domenica, Dicembre 1, 2024
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Denunce di plagio “famose”: il caso del Gabibbo

Ebbene sì, neanche la rossa mascotte del celebre programma di Mediaset “Striscia la Notizia” è riuscita a scampare ad un’accusa di plagio, illecito consistente nell’appropriazione, tramite copia totale o parziale, della paternità di un’opera dell’ingegno altrui e che, negli ultimi anni, ha dimostrato essere “di tendenza”. Caso ha voluto che le accuse verso il “nostro” Gabibbo, posto dall’ideatore del programma “Striscia la Notizia” Antonio Ricci ad emblema dello stesso, provengano non solo da fonti nazionali ma anche dagli Stati Uniti d’America.  In aggiunta a ciò, si evidenzia che la vicenda giudiziaria che si va ad esporre non soltanto si è sviluppata a partire da accuse provenienti da due distinte parti ma che la situazione era tanto complessa e il “rumore” provocato dalla stessa tanto consistente da far sì che per avere una risoluzione del caso è stato necessario per ben due volte l’intervento della Suprema Corte di Cassazione, il tutto per una durata complessiva di quasi 17 anni.

Il tutto ebbe inizio nel 2002 quando la società italiana ADFRA s.r.l. (nella qualità di licenziataria della soc. CEI Crossland Enterprises Inc., a sua volta mandataria per lo sfruttamento dei diritti sugli emblemi e segni distintivi di cinquantaquattro università statunitensi), insieme alla Western Kentucky University ed alla Crossland Enterprises Inc (CEI) (intervenute l’anno successivo), oltre che al privato Sig. Ralph Carey (ex-studente della WKU) chiamò in giudizio innanzi al Tribunale di Ravenna le società RTI Reti Televisive Italiane S.p.A., Mediaset S.p.A., Fininvest S.p.A., Copy S.p.A. e Giochi Preziosi S.p.A.. Motivo della detta chiamata in giudizio era l’utilizzo da parte di quest’ultime del pupazzo “Gabibbo” (mascotte del programma Mediaset “Striscia la Notizia”), uso che, secondo le parti istanti, integrava la fattispecie di plagio e/o contraffazione ai danni della mascotte sportiva dell’università americana Western Kentucky University (la quale asseriva di essere titolare del diritto d’autore sulla stessa, creata per suo conto dall’ex-studente Sig. Ralph Carey) e nota con il nome di “Big Red”, descritta come un grande pupazzo “dalle sembianze di umanoide, rivestito di una sorta di pelliccetta di color rosso uniforme, con una grande testa su cui fanno bella mostra due grandi occhi con pupilla nera sormontati da sopracciglia nere piuttosto marcate ed una larghissima bocca” [1].

Scopo delle istanti era ottenere:

  1. L’accertamento che il pupazzo “Gabibbo” costituiva violazione dei diritti di autore, sia morali che patrimoniali, sul personaggio “Big Red”;
  2. che fosse inibito alle convenute tutte la prosecuzione dell’utilizzo del pupazzo “Gabibbo” sotto qualsiasi forma;
  3. che fosse ordinata la distruzione di tutti i prodotti e le confezioni raffiguranti l’immagine del “Gabibbo”, nonché di tutto il materiale promozionale ad esso richiamante.
  4. la condanna di tutte le convenute, in solido, al risarcimento dei danni, pari ai profitti conseguiti tramite l’utilizzo del pupazzo “Gabibbo”;
  5. la fissazione di una penale pari ad euro 50.000,00 per ogni violazione successiva.

