venerdì, Marzo 29, 2024
Diritto e Impresa

Direzione e coordinamento e infruttuosa escussione del patrimonio della società controllata

 

Cassazione civile sez. I, 05/12/2017, n. 29139. Pres. Ambrosio. Rel. Nazzicone

Direzione e coordinamento – Azione di responsabilità del socio- Condizione di procedibilità per l’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento – Infruttuosa escussione del patrimonio della controllata – Esclusione

L’art. 2497 c.c., comma 3, c.c. non prevede una condizione di procedibilità dell’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita dalla infruttuosa escussione, da parte del socio della società controllata, del patrimonio di questa o dalla previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Messina con sentenza del 4 febbraio 2014 ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città dell’8 maggio 2008, la quale, per quanto qui rileva, ha dichiarato improcedibile la domanda proposta nel gennaio 2007, ai sensi dell’art. 2497 c.c., comma 1, da I. s.r.l. ed M.A.P., soci di minoranza della S. Telecomunicazioni s.r.l., avverso la controllante di quest’ultima, la G. Solutions Italia S.p.A., nonchè contro la G. Finance Holdings B.V., unica azionista della prima; la corte d’appello ha, inoltre, confermato la decisione di primo grado, laddove essa ha statuito la competenza del giudice ordinario e l’insussistenza della competenza arbitrale sull’azione proposta nei confronti degli amministratori della società dominata. La corte territoriale ha condiviso la tesi del tribunale, secondo cui la procedibilità della domanda dei soci della controllata, volta alla condanna della capogruppo (e della controllante di questa, dopo l’estinzione della stessa) al risarcimento del danno per la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale, è subordinata alla preventiva escussione del patrimonio della controllata medesima. Ha ritenuto che a tale conclusione induce il dato letterale della norma, il quale individua il patrimonio della società dominata come da aggredire in prima battuta, nonchè il corretto equilibrio tra le posizioni dei soci e creditori della controllata e quelle dei soci e creditori della controllante, evitando che i soci esterni di questa siano inutilmente aggrediti.

Quanto alla eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dagli ex amministratori della società dominata, ha osservato che la clausola compromissoria è stata eliminata dall’assemblea straordinaria di S. Telecomunicazioni s.p.a. del 28 febbraio 2006, onde, ai sensi dell’art. 5 c.p.c., resta irrilevante la sua vigenza al momento in cui i convenuti ricoprirono la carica di amministratori, essendo stata l’azione proposta solo nel gennaio 2007. Avverso questa sentenza propone ricorso la I. s.r.l., affidato a tre motivi, cui resistono con controricorso la G. Finance Holdings B.V., nonchè gli ex amministratori, proponendo altresì questi ultimi ricorso incidentale per un motivo.

