venerdì, Aprile 19, 2024
Diritto e Impresa

Denominazione Comune Internazionale e marchi farmaceutici

DIVERSE NOMENCLATURE

Il panorama delle nomenclature che possono essere utilizzate per indicare i farmaci è molto varia:

  • Nome chimico es. N-(4-idrossifenil)acetamide. È evidente la sua scarsa spendibilità comunicativa ad eccezione dell’ambito tecnico scientifico specialistico.
  • Nome generico ufficiale es. paracetamolo. Questa definizione rileva per la prescrizione e vendita di farmaci equivalenti che contengono il medesimo principio attivo.
  • Nome commerciale, cd. trade name es. Tachipirina. La denominazione commerciale è fondamentale per attrarre il pubblico dinnanzi ad una vasta offerta di medicinali. Si tratta di un vero e proprio marchio sottoposto alla disciplina del diritto industriale.

DCI

La Denominazione Comune Internazionale (DCI o INNs: International Non Proprietary Names) è un linguaggio comune promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per identificare i farmaci, prescindendo dal nome commerciale che viene scelto da ogni produttore. Si tratta in pratica della denominazione chimica del principio attivo, riportato solitamente in caratteri piccoli sotto il nome commerciale. A livello internazionale la prescrizione tramite la DCI è molto discussa perché non favorirebbe i marchi commerciali.

OMS E RISOLUZIONE WHA46.19

La OMS esercita questa funzione di nomenclatura dal 1953. Nello specifico, la 46esima Assemblea mondiale della Sanità (World Health Assembly – WHA) tramite la risoluzione WHA46.19 richiese agli Stati membri di adottare normative che garantissero l’uso della DCI, di incoraggiare i produttori ad utilizzare la DCI dopo la scadenza del brevetto, di sviluppare linee guida per la protezione della DCI e scoraggiare l’uso di nomi derivanti da termini individuati dalla DCI.

VANTAGGI DELLA DCI

La DCI ha numerosi vantaggi:

  1. Non confligge con i marchi perché le case farmaceutiche possono continuare a vendere i loro prodotti utilizzando nomi commerciali. Inoltre, il brevetto di un principio attivo consente di avere il diritto esclusivo di sfruttamento (produzione, vendita, utilizzo) sull’invenzione per una durata di “20 anni a decorrere dalla data di deposito della domanda e non può essere rinnovato, né può essere prorogata la durata” ex articolo 60 del D. Lgs 30/2005 (Codice della proprietà industriale). In questo modo vengono ricompensati gli importanti investimenti in ambito di ricerca.
  2. Permette una maggiore reperibilità dei farmaci in qualsiasi luogo del mondo tramite una migliore comunicazione.
  3. Aumenta la sicurezza poiché l’uso scorretto dei brands può determinare confusione (basti pensare che per indicare il paracetamolo in Italia vi sono 26 nomi commerciali), l’accumulo a casa di medicine equivalenti e l’assunzione inconsapevole dello stesso farmaco in maniera ripetuta.
  4. Permette di ricordare meglio il farmaco: si tratta di nomi distinti nel suono e spelling in modo da non creare confusione con parole di uso comune. Es. sostanza anti-diarroica: loperamide; nomi usati da case farmaceutiche: Imodium, Dissente, Diarstop, Lopemid.
  5. Diminuisce l’affidamento al solo nome commerciale

DCI: UE E ITALIA

L’articolo 1, 21) della Direttiva 2001/83/EC recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso mano definisce la denominazione comune come”la denominazione comune internazionale raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità ovvero in mancanza di essa, la denominazione comune consuetudinaria“, recipito poi all’articolo 1 del  D. Lgs 219/2006 come segue: “la denominazione comune internazione raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), di norma nella versione ufficiale italiana o, se questa non è ancora disponibile, nella versione inglese; soltanto in mancanza di questa, è utilizzata la denominazione comune consuetudinaria“.

L’articolo 1, 20) della Direttiva 2001/83/EC fornisce una definizione di denominazione del medicinale” ed è stato invece recepito senza modiche dal decreto legislativo di cui sopra: “la denominazione, che può essere un nome di fantasia ovvero una denominazione comune o scientifica corredata di un marchio o del nome del fabbricante; il nome di fantasia non può confondersi con la denominazione comune“.

MARCHI FARMACEUTICI

L’ordinamento italiano non prevede una specifica normativa per il settore farmaceutico: si applicano le disposizioni del D. Lgs 30/2005 (Codice della proprietà industriale, di seguito: CPI) e si rimanda spesso alla giurisprudenza in materia.

