martedì, Aprile 16, 2024
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Design e sperimentazione: un nuovo approccio alle politiche pubbliche

Negli ultimi anni la parola design è iniziata ad apparire negli stessi testi, lezioni, ricerche e dibattiti nei quali si trovavano spiegazioni su come le politiche pubbliche, i servizi pubblici, e l’innovazione nel governo potessero migliorare la qualità della vita delle persone, attraverso un riassetto delle amministrazioni statali basato su concetti innovativi come quello del design thinking, che verrà analizzato di seguito.

Come si spiega questo concetto?

In questo articolo tracceremo una panoramica introduttiva sull’offerta del design basato come uno degli approcci per cambiare il modo in cui le politiche e i servizi pubblici vengono progettati ed erogati oggi dai governi nazionali, regionali e locali. In risposta a un contesto sociale incerto, caratterizzato da tecnologie in crescita esponenziale, una rete di laboratori e agenzie si sono posti la sfida su come trasformare le strutture pubbliche ormai statiche e obsolete cambiandone radicalmente gli strumenti utilizzati e gli attori coinvolti nei processi di policy making. Per tracciarne brevemente la genesi, il fenomeno nasce in risposta da una parte, a una situazione di necessità socio-economica e, dall’altra, a un assetto di competenze diffuse mirate alla risoluzione dei problemi.

Infatti, la situazione socio economica di crisi globale ha portato a una graduale riduzione dei servizi di welfare[1] e quindi alla mancanza di politiche pubbliche attive. Questa tendenza ha dato vita all’insoddisfazione dei cittadini che hanno richiesto sistemi sempre più efficienti capaci di rispondere ai bisogni contingenti. La pressione dal basso si è consolidata sempre di più in fenomeni come la sharing economy ovvero servizi di welfare privati basati sulla condivisione di beni tra i consumatori. A questa onda che ha caratterizzato gli inizi degli anni ’10 del 2000, si sono aggiunti una crescita della tecnologia e un’attenzione all’esperienza dell’utente nei servizi e nei prodotti dell’industria tecnologica. Ciò ha creato una grande disparità in qualità tra l’esperienza offerta da un servizio privato e quella offerta dal servizio pubblico. I nuovi fenomeni nati dall’insoddisfazione degli utenti-cittadini, la rapida crescita tecnologica e la velocità di adattamento di molte realtà private hanno evidenziato una struttura pubblica obsoleta, statica e fragile organizzata in silos verticali di competenze che non comunicano e che fanno uso di strumenti di progettazione inefficaci.[2] Jasper Christiansen, ricercatore e pioniere dell’innovazione nei governi, afferma: “Per poter rispondere in modo efficace ai contesti che cambiano, alla complessità e all’incertezza, i governi e le pubbliche amministrazioni devono considerare di innovare i processi e le pratiche con cui si elaborano le politiche pubbliche.[3] Inoltre Christiansen sottolinea i limiti dei modelli del XX secolo, basati sull’assunto che lo stato eroga servizi a cittadini passivi o commissiona soluzioni specifiche a problemi ben definiti. La necessità di cambiare approccio alla progettazione delle politiche e dei servizi pubblici viene messa in evidenza dalla persistenza di problemi storici, difficili da risolvere con le risposte tradizionali[4] come ad esempio, nel caso dell’Italia, la disoccupazione giovanile, il sottosviluppo del sud Italia, la fuga dei cervelli etc. Ad oggi i governi sono i ‘proprietari’ di questi problemi pubblici e le politiche tradizionali sono l’unico modo che si utilizza per risolverli. Una problematica poche volte messa in discussione è il tema che: “chi fa le leggi pesca sempre dalla stessa cassetta degli attrezzi[5]

Inoltre c’è una miscredenza nella società civile che molte volte vede la politica pubblica come soluzione a dei problemi diffusi sul territorio. In realtà, quando si adotta una nuova legge in parlamento o una nuova strategia promossa a livello nazionale, il suo impatto sui singoli cittadini è difficile da controllare e da prevedere in maniera puntuale e gli effetti positivi o negativi si verificano solo a lungo termine. In questo scenario, emerge un nuovo set di competenze sperimentate in altri campi su cui alcuni governi e agenzie hanno scommesso per risolvere i problemi ‘irrisolvibili’, per creare cambiamento sociale promosso dalle strutture pubbliche, e per cambiare dei modus operandi radicati. Il design rappresenta un insieme di alcune di queste competenze. Il supporto che il design può offrire alla progettazione delle politiche pubbliche  si riferisce a un nuovo ruolo che questa figura ha assunto: da produttore di soluzioni ad abilitatore di piattaforme d’azione per soggetti pubblici e privati[6].