La ricorrente ha depositato la memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. La ricorrente principale propone avverso la sentenza impugnata tre motivi di ricorso, che possono essere come di seguito riassunti: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 2497 c.c., commi 1 e 3, avendo la norma posto una responsabilità diretta, nei confronti dei soci della società soggetta all’altrui direzione e coordinamento e dei suoi creditori, in capo alla società che tali attività esercita, laddove la società controllata è il soggetto direttamente danneggiato dalla condotta abusiva. Al contrario, non è stata prevista un’azione dei soci esterni e dei creditori contro la società controllata “abusata”, essendo la condotta abusiva imputabile soltanto alla capogruppo. L’art. 2497 c.c., comma 3, pertanto, non pone affatto un beneficio d’escussione, in particolare quanto all’azione dei soci (pur potendo forse interpretarsi in tal senso la norma con riguardo all’azione del creditore), difettando un’obbligazione, tantomeno plurisoggettiva, in capo alla dominata, dal momento che i soci non sono creditori della stessa, né possono da questa pretendere il risarcimento dei danni cd. riflessi: tanto è vero che non è contemplata la chiamata in giudizio della dominata; mentre la tesi seguita dalla corte del merito addossa ai soci di minoranza i rischi d’insolvenza della holding e di cancellazione della dominata (come avvenuto nella specie) nel corso del giudizio avverso quest’ultima. Occorre, dunque, attribuire natura squisitamente fattuale alla vicenda descritta dalla norma. Essendo stata, peraltro, la controllata italiana cancellata dal registro delle imprese il 17 maggio 2007 ed essendosi dunque estinta ai sensi dell’art. 2495 c.c., in capo all’unica azionista olandese alla responsabilità ex art. 2497 c.c. si aggiunge quella patrimoniale per tutte le obbligazioni della controllata non soddisfatte, come stabilito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 6072 del 2013. Infine, nel caso di specie, accanto all’insussistenza teorica della predetta condizione di proponibilità dell’azione, in pratica essa sarebbe irrealizzabile, non esistendo più un patrimonio escutibile del soggetto ormai estinto; 2) violazione e falsa applicazione dell’art. 2497 c.c., commi 1 e 3, ed illegittimo omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto la corte del merito non ha considerato la circostanza della richiesta di risarcimento stragiudiziale, inviata il 20 settembre 2006 dalle socie anche alla società dominata; 3) violazione dell’art. 92 c.c., comma 2, perchè, dovendo la sentenza d’appello essere cassata per i motivi predetti, anche la compensazione delle spese di lite non si giustifica più.
  2. Il motivo del ricorso incidentale deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. e art. 5 c.p.c., posto che, allorchè i controricorrenti ricoprivano la carica di amministratori della S. Telecomunicazioni s.p.a., lo statuto sociale prevedeva all’art. 42 una clausola compromissoria, la quale devolveva ad un collegio arbitrale anche tutte le controversie promosse da e contro gli amministratori: la successiva modifica statutaria, operata quando essi non erano più nella carica, rimane quindi per essi irrilevante.

Il primo motivo del ricorso principale è fondato.

2.1. – Lo “statuto giuridico” della società eterodiretta, come risulta dall’art. 2497 c.c., è stato talora definito “ambivalente“, posto che, nell’ambito dei primi tre commi della disposizione, essa sembra passare dalla posizione di soggetto abusato titolare della tutela – sanzionando il primo comma la violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della dominata – a quella di soggetto che, ai sensi del terzo comma, in prima battuta pare chiamato ad eliminare il pregiudizio patito dai suoi soci di minoranza. Secondo quest’ultima previsione, che giova ricordare ai fini della sua esegesi, “il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento“. La norma, è stata letta da taluno – in entrambi i casi, ben oltre la reale portata precettiva – come fondante ora una responsabilità in capo alla holding per i debiti della controllata, ora in capo a quest’ultima per la responsabilità risarcitoria di quella. Questa Corte ha già avuto modo di affermare come la società, che, ai sensi dell’art. 2497 c.c., abbia abusato dell’attività di direzione e coordinamento, e che per ciò risponde del risarcimento del danno derivante dal cattivo esercizio del potere di direzione sulla società eterodiretta, non possa dirsi condebitrice solidale con essa, in forza del terzo comma di tale disposizione, onde non è obbligata per il pagamento dei debiti insoddisfatti verso i creditori di questa (Cass. 12 giugno 2015, n. 12254). Nel respingere la tesi, in quel giudizio perorata, secondo cui la responsabilità della holding si aggiungerebbe a quella gravante in primis sulla dominata, si è negato che sul citato comma possa fondarsi la ricostruzione di una responsabilità della società controllante sussidiaria rispetto a quella della società eterodiretta, di tipo patrimoniale, per i debiti non soddisfatti di questa. Dei due segmenti di “responsabilità solidale sussidiaria” che parte degli interpreti ha voluto intravvedere nell’art. 2497 c.c., comma 3 – condebito per obbligo primario, condebito per danni – il precedente menzionato ha tracciato solo il primo, escludendo che sulla capogruppo gravi una responsabilità patrimoniale per le obbligazioni insoddisfatte della controllata.  Ed ha, poi, aggiunto – al solo fine di escludere una simile valenza della disposizione, non quale ratio decidendi e con riguardo ai creditori della controllata – che l’art. 2497 c.c., comma 3, si limita ad individuare “piuttosto… una condizione di ammissibilità dell’azione di responsabilità prevista nel primo comma verso i creditori della società eterodiretta“. Non, dunque, un precedente ai fini della presente decisione. Ebbene, il secondo segmento menzionato va ora tracciato, specificamente con riguardo ai soci esterni della società controllata, quali sono gli attori in giudizio.

