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PESCO: l’UE verso la difesa comune

Per la versione francese clicca qui.

Il 13 novembre 2017 ventitré Stati Membri dell’Unione Europea hanno espresso la volontà di aderire alla nascente PESCO (Permanent Structured Cooperation), ovvero la cooperazione strutturata permanente sulla difesa.
Il traguardo può rappresentare uno dei più consistenti passi in avanti verso la piena integrazione europea nel settore della Difesa Comune.

Cosa prevede il Trattato sull’Unione Europea [1]

Il Titolo V, Capo II (Disposizioni sulla politica di sicurezza e di difesa comune) del Trattato si apre con l’art.42 che pone come obiettivi “il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale”, ma è subito chiarito che sono gli Stati Membri a dover mettere a disposizione dell’Unione i mezzi civili e militari necessari al raggiungimento degli obiettivi definiti del Consiglio.

Inoltre è previsto che gli Stati Membri si impegnino a migliorare progressivamente le loro capacità militari, in particolare collaborando con l’Agenzia Europea per la difesa che individua le esigenze operative e assiste il Consiglio nelle valutazioni su di esse.
In un’ottica di ricerca del consenso è previsto che le decisioni relative all’avvio delle missioni siano adottate dal Consiglio all’unanimità su proposta dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (attualmente, Federica Mogherini) o di uno Stato Membro.

La PESCO

Di grande interesse per la tematica PESCO è, soprattutto, il comma 6 dell’art.42, che prevede la possibilità di creazione di una cooperazione strutturata permanente (appunto, la PESCO) a norma del successivo art.46 ad opera degli Stati Membri che hanno intenzione di sottoscrivere impegni maggiormente vincolanti in materia ai fini delle missioni più impegnative.
E’ proprio l’articolo 46 a fornirci i dettagli sull’istituzione e sul funzionamento della PESCO, oltre che a richiamare l’importante Protocollo in materia che si occupa, nel dettaglio, dei presupposti e degli impegni da assumere affinché uno Stato Membro entri a far parte della relativa struttura.
In primo luogo, gli Stati interessati devono notificare tale volontà al Consiglio e all’Alto rappresentante, imponendo così al Consiglio, entro tre mesi, di adottare una decisione che istituisce ufficialmente la PESCO e che fissa l’elenco degli Stati Membri partecipanti.
Naturalmente, è ammessa la partecipazione successiva di uno Stato Membro, nel momento in cui possiede i requisiti previsti dal Protocollo e viene accettato, a maggioranza qualificata, dai Paesi già partecipanti.
Il rispetto dei criteri fissati e, in particolare, degli impegni sottoscritti ai sensi degli articoli 1 e 2 del relativo protocollo sono fondamentali, in quanto, in caso contrario, i Paesi partecipanti possono, sempre a maggioranza qualificata, sospendere la partecipazione dello Stato inadempiente.

E’ importante, quindi, analizzare anche le disposizioni di questo Protocollo (n. 10) al TUE.
In primo luogo l’art.1 pone come obiettivi della partecipazione alla Cooperazione:
1) lo sviluppo intenso e finanziato della capacità di difesa da parte dello Stato Membro, oltre che la sua eventuale partecipazione attiva a forze multinazionali e ai programmi dell’Agenzia Europea per la Difesa;
2) la capacità dello Stato Membro di fornire unità di combattimento mirate alle missioni previste e menzionate nell’art. 43 TUE (“azioni congiunte in materia di disarmo, le missioni umanitarie e di soccorso, le missioni di consulenza e assistenza in materia militare, le missioni di prevenzione dei conflitti e di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento per la gestione delle crisi, comprese le missioni tese al ristabilimento della pace e le operazioni di stabilizzazione al termine dei conflitti”) entro un termine da 5 a 30 giorni.

Per conseguire questi, gli Stati devono, ai sensi dell’art.2 del Protocollo, impegnarsi a:
1) cooperare per raggiungere obiettivi coordinati riguardanti il livello delle spese per gli investimenti in materia di difesa;
2) ravvicinare i loro strumenti di difesa, in particolare armonizzando l’identificazione dei bisogni militari e collaborando nei settori della formazione e della logistica;
3) rafforzare la disponibilità delle loro forze in relazione ad obiettivi comuni, anche eventualmente modificando le procedure decisionali nazionali;
4) partecipare allo sviluppo di programmi comuni europei nel quadro dell’Agenzia Europea per la Difesa.
Sarà proprio l’Agenzia a dover valutare regolarmente i contributi degli Stati e a relazionare sul tema al Consiglio.

Conclusioni

Dopo aver analizzato la normativa di base della PESCO è possibile fare qualche osservazione in merito a questa svolta attesa almeno da dieci anni, in quanto prevista dal Trattato di Lisbona del 2007,  dopo il fallimento dell’Unione Europea Occidentale (UEO).
Sono 23 su 28 gli Stati Membri che hanno deciso di aderire a questa nuova forma di maggiore integrazione in un settore così delicato come quello della difesa comune.

Fra questi, naturalmente, non c’è la Gran Bretagna che ha avviato formalmente il percorso di uscita dall’Unione Europea e che, storicamente, si poneva come il paese maggiormente ostruzionistico proprio sull’istituzione della PESCO.

In aggiunta a questa circostanza favorevole, è facile intuire come la PESCO derivi da una presa d’atto da parte dei principali Stati Membri dell’intrinseca debolezza sullo scacchiere geopolitico globale di quelle che solo un tempo potevano essere chiamate, a giusta ragione, “potenze nazionali”.
Basti considerare la vicenda della guerra civile in Ucraina, territorio europeo, dove gli Stati Membri e l’Unione, nella figura dell’Alto rappresentante, si sono dimostrati molto meno influenti di Stati Uniti e Russia nella conduzione delle trattative, con esiti disastrosi vista l’epocale litigiosità dei due giganti mondiali.
Per non parlare dell’impossibilità di ottenere risultati nella lotta al terrorismo, alle fake news e ai cyber-crimini in una prospettiva strettamente nazionale.
Proprio la nascita della PESCO, in aggiunta all’istituzione del Fondo Europeo per la Difesa, potrebbero permettere il raggiungimento di risultati avanzati in questi campi di lotta globale.
Fra i sostenitori della PESCO vi è anche chi promette benefici economici diretti allo sviluppo e alla convergenza industriale nel settore.

Come per ogni progressione storica, vi sono, però, rischi ai quali bisogna stare attenti e che vanno governati con diligenza e lungimiranza dalle attuali classi dirigenti europee. Fra questi, per esempio, il rischio che la spesa militare salga eccessivamente togliendo risorse ad altri settori più meritevoli in momenti di crisi dei bilanci statali e di forte disagio sociale.

In conclusione, la speranza è che, con la formazione di un fronte di difesa comune, l’Unione Europea, vincitrice del Premio Nobel per la pace del 2012,  riescafinalmente ad essere all’altezza delle aspettative.

Simone D'Andrea

Studente di Giurisprudenza, classe 1994, tesista in Diritto del Mercato Finanziario, collaboratore area di Diritto Internazionale

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