giovedì, Marzo 28, 2024
Criminal & Compliance

Delitto di naufragio: condannato per aver affondato una imbarcazione presa a noleggio

Naufragio, profili normativi e giurisprudenziali

Negli ultimi tempi, grazie al progresso di scienza e tecnica, i commerci navali sono aumentati in maniera esponenziale. Le nuove tecnologie rendono la navigazione più sicura e il verificarsi di sinistri meno frequenti, ma nonostante ciò si sente spesso parlare di naufragio.

Il delitto di naufragio è regolato dall’art. 428 c.p. e recita quanto segue: «Chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di altrui proprietà, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni.

La pena è della reclusione da cinque a quindici anni se il fatto è commesso distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti.

Le disposizioni di questo articolo si applicano anche a chi cagiona il naufragio o la sommersione di una nave o di un altro edificio natante, ovvero la caduta di un aeromobile, di sua proprietà, se dal fatto deriva pericolo per la incolumità pubblica.»

Letteralmente il termine naufragio può essere riferito solo ad imbarcazioni in navigazione, mentre la sommersione riguarda anche le navi ferme nei porti o nei bacini. Nel concetto di sommersione la dottrina ha ricompreso “l’affondamento totale o parziale della nave o di altro edificio natante per effetto del quale la nave, o altra costruzione, già natante, più non galleggi”[1]. Per la configurabilità del naufragio invece, la Corte di Cassazione ritiene sufficiente che l’imbarcazione non sia più in grado di galleggiare e navigare regolarmente, di portare il proprio carico e di navigare con esso. Non è quindi necessario che l’imbarcazione si sia inabissata.[2]

Sul concetto di nave si possono notare delle divergenze interpretative. La Corte di Cassazione[3] ha ricompreso all’interno della nozione di nave, senza fare distinzione di stazza, portata e mezzo di propulsione utilizzato, ogni costruzione idonea al trasporto (salvo quelle atte a trasportare un solo soggetto es. canoa o windsurf). In realtà, come rilevato da autorevole dottrina[4], bisogna tener conto del fatto che il giudice non deve rilevare il danno, ma deve prendere in esame tutte le circostanze del caso concreto, per accertare se il naufragio o la sommersione, assumendo i contorni del disastro, abbia concretamente messo in pericolo la vita o l’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone trattandosi di un’ipotesi delittuosa delineata secondo lo schema dei reati a pericolo presunto. Da ciò discende l’interpretazione[5] secondo cui non può ricomprendersi ogni costruzione idonea al trasporto ma deve necessariamente tenersi conto della possibile lesione dell’incolumità di un numero indeterminato[6] di individui.

Fatte queste premesse semantiche si rende necessario procedere con l’analisi della norma. Ed è ancora dalla semantica che bisogna partire. Il termine “cagionare” utilizzato nell’art. 428 c.p. rende l’idea del reato di evento, determinato da condotte a forma libera. Per questo l’accertamento del nesso di causalità tra una condotta e il naufragio è spesso difficoltoso poiché accade di frequente che l’evento è il risultato di una catena causale, caratterizzata dall’interazione di molteplici fattori riconducibili alla competenza di uno o più soggetti nella quale viene imputato all’agente soltanto l’innesco della causa immediata. A ciò si aggiunge che anche in questi casi è possibile l’applicazione dell’art. 40 comma 2 c.p.; quando ciò avviene il giudizio  controfattuale adoperato dalla Corte sarà di tipo additivo; i giudici valuteranno se l’azione doverosa, imposta da un obbligo giuridico, incidendo sullo svolgimento causale in atto, avrebbe potuto evitare l’evento in base alla miglior scienza ed esperienza.

Riguardo alla natura dolosa del reato è opportuno rilevare che la fattispecie colposa è separatamente contemplata all’interno del codice dall’art. 449 c.p.

Quanto alla esplicitazione del dolo che può portare all’applicazione dell’art. 428 c.p. si può ripercorrere quanto già proposto da autorevole dottrina[7], bisogna porre al centro del nesso doloso la natura pluripersonale del pericolo che è insita nella destinazione del mezzo di trasporto[8].

Intendendo questo tipo di reato come già completamente realizzato sin dalla manifestazione del pericolo per l’incolumità pubblica si esclude la punibilità del tentativo.

L’art. 428 secondo comma c.p., prevede una circostanza aggravante speciale, concernete l’ipotesi in cui gli eventi previsti al primo comma siano commessi “distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne, o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti”. Si tratta di una circostanza applicabile anche al terzo comma che si fonda sulla natura sostanzialmente fraudolenta della commissione del disastro nautico, e che presuppone la realizzazione degli eventi disastrosi.

Nel terzo comma si aggiunge che la qualità di proprietario della nave o dell’aeromobile non   esime il proprietario dalla commissione del delitto, se da questi derivi pericolo per l’incolumità pubblica. Questa interpretazione è anche stata confermata dalla giurisprudenza di merito che ha affermato che rientra nel potere di godere e disporre del proprietario quello di affondare il natante, sempre che non vi sia pericolo per la pubblica incolumità[9].

 

Comandante per un giorno, condannato a un anno e 4 mesi.

La suprema Corte di Cassazione ha svolto un ruolo centrale nel delineare i profili relativi all’applicabilità del delitto di naufragio; è perciò necessario analizzare i profili giurisprudenziali ai fini della completezza e maggiore chiarezza della materia.