2.2. – Potrebbe, ad una sommaria lettura, sembrare che i soci esterni della società eterodiretta siano addirittura gravati da un onere di preventiva escussione della medesima: essi, cioè, sarebbero tenuti a convenire in giudizio la propria società e solo se insoddisfatti potrebbero agire contro la società capogruppo. La tesi si scinde poi tra chi ritiene il beneficio di escussione operi in sede di giudizio di cognizione e chi, invece, sulla scorta dei precedenti interpretativi formatisi sull’art. 1304 c.c., lo pone solo in sede esecutiva. Tale tesi, tuttavia, in entrambe le sue declinazioni, non convince, un’interpretazione condotta secondo la lettera e la ratio dell’art. 12 preleggi inducendo a diversa conclusione. Sotto il profilo letterale, la norma parla anzitutto di “agire” con riguardo unicamente alla capogruppo, non alla società dominata; mentre a tale azione è di ostacolo la circostanza concreta che il socio o il creditore siano stati “soddisfatti” nel loro pretese: espressione, pertanto, che evoca la tacitazione del debito, così che non si abbia più nulla a pretendere (cfr.artt. 2312 e 2324 c.c., art. 2332 c.c., comma 3, art. 2495 c.c.).

Il Legislatore aveva a disposizione il testo di numerose altre disposizioni, in cui il sintagma del “beneficio d’escussione“, certamente monosemico, viene utilizzato: si vedano ad esempio gli artt. 563,1944,2268,2304 e2868 c.c., art. 63 disp. att. c.c., e così via. Invece, il legislatore stesso ha prescelto una formulazione tutt’affatto diversa: non ha attribuito ai soci esterni ed ai creditori il diritto al risarcimento verso la società partecipata ed ha disposto che il diritto al risarcimento del danno vantato verso la controllante, previsto dal comma 1, possa farsi valere solo allorché essi non siano stati “soddisfatti” dalla società controllata. Altro è predicare un beneficio d’escussione, in sede di cognizione o di esecuzione: il quale, come condivisibilmente osservato nel ricorso, finirebbe per contraddire la stessa ratio della tutela, posto che la società eterodiretta dovrebbe addirittura essere convenuta in giudizio ed escussa prima che il socio esterno della medesima società sia abilitato a chiedere il risarcimento del cd. danno riflesso alla controllante – vera novità della disciplina sui gruppi introdotta dalla riforma – con sicuri ritardi e rischi a loro carico degli imprevisti che possano colpire le società controparti. Inoltre, la (in tesi obbligata) proposizione dell’azione contro la società eterodiretta, volta a riparare il danno subito – per quanto in questa sede rileva – dai soci esterni, incide anche, com’è noto, sul valore della loro stessa partecipazione sociale, nonché poi degli altri soci che non abbiano proposto analoga azione: che è proprio il pregiudizio contro cui l’art. 2497, comma 1, mira ad offrire tutela. La dottrina convincentemente segnala come sarebbe sistematicamente pericoloso postulare che la società eterodiretta sia tenuta, essa stessa, a risarcire i suoi soci: non solo perché la società dominata è proprio il soggetto danneggiato, ma anche in quanto i casi di attribuzione patrimoniale ai soci sono tipici ed eccezionali (si pensi altresì alla regola della postergazione) e per il rischio di posizioni collusive volte a svuotare il patrimonio della dominata. Per quanto riguarda i creditori, ai fini di completezza del quadro, giova osservare come il pregiudizio che li riguarda, posto dall’art. 2497 c.c., comma 1, sia quello all’interesse strumentale alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale della propria debitrice in quanto presupposto per favorire il buon esito del credito. Dal momento che per loro il danno consiste nel pregiudizio all’integrità del patrimonio sociale causato dalla capogruppo, perché esso sussista sarà per definizione necessario che abbiano richiesto l’adempimento ed il patrimonio della controllata si sia palesato insufficiente (cfr. art. 2394 c.c.): in tal senso, quest’ultima situazione è addirittura il presupposto del sorgere della responsabilità della capogruppo, non una mera condizione di procedibilità. Onde il creditore, secondo le regole generali, dovrà essere pagato dalla società sua debitrice, in mancanza potendo far valere il pregiudizio patito a causa della cattiva direzione della capogruppo contro quest’ultima. Ma non sembra far riferimento a ciò l’art. 2497 c.c., comma 3: norma che contempla una diversa situazione fattuale per il creditore, analoga a quella prevista per il socio, successiva al sorgere del credito risarcitorio (laddove il creditore, per la regola posta dal citato presupposto, avrà cioè già potuto constatare la lesione all’integrità del patrimonio sociale e l’inadempimento della società sua diretta debitrice), consistente allora nel pagamento, pur tardivo, del dovuto da parte della società controllata, oppure anche in misure ripristinatorie dell’integrità del patrimonio della stessa società debitrice, così nuovamente idoneo a costituire per lui la garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., mediante ogni forma all’uopo prevista dal diritto societario (copertura delle perdite, aumento del capitale, versamenti a fondo perduto appostatia riserva, ecc.), con conseguente eliminazione del pregiudizio cui tende la tutela predisposta dal primo comma della norma in commento.

