sabato, Aprile 20, 2024
Labourdì

Delocalizzazione e dumping sociale: breve analisi del caso Embraco e prime risposte italiane

A cura di Vittoria Ziviello

Sono ormai trascorsi diversi mesi da quando la vicenda Embraco si è insinuata con prepotenza nell’occhio del ciclone mediatico.
L’azienda brasiliana del gruppo Whirpool , decise di licenziare 500 dei suoi dipendenti dello stabilimento italiano sito in provincia di Torino, a Riva di Chieri, e di trasferire in Slovacchia il complesso che si occupa della produzione di compressori per frigoriferi.
La condotta imprenditoriale in questione, è da ritenersi senza dubbio sintomatica di un sempre più diffuso atteggiamento posto in essere dalle grandi multinazionali; si tratta del fenomeno della delocalizzazione.

Esso si sostanzia nel trasferimento di uno o più rami d’azienda ( o complessi produttivi), verso aree dell’Eurozona dove il costo di produzione, e soprattuto di manodopera è più basso. In particolare, quello che le imprese come la Embraco cercano di conseguire, tramite la delocalizzazione, è una considerevole riduzione di costi di produzione, specialmente di quelli legati al fattore lavoro. E poichè nell’ambito del ciclo produttivo non tutte le fasi richiedono lo stesso apporto di manodopera, si sta verificando in misura sempre più consistente, che vengano delocalizzate solo alcune fasi della produzione, quelle ,appunto, che richiedono più personale.

E’ questo quanto accaduto allo stabilimento di Torino.
Il Governo, però, non è rimasto estraneo a questa vicenda e, rappresentato dall’ ex Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, ha cercato di intraprendere delle trattative proficue con l’azienda, al fine di tutelare il più possibile la posizione dei lavoratori.
Inizialmente l’atteggiamento della multinazionale si è rivelato di pressochè totale chiusura verso qualsiasi tentativo di raggiungere un accordo, insieme ai sindacati, per la formazione di contratti gestionali difensivi; questi avrebbero consentito ai sindacati di frazionare e ridurre l’orario di lavoro, o in limine di regolamentare la corresponsione delle integrazioni salariali peri lavoratori, in luogo del licenziamento.
Embraco rispose offrendo di riassumere tutti i lavoratori con contratti “part-time” fino al mese di novembre. Si trattava però di una proposta, come non ha mancato di specificare l’ex Ministro, assolutamente svantaggiosa per i lavoratori dipendenti, in quanto la riassunzione avrebbe determinato un azzeramento dei contributi e dell’anzianità di servizio.
Un primo spiraglio per la risoluzione di questa vicenda, si è avuto con il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), presieduto sia da Calenda che dall’ ex Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e da Margrethe Vestager,il commissario europeo per la concorrenza, dal quale l’Italia è riuscita ad ottenere 4,6 miliardi di euro da destinare al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, proprio con l’intento di costituire uno strumento “ ad hoc” per contrastare i casi come quello della Embraco.
Sempre nell’ottica della possibile costituzione di “fondi anti-delocalizzazione”, l’ex Ministro Calenda, nel portare la questione Embraco all’attenzione delle istituzioni europee, ha specificato anche che è sicuramente opportuno capire prima quale possa essere il perimetro entro cui dare applicazione ad una misura di questo tipo. Infatti, la costituzione di pacchetti di finanziamento localizzativi offerti da uno Stato a condizioni più favorevoli, necessita naturalmente di un controllo circa la conformità alla normativa in materia di aiuto di Stato , ma anche di poter andare oltre. Questo è il motivo per cui i 4,6 miliardi di euro ottenuti dall’Italia possono costituire soltanto la fase embrionale di un vero e proprio fondo anti-delocalizzazione, sul modello di già esistenti esperienze in altri paesi europei.
Il problema della delocalizzazione, peraltro, interseca fortemente quello delle pratiche di dumping sociale, in materia di concorrenza sleale. Anche questo è un tema di grandissima attualità, rispetto al quale le istituzioni europee non sono affatto indifferenti. In base alla definizione data a livello europeo, infatti, questo fenomeno <<copre un’ampia gamma di pratiche intenzionalmente abusive (…) che permettono lo sviluppo di una concorrenza sleale, riducendo illegalmente i costi operativi e legati alla manodopera e danno luogo a violazioni dei diritti dei lavoratori>>. Le pratiche di dumping sociale ostacolano l’armonizzazione del mercato europeo, motivo per il quale, la stessa UE si propone di contrastarle.

In merito si è espresso anche il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, il quale ha ribadito la necessità di un forte intervento a livello intracomunitario per quanto riguarda le pratiche di dumping; queste sono infatti ritenute dannose per l’armonizzazione del mercato europeo, e per tanto, vanno ostacolate.
Circa un mese fa, il caso Embraco è finalmente riuscito a vedere una conclusione. Due aziende hanno presentato i loro progetti di investimento per la reindustrializzazione della Embraco, salvando tutti i posti di lavoro <<con gli stessi diritti e le stesse retribuzioni, senza nessun supporto di denaro pubblico>>. Così l’ex Ministro Calenda presenta la buona riuscita dell’operazione di salvataggio, condivisa anche dai sindacati. Dei 497 dipendeti, circa 70 hanno lasciato l’azienda con gli incentivi offerti dalla multinazionale, 350 saranno assunti da un gruppo israeliano-cinese che produce robot per la pulizia di pannelli fotovoltaici, e infine, altri 40 andrebbero alla torinese Astelav, che effettua riparazioni di frigoriferi usati.

Fonti:

  1. Interrogazione parlamentare alla Commissione UE – Parlamento Europeo 15 marzo 2018 “Delocalizzazione selvaggia verso l’Est Europa. Urge intervento della Commissione per frenare il dumping sociale nell’UE” – testo completo disponibile qui
  2. Art. 107/ 108 TFUE – “Aiuti di Stato” http://www.politicheeuropee.gov.it/it/attivita/aiuti-di-stato/

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