Il Tribunale di Ravenna, tuttavia, con sentenza n. 129/2007, depositata in data 11 dicembre 2007, respingeva tutte le domande proposte dalle ricorrenti adducendo l’insussistenza della contraffazione da esse lamentata. Tale esito, tuttavia, non ebbe l’effetto di “scoraggiare” le istanti, le quali proponevano distinti appelli (Western Kentucky University e Crossland Enterprises Inc. da una parte e ADFRA (che successivamente mutava ragione sociale in X.L.A.C.M.G.1 s.r.l.) dall’altra) in cui, sostenendo l’errato convincimento del tribunale suddetto, riproponevano innanzi alla Corte di Appello di Bologna tutte le domande già proposte in primo grado. Successivamente alla riunione dei distinti appelli in un’unica causa nel 2008, la Corte d’appello di Bologna, con sentenza n. 609 del 2011 emanava sentenza di rigetto delle domande proposte dalle parti ricorrenti motivando che la mascotte “Big Red” non possiede livelli di creatività tali da consentirne la protezione come diritto d’autore e che, comunque, tra i due pupazzi vi sono differenze estetiche che portano ad escludere la contraffazione da parte del “Gabibbo” e, di conseguenza condannava le appelanti al rimborso delle spese del grado in favore degli appellati, confermando in tal modo la sentenza emessa dal Giudice del primo grado.

Quale conseguenza a ciò, la Western Kentucky University, la Crossland Enterprises inc. ed il privato Sig. Ralph Carey adivano, quindi, la Suprema Corte di Cassazione contestando, oltre alle motivazioni addotte dalla Corte di Appello di Bologna (tra cui spicca la succitata), il fatto che quest’ultima non avesse tenuto debito conto dell’intervista rilasciata dall’autore del pupazzo “Gabibbo”, il Sig. Antonio Ricci, ad un settimanale italiano (Novella 2000) ove sarebbe contenuta la confessione del plagio.

La Suprema Corte, rilevando l’inammissibilità della prima contestazione a fronte del fatto che il pupazzo Big Red non raggiungeva la soglia della creatività minima per la tutela (non essendo quindi particolarmente originale) e, altresì, negando la natura confessoria dell’intervista rilasciata nel febbraio 1991 dall’ideatore del pupazzo “Gabibbo” Sig. Antonio Ricci [2] con sentenza n. 503 del 03/11/2016, depositata in data 11/01/2017 [3], rigettava il ricorso e condannava le parti ricorrenti alle spese del grado, sancendo così la fine del c.d. “primo filone” della vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto il predetto “Gabibbo”.

La vicenda non poteva, tuttavia, dirsi conclusa. Mentre al Corte di Appello di Bologna era impegnata a dirimere la controversia suddetta, il Sig. Ralph Carey (ricordiamo, l’ideatore del pupazzo “Big Red”) con atto di citazione notificato il 5 novembre 2009 conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, RTI-Reti Televisive Italiane s.p.a., Copy s.p.a., Antonio Ricci, e Mediaset s.p.a. chiedendo:

  • in via principale, l’accertamento del plagio della propria creazione;
  • In via subordinata, l’attore chiedeva la condanna dei responsabili al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, da lui subiti.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 4145/2012, accoglieva la domanda, da un lato accertando che il pupazzo “Gabibbo” costituisce plagio evolutivo del pupazzo “Big Red” e, dall’altro, condannando i convenuti (eccetto Mediaset s.p.a., della quale dichiarava il difetto di legittimazione passiva) al risarcimento dei danni per l’importo totale di euro 200.000,00, oltre interessi legali. In risposta a tale pronuncia le parti soccombenti adivano la Corte di Appello di Milano la quale, con sentenza n. 525/2014, depositata il 6 febbraio 2014 [4], accoglieva l’appello e rigettava le domande proposte dal Sig. Carey ritenendo insussistente tanto il plagio semplice, inteso come identica riproduzione dell’opera originaria, quanto il plagio evolutivo, inteso come “l’abusiva e non autorizzata rielaborazione” dell’opera, asserendo che nel pupazzo “Gabibbo”, anche se “più giovane” rispetto al pupazzo “Big Red”, è riscontrabile un livello di originalità creativa tale da renderlo comunque un’opera differente.

Ralph Carey propose, quindi, ricorso in Cassazione, adducendo, quali motivazioni principali:

  1. L’errore commesso dalla Corte di Appello di Milano nell’escludere la sussistenza del plagio semplice e della contraffazione,
  2. L’ulteriore errore commesso, sempre dalla detta Corte di Appello, nell’escludere la sussistenza del plagio evolutivo;
  3. l’omesso esame dell’intervista “confessoria” dell’inventore del Gabibbo, il Sig. Antonio Ricci.