In effetti, il Legislatore – dopo avere configurato la responsabilità verso i soci esterni e i creditori della controllata in capo al soggetto che abbia abusato dei suoi poteri di direzione e coordinamento, violando le regole di corretta gestione societaria ed imprenditoriale della società controllata – ha delimitato o escluso la responsabilità della capogruppo in tre casi, in cui un danno risarcibile non esiste più: perché è mancante, alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento (comma 1, ultima parte, prima ipotesi); è integralmente eliminato, anche a seguito di operazioni a ciò dirette (comma 1, ultima parte, seconda ipotesi); o è azzerato dalla stessa società controllata, che abbia soddisfatto la pretesa risarcitoria (comma 3), secondo un meccanismo meramente “fattuale“. In presenza di un vantaggioso (o almeno neutrale) risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento per la società dominata, dell’eliminazione specifica del danno mediante operazioni a ciò dirette o da parte della stessa controllata – tutte evenienze che in giudizio la holding sarà onerata di allegare e provare, in caso di esito positivo con sopravvenuta carenza d’interesse all’azione proposta – la responsabilità della controllante viene meno, semplicemente perché un pregiudizio non esiste più, quale elemento costitutivo, sul piano oggettivo, della fattispecie risarcitoria. Non giova, in contrario, osservare come, ove si acceda a tale interpretazione, ne deriverebbe la superfluità del terzo comma dell’art. 2497 c.c.: perché esso può ragionevolmente ritenersi volto semplicemente ad impedire l’azione risarcitoria verso la capogruppo, pur quando non direttamente questa, ma la sua controllata abbia azzerato il danno (altro è poi il meccanismo interno tra le due società, che verosimilmente contemplerà il rimborso o la preventiva messa a disposizione del dovuto da parte della holding). Se si vuole, il maggiore distacco dai principi generali opera con riguardo, piuttosto, alla fattispecie dei vantaggi compensativi, ove l’effetto positivo proveniente da un’operazione anche diversa o successiva rispetto al singolo atto dannoso è idonea ad escludere il risarcimento (in contrasto con la regola secondo cui la compensatio lucri cum damno opera solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno); mentre con quei principi sono del tutto coerenti le altre due fattispecie. Se un terzo paga il debito risarcitorio altrui, questo viene meno, secondo il meccanismo dell’art. 1180 c.c., che il Legislatore ha in definitiva previsto nell’art. 2497 c.c., comma 3, per quanto attiene alla soddisfazione del socio esterno, qui rilevante: con disposizione che contempla, peraltro, profili di specialità, sia quanto al terzo adempiente, non estraneo all’organizzazione sociale del debitore a titolo risarcitorio, ma società da questo dominata, sia con riguardo alla (implicita) esclusione del possibile rifiuto del creditore nel ricevere la prestazione (vuoi che abbia interesse a che il debitore la esegua personalmente, vuoi per l’opposizione palesata dal debitore). Nell’ambito del gruppo, ed in coerenza con la natura causale astratta della fattispecie ora menzionata, l’adempimento da parte della società controllata di un debito che è esclusivamente altrui – quello risarcitorio a carico della capogruppo – assumerà una connotazione particolare con riguardo alla cd. causa concreta.