I marchi farmaceutici sono definiti “forti” se rimandano a nomi di fantasia. La maggior parte dei farmaci però riporta marchi per definizione “deboli” poiché cercano di rimandare al principio attivo o agli effetti terapeutici, derogando al principio generale dell’articolo 13 del CPI secondo cui “Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio i segni […] costituiti esclusivamente dalle denominazioni generiche di prodotti o da indicazioni descrittive che ad essi si riferiscono“.

La giurisprudenza italiana è passata da una rigida interpretazione del rischio di confusione, ad un riconoscimento più flessibile della distinzione di marchi tendenzialmente simili nel nome.

A livello internazionale l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha istituito il Name Review Group per effettuare la revisione dei nomi dei marchi farmaceutici e rilevare eventuali criticità che possono nascere non solo dall’uso di nomi di fantasia, ma anche da nomi comuni o scientifici connessi ad un marchio o al nome del titolare dell’autorizzazione all’immisione in commercio del farmaco. In particolare, il nome non deve generare confusione nella stampa, scrittura a mano o pronuncia, né nell’indicazione della sua composizione. Inoltre, è vietato che sia offensivo in qualsiasi lingua ufficiale dell’Unione europea e non deve comunicare messaggi di promozione fondati sulle caratteristiche del medicinale.

ITALIA: DCI E FARMACI GENERICI

In Italia la prescrizione per principio attivo è possibile per i farmaci senza brevetto,  cd. generici o equivalenti, ex L. 425/96 e L. 405/2001, ma non formalmente per i farmaci con brevetto.

I farmaci generici non coincidono con la DCI. Infatti, alcuni generici hanno spesso come nome commerciale la DCI spesso accompagnata da una sigla (esempio: il principio attivo è il diclofenac, il nome commerciale è Diclofenac MG). I generici sono copie di farmaci già commercializzati: contengono la stessa sostanza, forma e dosaggio. Ne è fonte giuridica l’articolo 1 co. 2 e 3 della L. 425/96 che li definisce come “a base di un medesimo principio attivo per i quali è prevista uguale via di somministrazione e che presentano forma farmaceutica uguale o terapeuticamente compatibile con documentata bioequivalenza, anche se con diversa concentrazione del principio attivo” e che sono “prodotti industrialmente, non protetti da brevetto o dal certificato protettivo complementare di cui alla legge 19 ottobre 1991, n. 349, e al regolamento CEE n. 1768/1992“. Inoltre, l’articolo 1 bis della L. 149/2005 determina una modifica terminologica: dai farmaci generici si passa ai “medicinali equivalenti” che sono designati come tutti i medicinali, “ad esclusione di quelli che hanno goduto di coperture brevettuale“.

La procedura per ottenere l’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) dal Ministero della Sanità di farmaci generici è abbreviata perché si richiede solo la prova di bioequivalenza al farmaco che si intende copiare. Le aziende che producono generici, non avendo sostenuto spese per la ricerca, ai sensi dell’articolo 1 della L. 425/96 devono vendere il farmaco ad un prezzo “almeno del 20% inferiore a quello della corrispondente specialità medicinale“, cioè rispetto al marchio di riferimento. Come si può notare, la normativa di riferimento in tema di farmaci equivalenti è legata spesso alle Leggi finanziarie dal momento che la suddetta regolazione ha l’obiettivo di contenere la spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale.

 

 

Elisabetta Colombo

Elisabetta Colombo, in concomitanza agli studi accademici presso la facoltà di Giurisprudenza dell'Università degli Studi di Milano, è attualmente attiva nell'associazione internazionale ELSA (The European Law Students' Association) con la nomina di Presidente di ELSA Milano ed inoltre lavora nel Team for External Relations di ELSA Italia. Nel febbraio 2016 si è aggiudicata il quarto posto all'ICC International Commercial Mediation Competition e a novembre il primo classificato alla II National Negotiation Competition organizzata da ELSA Italia. Ricopre la carica di Head of Organizing Committee della III edizione della National Negotiation Competition che sarà ospitata da ELSA Milano questo novembre. Con l'incarico di National Coordinator e Researcher del Legal Research Group internazionale sul tema dell'European Compliance Benchmark ha approfondito la relativa tematica coordinando al contempo il gruppo di lavoro italiano giungendo dunque alla pubblicazione del lavoro lo scorso maggio.

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