martedì, Novembre 12, 2024
Litigation & Arbitration

I danni punitivi nell’ordinamento italiano

Gli articoli 96 c.p.c. e 709 ter c.p.c. costituiscono indubbiamente punti di emersione della più generale categoria dei “danni punitivi”, su cui da tempo, oramai, si concentra l’attenzione di dottrina e giurisprudenza.
Si tratta di somme versate da una parte all’altra, non a titolo riparatorio-compensativo, come comunemente avviene nel sistema di responsabilità civilistico, bensì a titolo sanzionatorio-deterrente, poiché il quantum risarcitorio, lungi dall’essere parametrato rispetto al danno effettivamente subito dal debitore o dal danneggiato, viene invece commisurato in relazione a parametri diversi (quale, in primis, la condotta del danneggiante), per cui la somma dovuta risulta maggiore rispetto alla perdita effettivamente subita dal soggetto leso.

Ciò, a non voler considerare poi che non mancano casi in cui, non è tanto il quantum da risarcire ad essere diversamente parametrato, quanto è piuttosto lo stesso an del pagamento che viene totalmente travisato, poiché la somma risulta dovuta quand’anche nessun danno è stato cagionato.

Tale è, ad esempio, l’ipotesi dell’art 96 c.p.c., considerato che un’esegesi sistematica dei tre commi non tarda a mostrare che il pagamento richiesto ai sensi del terzo comma dell’articolo in esame prescinde da qualsivoglia tipo di danno. La norma infatti, dopo aver stabilito nei primi due commi il risarcimento del danno per lite temeraria, non si esime nel terzo comma dall’affermare che in ogni caso (e cioè anche in assenza di danno), il giudice può altresì (e, dunque, a prescindere dal danno) condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente parametrata (id est, non equipollente rispetto alla perdita subita, ammesso peraltro che una perdita vi sia).

Né sfumatura diversa da quella sanzionatoria potrebbe sostenersi con riferimento all’art. 709 c.p.c., in virtù del quale il giudice, nelle controversie tra genitori nell’esercizio della responsabilità genitoriale o delle modalità di affidamento dei minori, può disporre una sanzione amministrativa di tipo pecuniaria a carico del genitore inadempiente.

Diverse considerazioni vanno invece svolte in merito all’art 614bis c.p.c., in materia di attuazione degli obblighi di fare infungibili e di non fare (nonché in merito alle innumerevoli ipotesi di astreintes previste nel nostro ordinamento giuridico) giacché, come osservato dalla Corte di Cassazione (sent. n. 7613/2015), tali misure non implicano alcuna incompatibilità con l’ordine pubblico interno, stante la loro differente ontologia rispetto ai punitive damages. È noto infatti come esse siano dirette ad indurre il debitore ad adempiere, mediante la previsione di un obbligo di pagamento di una somma crescente con il protrarsi dell’inadempimento e come, pertanto, abbiano finalità meramente coercitiva e non punitiva.

Al di là delle due ipotesi contenute in seno al codice di procedura civile, attenta dottrina, in accordo con parte della giurisprudenza, non ha mancato di rilevare che altri sono i casi in cui sarebbero ravvisabili danni punitivi. A titolo esemplificativo:
– la L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12, che, in materia di diffamazione a mezzo stampa, prevede il pagamento di una somma “in relazione alla gravità dell’offesa ed alla diffusione dello stampato”;
– la l. 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore), art 158, e soprattutto, d.lgs. 2005, n. 30 (codice della proprietà industriale), art. 125, il quale in caso di sfruttamento illegittimo del diritto all’immagine parametra il risarcimento dovuto ai “benefici realizzati dall’autore della violazione”, e consente “la restituzione degli utili in alternativa al risarcimento del lucro cessante nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento”. (A tal proposito, giova a margine osservare che innumerevoli sono stati i tentativi dottrinari di ricondurre tale figura nell’alveo risarcitorio di stampo civilistico, negandone natura sanzionatoria, attraverso la chiamata in causa degli istituti della negotiorum gestio e dell’indebito arricchimento).
– il D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187 undecies, comma 2, (in tema di intermediazione finanziaria), che prevede, nei procedimenti penali per i reati di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, che la Consob possa costituirsi parte civile e “richiedere, a titolo di riparazione dei danni cagionati dal reato all’integrità del mercato, una somma determinata dal giudice, anche in via equitativa, tenendo comunque conto dell’offensività del fatto, delle qualità del colpevole e dell’entità del prodotto o del profitto conseguito dal reato”;
– il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 (artt. 3 – 5), che ha abrogato varie fattispecie di reato previste a tutela della fede pubblica, dell’onore e del patrimonio e, se i fatti sono dolosi, ha affiancato al risarcimento del danno, irrogato in favore della parte lesa, lo strumento afflittivo di sanzioni pecuniarie civili, con finalità sia preventiva che repressiva (il cui importo è determinato dal giudice sulla base dei seguenti criteri: gravità della violazione, reiterazione dell’illecito, arricchimento del soggetto responsabile, opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito, personalità dell’agente, condizioni economiche dell’agente);

