali intendevano gestire la “Fase 2” della pandemia da Covid-19, oltre che di un più particolareggiato ‘Progetto per la riapertura delle attività produttive’ presentato dalla Regione Veneto.

Ebbene, anche sotto questo profilo, appare piuttosto difficile non nutrire fondate perplessità: in specie, sotto il profilo della sussistenza dei caratteri di ‘attualità’ e ‘concretezza’ che la Corte suole richiedere ai fini dell’ammissibilità del conflitto: come si afferma abitualmente in dottrina, infatti, “Il conflitto (…) non può essere (…) meramente virtuale (…) dal momento che la Corte non è chiamata a svolgere una (impropria) attività di ‘consulenza’ costituzionale” [[8]]. Per non parlare del fatto che, in ogni caso, la Corte esige anche – e soprattutto – l’esistenza del carattere della c.d. ‘inevitabile lesione’ [[9]], che, francamente, non è così agevole scorgere con riguardo a mere dichiarazioni a mezzo stampa.

In definitiva: che cosa ha deciso la Corte costituzionale? Quasi impossibile, in un caso del genere, immaginare sorprese. Così, i giudici di Palazzo della Consulta ribadiscono la propria giurisprudenza, secondo la quale “nessun elemento letterale o sistematico (…) consente di superare la chiara limitazione soggettiva che si ricava dagli artt. 134 della Costituzione e 39, terzo comma, della citata legge n. 87 del 1953”; precisano – in modo piuttosto univoco – che l’azione suppletiva “è del tutto estranea al nostro ordinamento e la sua prospettazione è quindi inidonea a superare la chiara e inequivoca limitazione soggettiva alla proposizione del conflitto tra enti”; escludono la sussistenza del requisito oggettivo, sottolineando come “la minaccia di lesione” sia “puramente congetturale” e il conflitto sia stato “promosso a fini meramente consultivi”.

La Corte conclude senza usare mezzi termini, definendo l’iniziativa promossa da Codacons come “una forzatura dei meccanismi di instaurazione del conflitto tra enti”, donde la dichiarazione di manifesta inammissibilità del ricorso.

Davvero arduo, alla luce di quanto si è andati dicendo, non concordare con la Corte: un diverso esito, del resto, avrebbe finito per scardinare fondamentali regole logiche, prima ancora che processuali. Le conseguenze di un’eventuale pronuncia di ammissibilità sarebbero state quanto meno rivoluzionarie, dal momento che un’associazione avrebbe potuto, a quel punto, agire in via suppletiva non solo rispetto allo Stato, ma anche rispetto ad ogni singola Regione italiana: il che sarebbe, francamente, assurdo, oltre che eccessivo.

Insomma, se è certamente vero che audentes fortuna iuvat, qui, forse, si è voluto osare un po’ troppo.

* Dottore in Giurisprudenza e Cultore della materia per l’insegnamento di ELP – Global English for Legal Studies presso l’Università di Padova.

[[1]] Il testo completo dell’ordinanza è rinvenibile al seguente link: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2020&numero=175.

[[2]] Pubblicato in G.U., 1a Serie Speciale – Corte costituzionale n.19 del 6 maggio 2020, disponibile al link: https://www.gazzettaufficiale.it/atto/corte_costituzionale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-05-06&atto.codiceRedazionale=20C00110.

È dal testo dell’ordinanza e del ricorso appena menzionati che, d’ora innanzi, saranno tratte tutte le citazioni, ove non diversamente indicato.

[[3]] S. Romano, Frammenti di un dizionario giuridico, 1983, 234: “un cittadino che discute, commenta, critica, senza una particolare competenza e un particolare acume, tanto meno in termini tecnici, ma soltanto al lume del suo buon senso, gli atti o l’inerzia degli uomini di governo (…)”.

[[4]] Il riferimento è a Corte cost., ord. n. 17/1978 (di cui al seguente link: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=1978&numero=17), nonché a Corte cost., ord. n. 256/2016, rinvenibile online all’indirizzo: https://www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2016:256.

[[5]] Così, A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, 2014, 316.

[[6]] In particolare, dall’art. 2 della delibera della Corte costituzionale in sede non giurisdizionale dell’8 gennaio 2020 (G.U. n. 17 del 22 gennaio 2020).

[[7]] Si vedano, a titolo esemplificativo, E. Rossi, L’intervento di terzi nel giudizio in via principale dopo la modifica delle norme integrative, in Rivista AIC, n. 3/2020 (https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/3_2020_17_Rossi.pdf); C. Masciotta, Note a margine delle nuove norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, in Osservatorio sulle fonti, n. 1/2020 (https://www.osservatoriosullefonti.it/archivi/archivio-note-e-commenti/note-e-commenti-n-1-2020/1497-note-a-margine-delle-nuove-norme-integrative-per-i-giudizi-davanti-alla-corte-costituzionale/file);  R. Caridà, Notazioni minime su amici curiae ed esperti nel processo costituzionale, in Giur. cost., n. 3/2020 (https://www.giurcost.org/studi/carida4.pdf); C. Della Giustina, Amicus curiae: dalle origini alle modifiche delle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”, in Osservatorio AIC, n. 3/2020 (https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2020_3_24_DellaGiustina.pdf); A. Pugiotto, Le nuove norme integrative della Corte costituzionale allo stato nascente, in Rivista AIC, n. 2/2020 (https://www.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/2_2020_Pugiotto.pdf).

[[8]] A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 312.

[[9]] Ibidem.

Fonte dell’immagine

Giacomo Menegatto

Nato nel 1995, nel luglio 2019 si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Padova, discutendo una tesi in Storia della costituzione romana, che gli è valsa, oltre alla lode, anche l’attribuzione di una particolare menzione di merito. Ha preso parte, nello stesso anno, ad una spring school presso la George Mason University di Washington DC. Attualmente, è Cultore della materia nell’Università in cui si è formato e svolge la pratica forense principalmente nel campo del diritto amministrativo. È altresì autore di pubblicazioni in riviste e volumi, specie in materia di diritto costituzionale.  

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