Soddisfatti“, dunque, a seconda del rispettivo diritto soggettivo: in quanto il socio sia stato risarcito dalla controllata per il pregiudizio subito al valore e alla redditività della partecipazione sociale; o in quanto, dal suo canto, il creditore sia stato pagato dalla controllata, con estinzione allora sia del debito originario patrimoniale gravante sulla medesima, sia del debito risarcitorio gravante sulla controllante con riguardo alla lesione cagionata all’integrità del patrimonio della controllata; in entrambi i casi, l’espressione ricomprende ogni modalità che permetta al socio o al creditore il conseguimento dell’utilità loro spettante. La prospettiva assunta riconosce in capo al socio esterno o al creditore interessi meramente patrimoniali, connessi nel primo caso alla qualità di soggetto interessato essenzialmente alle sorti del proprio investimento finanziario e nel secondo di controparte contrattuale in sé disinteressata alle vicende societarie interne. In definitiva, reputa il Collegio che la norma in esame non preveda una condizione di procedibilità dell’azione del socio contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita dall’infruttuosa escussione della società controllata – il cd. beneficium escussionis – e neppure un cd. beneficium ordinis, in assenza di rapporto obbligatorio solidale nel debito risarcitorio. Se non sussiste un beneficio d’escussione, in via di cognizione o di esecuzione, né un onere di formale messa in mora stragiudiziale della controllata, il socio poi neppure è titolare della pretesa di essere da questa risarcito per fatto altrui, vale a dire della controllante (pur godendo delle azioni ex artt. 2393-bis, 2395 e 2476 c.c. avverso gli amministratori della dominata; nonché eventualmente, ma è tema affatto estraneo a questa sede, delle azioni risarcitorie per c.d. responsabilità deliberativa, nella riforma sostitutive della tutela reale caducatoria, ai sensi dell’art. 2377, comma 4, art. 2378, comma 2, art. 2379-ter, comma 3, ecc.), ossia non ha azione risarcitoria con quel petitum e causa petendi contro la società eterodiretta, priva di legittimazione passiva, sia pure quale coobbligata, nell’azione risarcitoria per direzione abusiva ex art. 2497 c.c..

  1. – Il secondo motivo è assorbito, come pure il terzo, quest’ultimo non formulato peraltro quale censura autonoma, risultando in esso enunciato piuttosto l’auspicato esito, circa le spese, dell’accoglimento degli altri due.
  2. – Con riguardo al ricorso incidentale, è pregiudiziale, precludendo l’esame del motivo, il rilievo d’ufficio della inammissibilità dell’appello sul punto. La sentenza del Tribunale di Messina dell’8 maggio 2008 ha separato dalle altre la causa proposta avverso i convenuti, odierni ricorrenti incidentali, dopo avere respinto l’eccezione di “difetto di giurisdizione” per clausola arbitrale statutaria. Proposto appello, la corte territoriale ha confermato la medesima statuizione.

Tuttavia, la pronuncia di primo grado, che ha deciso solo sulla competenza della domanda proposta avverso A., B. e M., poteva essere impugnata unicamente con il regolamento necessario di competenza, di cui all’art. 42 c.p.c., avendo pronunciando sulla competenza senza decidere il merito della causa in questione (cfr. Cass. 25 ottobre 2016, n. 21523).