A tale ricorso, la Suprema Corte diede seguito con l’emanazione dell’ordinanza n. 14635 del 2018 [5], in cui, oltre a rinviare il processo alla Corte di Appello di Milano, mentre rigettava la prima motivazione addotta dal ricorrente Sig. Ralph Carey essendo, a suo avviso, ben motivata nella sentenza d’appello la ragione dell’esclusione della sussistenza del plagio e della contraffazione nella situazione in oggetto, accoglieva le restanti due censurando le parti della sentenza della Corte di Appello di Milano ad esse relative. In riferimento alla sussistenza o meno del plagio evolutivo, la Suprema Corte ha infatti censurato quella parte della sentenza di appello che motiva l’esclusione del plagio evolutivo con l’originalità del pupazzo “Gabibbo”, non essendo l’originalità dell’opera derivata ad escludere la sussistenza della detta fattispecie di plagio, quanto il fatto che non vi è stato alcun tipo di abuso della rielaborazione dell’opera originaria, il pupazzo “Big Red”. Rammenta la Corte, infatti, che il plagio evolutivo costituisce “un’ipotesi più complessa del fenomeno plagiario in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitatativa o riproduttiva dell’originaria, per il tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento eseguito su quest’ultima, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva e non autorizzata rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 della legge n. 633 del 1941”[6] [7].

In merito all’omesso esame dell’intervista dell’inventore del pupazzo “Gabibbo”, tale omissione per la Cassazione configura un mancato esame di un fatto “certamente decisivo per la controversia”, ciò data la rilevanza, in tema di prove, della confessione stragiudiziale la quale, rammenta la Suprema Corte: “è diretta a veicolare nel processo un fatto storico dubbio, in riferimento al quale la dichiarazione del confitente è destinata a fare chiarezza, sicché essa va valutata dal giudice di merito ai fini dell’accertamento del plagio evolutivo” [8].

In pratica, il pupazzo “Gabibbo” è salvo, ciò in quanto la Suprema Corte ha, sì rinviato alla Corte di Appello di Milano la questione, ma ha anche, allo stesso tempo, escluso la sussistenza della fattispecie di plagio e/o contraffazione dalla situazione oggetto della controversia. Potrà dirsi, al massimo, che “ha soltanto rinviato parte del giudizio alla Corte di appello di Milano perché sia riesaminata l’ipotesi di una mera ispirazione tratta dal Big Red per la creazione del Gabibbo” [9]. Conseguentemente, pare ragionevole affermare  che, nonostante la sentenza della Corte di Appello di Milano sia ancora attesa, la situazione sembra essere volta per il meglio per il nostro “Rosso”.

[1] Cassazione civile, sez. I, 11/01/2017, (ud. 03/11/2016, dep.11/01/2017), n. 503, disponibile qui: http://tonucci.com/wp-content/uploads/2017/02/Sentenza-n.-503-3.pdf

[2] cfr. Eric Sylvers, “Battaglia legale per il Gabibbo un ateneo Usa contro Mediaset” disponibile qui: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/02/28/battaglia-legale-per-il-gabibbo-un-ateneo.212battaglia.html

[3] v. nota 1.

[4] Sentenza n. 525/2014 della Corte di Appello di Milano.

[5] Ordinanza n. 14635 del 2018 Corte di Cassazione.

[6] v. supra.

[7] artt. 4 e 18 della Legge sul diritto d’autore del 22 aprile 1941, n. 633, disponibile qui: http://interlex.it/testi/l41_633.htm

[8] v. nota 5

[9] cit. articolo, “La bufala del plagio del Gabibbo”, di REDAZIONE, 07/06/2018, disponibile qui: https://www.giornalettismo.com/bufala-plagio-gabibbo/

 

Valentina Ertola

Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico ("L'Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità"). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l'università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l'Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l'area "IP & IT".

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