Cosa significa?

Per spiegare meglio il ruolo del designer in questo contesto è bene spiegare brevemente le radici e le applicazioni di questa disciplina. Nonostante la parola design, nel gergo comune, sia oggi comunemente associata alla progettazione di oggetti d’arredo, delle scocche di automobili, di interfacce grafiche e più  in generale alla finitura estetica di oggetti, il tipo di design a cui ci riferiamo in questo articolo si avvicina di più alla definizione aggiornata che ne dà il dizionario Treccani, ovvero:

Conversione di un concetto o di un’idea in un progetto, disegno, modello o piano che facilita la realizzazione o l’implementazione dell’oggetto stesso, qualunque sia la sua natura (prodotto, servizio, processo, spazio, network).[7]Quindi tutto ciò che si riferisce alle metodologie e al processo di progettazione indipendentemente dall’output finale. Questa visione del design ha dato vita a ciò che è stato poi definito come ‘design thinking’. Davide Kelley, tra i creatori di IDEO, una delle più importanti agenzie di design al mondo, ne ha dato una delle prime definizione “siamo passati dal pensarci come designers a pensarci come design thinkers. Abbiamo una metodologia che ci permette di trovare una soluzione a cui nessun altro aveva ancora pensato”[8]

Perché questa metodologia è, o viene vista come efficace per le politiche e i servizi pubblici?

Geoff Mulgan afferma che “I metodi del design possono portare una nuova energia vitale ai servizi pubblici, incoraggiando ad ascoltare l’esperienza e i bisogni dei cittadini, ad adottare la sperimentazione rapida, il learning-by-doing, e l’utilizzo di strumenti visivi. Tutto questo può accelerare l’impulso di innovazione e aiutare i governi ad arrivare a soluzioni migliori in modo più rapido.”[9] Infatti il design (thinking) presenta alcuni elementi rilevanti che possiedono grandi potenzialità per chi si occupa di politiche e servizi pubblici e vuole raggiungere risultati più efficaci.