Da ultimo, la l. 24/2017 (cd. legge Gelli, in materia di responsabilità medica), art 7, ove si legge che il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, “tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria”.

E’ indiscusso, alla luce delle suddette ipotesi, che il quantum si collega, per la sua funzione, alla condotta dell’autore dell’illecito e non al tipo di lesione del danneggiato e si caratterizza per un’ingiustificata sproporzione tra l’importo liquidato e il danno effettivamente subito.

Da tali esempi, si è voluta trarre la conclusione secondo cui, attualmente, i danni punitivi sarebbero ammissibili come principio generale di diritto civile ed, insieme ad essi, altresì le pene private, quali species di punitive damages, poiché pene comminate da una parte ai danni dell’altra, e non dall’autorità giudiziaria.

Tuttavia, in attesa dell’imminente pronuncia delle SS.UU. della Corte di Cassazione, chiamata a decidere sull’accoglibilità dei danni punitivi nel nostro sistema civilistico, preme osservare che essi si porrebbero in assoluto ed irrimediabile conflitto con la finalità risarcitoria, unica e sola del diritto civile, il quale non ammette che il creditore ricavi dall’inadempimento più di quanto avrebbe ricavato dall’adempimento e ripudia qualsiasi pena privata (species dei punitive damages) che, nella sua genesi, colliderebbe con il dato fattuale della parità delle parti, poiché comminata da una parte a carico dell’altra, nello stridente ossimoro di una pena senza autorità, e nel suo dispiegarsi, al pari di quel che vale per i danni punitivi, si porrebbe in disaccordo con i pilastri fondamentali del diritto civile consistenti: nell’atipicità dei danni (ben sconosciuta al diritto penale, nel quale ogni reato è, e non può non essere, tipico); nella pertinenza al sistema civilistico di forme di responsabilità oggettiva (costantemente ripudiate in materia penale, ove la responsabilità è personale ex art 27 Cost), ed in ultimo, ma non certo per significanza, striderebbe immancabilmente con la regola probatoria di diritto processuale del “più probabile che non” (contrapposta alle dinamiche processuali penalistiche ove campeggia “l’oltre ogni ragionevole dubbio”).

In sostanza, l’accoglimento dei danni punitivi nel sistema civilistico, legittimerebbe ineluttabilmente ed inaccettabilmente una pena in assenza di adeguate garanzie.
È la stessa struttura dell’intero impianto civilistico ad impedire, dunque, che esso guardi al fatto dalla prospettiva del danneggiante (punendo la sua condotta), piuttosto che da quella del danneggiato (ristorando il danno da egli subito).
Che poi voglia e debba ragionevolmente ritenersi che un comportamento più o meno diligente, o più o meno colpevole, si riverberi sulla maggiore o minore entità del danno (in termini morali) causato alla vittima, ciò non toglie che, pure in tale caso la condotta del danneggiante continui a rilevare solo ed unicamente sotto la prospettiva e dal punto di vista del danneggiato, nell’intima coerenza del sistema risarcitorio civilistico.

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