La sentenza n. 26272 del 2015 si è espressa in merito al naufragio colposo che ha visto coinvolto un giovane imputato, reo di aver fatto naufragare un natante da diporto a motore denominato Boston Whealers (da lui preso a noleggio e sul quale trasportava sette persone) avendo messo in atto una condotta gravemente colposa consistita nell’uscire in mare con tale imbarcazione nonostante le condizioni meteo-marine avverse e avendo compiuto una scorretta manovra di decelerazione in presenza di mare mosso, con la quale cagionava un immediato imbarco di acqua a prora del natante, con il conseguente totale capovolgimento dello stesso. Sulla base di queste condotte la Cassazione ha confermato la condanna di un anno e 4 mesi inflitta dalla Corte di appello di Livorno.

Il passaggio più interessante della citata sentenza è quello in cui la Corte aggiunge che “il mancato conseguimento della patente nautica da parte dell’imputato e la relativa consapevolezza della propria inesperienza, piuttosto che integrare un’ipotesi di scusabilità della condotta, fosse valsa a sottolineare il più elevato grado di rimproverabilità, nella misura in cui, essendo il Corvi (imputato) consapevole della propria imperizia nella conduzione di natanti, e non conoscendo le caratteristiche dell’imbarcazione condotta, trascurò ugualmente di rientrare in porto o di rimanere all’interno del golfo”. Inoltre, la Corte, ha confermato l’insussistenza della responsabilità del noleggiatore dell’imbarcazione nella dislocazione dei passeggeri all’interno del natante, rimarcando come il Corvi, quale comandante dell’imbarcazione, fosse rimasto del tutto libero di spostare i passeggeri come avesse ritenuto e, in particolare, di rimuovere la presenza a prua, mano a mano che il mare sempre più mosso rischiava di invadere proprio tale parte del natante.

In questa parte della sentenza emerge chiaramente la posizione della Corte sulla figura del comandante: l’imputato viene assimilato in tutto e per tutto ad un professionista pur non avendo conseguito patente nautica. Il fatto stesso di aver personalmente noleggiato il natante lo pone, ad avviso della Giudici, nella posizione di comando con tutti gli obblighi che ne derivano, compreso quello di tutelare l’incolumità dei passeggi a bordo. A questo riguardo, bisogna rilevare però, che se da un lato l’incolumità delle persone va sempre, necessariamente, tutelata è di difficile comprensione come questa possa essere tutelata da un soggetto che (in piena conformità con le disposizioni di legge) può essere completamente inesperto, addossandogli obblighi e doveri che in genere sono attribuiti ad un persona qualificata. L’imputato viene condannato per semplice inesperienza, mentre invece nessuna responsabilità viene attribuita al locatore né per la dislocazione dei passeggeri sul natante, (pienamente condivisibile l’argomentazione a riguardo della Corte) né per non aver impedito l’uscita dell’imbarcazione.

Infine, il Collegio ha confermato la sussunzione della fattispecie nei confini del naufragio colposo di cui all’art 449 c.p. poiché l’imputato si è trovato al comando di un’imbarcazione per sua natura adibita al trasporto di più persone che, naufragando, ebbe a porre in concreto pericolo l’incolumità di numerosi passeggeri.

La Corte ha così argomentato: «al riguardo, è appena il caso di evidenziare l’assoluta irrilevanza della circostanza costituita dalla mancata verificazione di danni o di conseguenze lesive per i passeggeri del natante, essendosi questi ultimi solo accidentalmente salvati (nella maggior parte dei casi, per la perizia natatoria degli stessi), pur avendo obiettivamente corso un grave pericolo di vita, una volta naufragati in mare aperto in condizioni meteomarine severamente avverse. Sotto altro profilo, varrà richiamare l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, ai sensi del quale, ai fini dell’integrazione dell’ipotesi del naufragio (anche ai sensi dell’art. 449 c.p.), è sufficiente che il natante non sia più in grado di galleggiare regolarmente, non essendo richiesto anche il suo inabissamento (e, di conseguenza, la sua perdita), ovvero che, non essendo più in grado di galleggiare regolarmente, risulti inutilizzabile ai fini della navigazione»

Viene ribadito quindi il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui il reato in questione appartiene alla categoria di reati a pericolo astratto. Viene inoltre ribadito che ai fini del perfezionamento del reato non vi è bisogno che la nave si inabissi, ma è sufficiente che non sia più atta alla navigazione.

[1] V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, 1983.

[2] Cass. Pen. Sez. I, sentenza n. 325, 20 novembre 2010.

[3] Cass. Pen. Sez. IV, sentenza n. 852, 24 aprile 1963.

[4] Secondo l’opinione di S. Corbetta, Delitti contro l’incolumità pubblica, i delitti di comune pericolo mediante violenza, in Trattato di diritto penale, Parte speciale, diretto da Marinucci e Dolcini, 2003.

[5] Già proposta da M. Ardizzone, Naufragio, disastro aviatorio, disastro ferroviario, in Digesto penale, 1994.

[6] Indeterminatezza che, ovviamente, non è esclusa dalla eventuale predeterminabilità del numero di passeggeri a bordo, tenendosi dovendosi comunque tenere conto del fatto che non è possibile prevedere quante e quali delle persone presenti in quel momento saranno effettivamente colpite.

[7] A. Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, i reati di comune pericolo mediante violenza, Trattato di diritto penale, parte speciale, diretto da Grosso, Padovani e Pagliaro, 2008.

[8] Tenendo presente quanto ricordato in precedenza in relazione al concetto di “nave”.

[9] Tribunale di La Spezia, 1° luglio 1998.

Davide Carannante

Davide Carannante, 23 anni, laureato in giurisprudenza alla Federico II di Napoli con una tesi in diritto penale dal titolo "omissioni e colpe nel diritto penale marittimo".

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