giovedì, Marzo 28, 2024
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Delocalizzazione e sindacati – la vicenda Embraco

A cura di Vittoria Ziviello

Il presente articolo si propone di approfondire la vicenda sindacale sottesa al caso che ha visto protagonista, negli scorsi mesi, la multinazionale brasiliana del gruppo Whirpool. La panoramica generale del caso Embraco è esposta qui: https://www.iusinitinere.it/delocalizzazione-dumping-sociale-embraco-11157

Quando la società brasiliana del gruppo americano ha deciso di spostare il suo ramo produttivo in Slovacchia, dove il costo della manodopera è più basso, il governo italiano e i sindacati dei lavoratori sono intervenuti su diversi fronti per tentare un dialogo con la multinazionale. Dopo i primi tentativi infruttuosi di negoziazione, l’ex Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, coadiuvato dai rappresentanti di diversi sindacati di settore, nonché dal sindacato confederale UIL, è riuscito nell’intento di mettere al riparo le garanzie dei dipendenti, assicurando a tutti un sicuro reimpiego, nel caso in cui dovessero fallire i progetti di reindustrializzazione.

Ma come si è approdati a questa soluzione?
Non si è trattato sicuramente di un percorso facile, ma al contrario, lungo e irto di difficoltà. Trascorsi i primi mesi dall’annuncio dei licenziamenti collettivi di quasi 500 dipendenti da parte di Embraco,  i sindacati e il governo non erano ancora riusciti a trovare degli accordi risolutivi che tutelassero i lavoratori. Nel frattempo, i vertici si sono mobilitati su un doppio binario: mentre a Roma si teneva una riunione del Comitato Interministeriale per la programmazione economica (Cipe) – incontro formale al quale ha partecipato anche Margrethe Vestager (commissario europeo per la concorrenza), dal quale l’Italia è riuscita a ottenere 4,6 miliardi destinati al Fondo per lo Sviluppo e la Coesione – a Torino è stata indetta – in contemporanea – l’assemblea generale dei metalmeccanici. All’assemblea erano presenti più di 1000 delegati di Fim, Fiom e Uilm riunitisi per conoscere gli esiti del confronto a Roma e per definire il loro intervento. Carmelo Barbagallo, segretario generale UIL, era l’unico esponente di un sindacato confederale, e in tale occasione ha fatto da tramite fra Torino e Roma. La sua posizione in merito alle prime negoziazioni con la multinazionale non si è fatta attendere; egli infatti ha fatto presente l’opportunità di rendere più onerosa la delocalizzazione per le multinazionali, imponendo loro di restituire, altrimenti, tutti i benefici economici ottenuti dallo Stato che intendono abbandonare. Lo scorso marzo l’ex ministro Calenda è intervenuto all’assemblea dei lavoratori dello stabilimento di Riva di Chieri, all’ indomani dell’intesa raggiunta presso il Ministero per lo Sviluppo Economico, che ha congelato fino a fine anno i licenziamenti e prevedeva l’avvio di un processo di  reindustrializzazione dello stabilimento torinese. Il “congelamento” dei licenziamenti è stata però solo una tappa per la risoluzione della vicenda Embraco. I lavoratori dell’azienda brasiliana dovranno infatti aspettare ancora altri due mesi per vedere una soluzione definitiva: due aziende hanno presentato i loro progetti per la reindustrializzazione della multinazionale, salvando tutti i posti di lavoro e reimpiegandoli.

Come sappiamo, la vicenda Embraco ha richiamato l’attenzione delle istituzioni europee, le quali si sono espresse con un chiaro messaggio per i grandi imprenditori che delocalizzano: <<non è questo il modo giusto di investire in Europa>>. Infatti, tutte le attività imprenditoriali che incidono sul territorio unionale e dell’Eurozona devono agire sempre in ossequio alle quattro libertà fondamentali sancite alla nascita della CEE e garantite dall’ordinamento giuridico dell’Unione Europea (libertà di circolazione di persone, merci, servizi e capitali); tuttavia, questi principi non possono e non devono diventare un mezzo che giustifichi pratiche di dumping sociale e fiscale all’interno dell’UE. I fenomeni di delocalizzazione industriale, scaricando sui lavoratori il peso del risvolto patologico della libera circolazione delle imprese, finiscono per divenire collettore per evidenziare storture e disparità dei sistemi economici nazionali, trasformando il mercato del lavoro in un gioco al ribasso privo di connotazioni sociali.

Alla luce di queste considerazioni, non è difficile capire che l’Italia, per poter contrastare la manovra di dumping, non avrebbe potuto tagliare il costo della manodopera, poiché in quel caso avrebbe posto in essere un aiuto di Stato, vietato ai sensi dell’art. 107 TFUE. La normativa in materia prevede infatti che per qualificare un intervento quale “aiuto di stato” sia necessario e sufficiente qualsiasi vantaggio concesso dallo stato all’impresa che arrechi un beneficio economico, altrimenti non percepito e pertanto potenzialmente suscettibile di violare il principio di libera concorrenza. Questo è il motivo per il quale il coinvolgimento dell’Europa è stato obbligatorio.
Da ultimo occorre precisare come vada in  questa direzione anche la norma anti-delocalizzazione contenuta nel “decreto dignità” di recente approvazione. In tale disposizione è in particolare stabilito che le imprese italiane ed estere operanti nel territorio nazionale , che abbiano beneficiato di incentivi ed agevolazioni pubbliche, dovranno impegnarsi a non delocalizzare per cinque anni. La violazione di tale divieto comporterebbe, infatti, la totale perdita delle agevolazioni e incentivi pubblici di cui hanno goduto e in più dovranno anche pagare un’ingente sanzione (che può andare da due a quattro volte l’importo degli aiuti ricevuti). Questa normativa è di valida applicazione anche per l’iperammortamento Industria 4.0, in ragione del quale è stabilito che le imprese che abbiano acquistato, mediante agevolazione, macchinari digitali, non possano cederli ad altri soggetti o destinarli ad attività produttive fuori dall’Italia, sanzionando la trasgressione con la decadenza dall’ammortamento (nella misura del 250%) e con l’obbligo di restituzione di quanto ricevuto a titolo d’agevolazione.
In conclusione possiamo senz’altro affermare che la vicenda Embraco assurge a caso emblematico di tutte le possibili (e negative) ripercussioni che può avere il fenomeno della delocalizzazione. Non resta che auspicare interventi legislativi mirati che, nell’ottica di promuovere investimenti produttivi ed industriali su tutto il territorio nazionale, esplorino soluzioni atte a rendere il mercato del lavoro italiano maggiormente impermeabile ai fenomeni di dumping salariale e sociale.

Fonti:

– Artt. 107/108 TFUE – Aiuti di Stato

– Decreto Legge 12 luglio 2018 n.87- Capo II, art. 5- Misure per il contrasto alla delocalizzazione e la salvaguardia dei livelli occupazionali”

Fonte immagine: www.ansa.it

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