Il design thinking riguarda le persone ovvero parte da chi è direttamente interessato dal problema: ha un approccio cittadino-centrico. Il processo del design, infatti, coinvolge le persone durante tutte le fasi, dalla ricerca di informazioni fino all’implementazione dei problemi. Se si vuole affrontare il problema dell’abbandono scolastico, ad esempio, bisogna andare dalle famiglie, parlare con i ragazzi che vivono questa situazione, andare nelle scuole e raccogliere informazioni attraverso strumenti ben precisi. Questo approccio restituisce dignità ai dati qualitativi che derivano dalle interviste, dall’osservazione sul campo, dal dialogo con le persone. Durante la stessa progettazione di politiche e servizi il design invita alla collaborazione con i cittadini, raccogliendo idee, definendo insieme i contenuti e le forme. Il design riporta l’esperienza umana nella burocrazia e nelle politiche e si confronta con un sistema storicamente top-down dove una misura decretata a livello centrale viene applicata in maniera indiscriminata. Il design thinking è concreto ovvero utilizza strumenti tangibili, aiuta a visualizzare concetti complessi. Allontana i burocrati dalla discussione astratta per riportare tutto a elementi più semplici da comprendere che fanno uso di immagini, oggetti, parole chiave per facilitare la discussione e la presa di decisioni tra più attori. Il design thinkingrompe’ i comparti di lavoro verticali e crea connessioni orizzontali tra persone di diverse competenze. Incoraggia l’eterogeneità e la diversità di punti di vista. Incontri, workshop di scenario e di progettazione sono solo alcuni degli strumenti che possono favorire questi scambi tra dipartimenti di un governo, di una regione o di un comune, in dialogo con attori esterni che hanno un ruolo di interesse nelle questioni (imprese, altri enti, associazioni….). Il design thinking è sperimentale, si basa sulle evidenze e testa diverse ipotesi. Prima di promulgare una legge o erogare un servizio a scala nazionale o regionale, il design incoraggia a creare prototipi meno costosi e che richiedono meno tempo per la realizzazione. Sperimenta su piccola scala una politica o un servizio pubblico per capire se funziona o meno e come potrebbe essere migliorato. Si basa quindi sull’evidenza e non su supposizioni a priori ipotizzate da un gruppo ristretto di decisori. Il fallimento è quindi parte del processo. Si basa sull’assunto che è impensabile riuscire ad avere il controllo dei risultati e dell’impatto generato da una politica nazionale soprattutto a una scala così elevata. Il design thinking parte dal problema e guida il decisore politico a comprenderlo in modo più semplice, di focalizzarlo scomponendolo nei diversi punti di vista. Paul Thurston del PDR International Centre for Design & Research afferma “la risoluzione creativa dei problemi in collaborazione con gli utenti è il focus del design ed è una delle competenze sempre più richieste ai decisori politici e ai funzionari pubblici. Nel 2015, UK Policy Lab ha formato oltre 1,000 dipendenti pubblici sui metodi del design. Allo stesso modo, la piattaforma SEE ha coinvolto oltre 1,000 decisori in workshops di design.”[10]

Ma come si applica questo approccio concretamente e chi dovrebbe farlo?

I veri protagonisti di questa tendenza sono i PSI lab ovvero i Public Sector Innovation Labs, letteralmente laboratori di innovazione del settore pubblico. Nel corso degli anni sono stati definiti con diversi nomi in base al tipo di categorie e mappature di cui sono stati oggetto [11]: i-team (Puttick et al. 2014), i-lab (Tõnurist et al. 2017), public policy lab (Fuller e Lochard 2016), government innovation lab (Selloni and Staszowski 2013), change lab (Public Policy Forum 2013; Torjman 2012),  design lab (Torjman 2012) e social innovation lab (Kieboom 2014).[12]

Queste entità rappresentano dei veri e propri laboratori di sperimentazione dove approcci come il design thinking sono stati applicati a contesti reali in collaborazione con governi e pubbliche amministrazioni. Negli ultimi anni la rete europea e globale di questi laboratori si è intensificata sempre di più comprendendo soggetti con diversi filoni di interesse e diverse metodologie ma con l’obiettivo comune di innovare il settore pubblico. Si tratta di laboratori creati all’interno dello stesso governo nazionale come MindLab in Danimarca, UK Policy Lab in Regno Unito, Laboratorio de Gobierno in Chile; laboratori semi-dipendenti dal governo nazionale o regionale come TACSI in Australia, la 27a Region in Francia o agenzie indipendenti come FutureGov o MaRS Solution Labs. Ci sono anche dei laboratori a livello municipale come Laboratorio de la Ciudad a Città del Messico, il Barcelona Urban Lab, il MONUM di Boston. Christian Bason, già più volte citato in questo articolo, è stato il direttore di uno dei primi laboratori di innovazione governativi che ha tracciato il sentiero diventando un caso di successo e di ispirazione per molti altri: il MindLab di Copenhagen. Una panoramica su cosa succede nello specifico in questi laboratori sarà il soggetto di prossimi articoli ma, per fare una sintesi dei contenuti già descritti, essi rappresentano un’occasione “per applicare approcci cittadino-centrici (co-creazione, co-progettazione e co-produzione) e sperimentali nel settore pubblico rispetto ai problemi collettivi”[13]. Volendo questo articolo essere introduttivo, sono stati solo citati i vari aspetti di questo fenomeno che verranno poi esplosi in future riflessioni sugli strumenti del design thinking, sulle tecnologie per l’innovazione e su quali sono le evidenze che ne dimostrano l’efficacia.

Per aprire la discussione e accendere la curiosità su eventuali approfondimenti, l’immagine di conclusione riporta una mappatura (elaborata da NESTA) di decine di metodologie, approcci, strumenti che fanno parte dei paradigmi di innovazione fuori e dentro i governi e che sono testati ogni giorno, in diversa misura dai PSI labs.

 

Nesta, Landscape of innovation, 2017

 

 

[1] Grisolia, Ferragina., “Social innovation on the rise: Yet another buzzword in a time of austerity?”, in Salute e Societa, Jan 2015

[2] Pollitt, “The Essential Public Manager”, Buckingham: Open University Press, 2003

Eggers, O’Leary, “If We Can Put a Man on the Moon… Getting Big Things Done in Government”. Boston: Harvard Business Press, 2009

[3] Christiansen, Bunt, “Innovation in Policy: Allowing for Creativity, Social Complexity and Uncertainty In Public Governance”, 2012,

[4] Bason, “Leading Public Sector Innovation: Co-Creating for A Better Society”, Policy Press, Bristol, Uk; Portland, 2010

[5] Mulgan, “Labs for Systems Change” Maggio 26, 2014

[6] Manzini, “Design when everybody design”, MIT Press, 2015, ch 5

[7] Treccani, 2012, http://www.treccani.it/enciclopedia/design_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/

[8] Tischler, “Ideo’s David Kelley on “Design Thinking”” Fast Company, Feb. 2009

[9] Kershaw (IDEO), Dahl (Nesta), Roberts (Nesta), “Designing for public services”, 2017

[10] Mager, Service Design Network, “Service Design Impact Report: Public Sector”, Oct. 2016

[11] Mcgann, Blomkamp, Lewis, “The rise of public sector innovation labs: experiments in design thinking for policy”, 2018

[12]Puttick, Baeck, Colligan, “I-Teams: The teams and funds making innovation happen in governments around the world”. London: Nesta and Bloomberg Philanthropies, 2014

Tõnurist, Kattel, Lember, “Innovation labs in the public sector: What they are and what they do?” Public Management Review, 2017

Fuller, Lochard, “Public policy labs in European Union member states”, Luxembourg: European Union, 2016

Selloni, & Staszowski, Gov innovation labs constellation 1.0. New York: PARSONS DESIS LAB, 2013

Torjman, “Labs: Designing the future. Ontario: MaRS Discovery District”, 2012

Kieboom, “Lab matters: Challenging the practice of social innovation laboratories.” Amsterdam: Kennisland, 2014

[13] Bason, “Discovering co-production by design.” In E. Manzini & E. Staszowski (Eds.), Public and collaborative: Exploring the intersections of design, social innovation and public policy (pp. viii–xvi). New York: DESIS Network, 2013

Mulgan, “The radical’s dilemma: An overview of the practice and prospects of Social and Public Labs.” Social and public labs, 2014

Fonte immagine in evidenza: https://www.analyticsindiamag.com/can-big-data-analytics-along-design-thinking-form-core-business-growth/

 

Claudia Zampella

nata ad Aversa nel giugno 1992. Laurea al Politecnico di Milano in Product-Service System Design in doppia laurea con la Tongji University di Shanghai e con il Politecnico di Torino. Tesi sul ruolo del design per la progettazione di servizi pubblici in paesi con un basso capitale sociale dal titolo "A design toolkit to engage citizens in innovating public policies within weak contexts" Area di interesse: Politica Economica Interessi: il service design thinking per i servizi e le politiche pubbliche, progettazione cittadino-centrica, sperimentazione nelle politiche pubbliche, public procurement innovation, tecnologia e dati per le decisioni pubbliche, tecnologie civiche, sostenibilità e diritti umani Lavoro attuale: Civic Service Designer presso una Società Benefit che si occupa di design e tecnologia per l'innovazione sociale attraverso la consulenza e la formazione Obiettivi futuri: diffusione delle competenze del design per l'innovazione sociale e pubblica in altri contesti; creazione di una community regionale interessata alla pratica e alla sperimentazione di questi temi.

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