Al riguardo, questa Corte ha anche chiarito (Cass. 21 novembre 2006, n. 24681), che la sentenza non definitiva, con la quale il giudice di primo grado si sia limitato ad affermare la propria competenza, è impugnabile esclusivamente ed immediatamente con il regolamento necessario di competenza, nei modi e nei termini di cui all’art. 47 c.p.c.; pertanto, l’appello proposto contro tale sentenza, al pari di quello avanzato contro la decisione definitiva a seguito di riserva di impugnazione differita, è inammissibile, e tale inammissibilità, se non dichiarata dal giudice di secondo grado, è rilevabile anche d’ufficio in sede di legittimità.

Laddove, quindi, la Corte di cassazione abbia rilevato d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello, che il giudice del merito non abbia riscontrato, ne consegue la cassazione senza rinvio della sentenza di secondo grado oggetto di gravame (Cass. 27 novembre 2014, n. 25209; nonchè, e multis, 26 luglio 2016, n. 15370; 13 novembre 2009, n. 24047).

  1. – In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, in accoglimento del primo motivo del ricorso principale, con rinvio alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, perchè prosegua il giudizio, dovendosi enunciare il seguente principio di diritto: “L’art. 2497 c.c., comma 3, non prevede una condizione di procedibilità dell’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita dalla infruttuosa escussione, da parte del socio della società controllata, del patrimonio di questa o dalla previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo il legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento”.

Al giudice del merito si demanda la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità relativo alla causa avente ad oggetto la responsabilità della società che esercita la direzione e il coordinamento, di cui al ricorso principale.

  1. – Tenuto conto, infine, della cassazione senza rinvio con riguardo alla statuizione di conferma del diniego della competenza arbitrale sulla causa di responsabilità nei confronti degli amministratori, occorre provvedere, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 2, alla regolazione delle spese di appello (pendendo, per il merito, secondo le affermazioni dei difensori, la relativa controversia in primo grado), nonchè delle spese del presente giudizio di legittimità: ma, in considerazione del rilievo officioso della questione, esse vengono interamente compensate.

Non può trovare applicazione, infine, il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione, posto che i ricorrenti incidentali non sono tecnicamente soccombenti e deve interpretarsi restrittivamente la norma in questione, in quanto lato sensu sanzionatoria (Cass. 25 febbraio 2016, n. 3703).

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; in relazione al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa per il prosieguo del giudizio innanzi alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, demandando altresì ad essa la liquidazione delle spese di legittimità; pronunciando sul ricorso incidentale, cassa senza rinvio in parte qua la sentenza impugnata perché l’appello incidentale non poteva proporsi, compensando al riguardo per intero tra le parti le spese dell’appello e del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2017.

Direzione e coordinamento e infruttuosa escussione del patrimonio della società controllata

 1. Il caso

Il caso in esame attiene alla proposizione di una domanda ex art. 2497 c.c., comma 1 da parte di I. s.r.l ed M.A.P., soci di minoranza della S. Telecomunicazioni s.r.l., avverso la controllante di quest’ultima, la G. Solutions Italia S.p.A., nonché contro la G. Finance Holdings B.V., unica azionista della prima[1].

In particolare,  la Corte d’appello di Messina con  la sentenza del 4 febbraio 2014 ha confermato la decisione del Tribunale di Messina dell’8 maggio 2008 dichiarando espressamente  l’improcedibilità della domanda di cui sopra, condividendo cosi la tesi del tribunale, secondo cui “la procedibilità della domanda dei soci della società controllata, volta alla condanna della capogruppo al risarcimento del danno per la violazione dei principi di “corretta gestione societaria e imprenditoriale[2]”, è subordinata alla cd. preventiva escussione del patrimonio della controllata stessa”.

A tal conclusione, secondo la Corte d’appello di Messina,[3] si viene indotti direttamente dal dato letterale dell’articolo oggetto di commento in quanto esso individua il patrimonio della società dominata come da aggredire in prima battuta, nonché il corretto equilibrio tra la posizione dei soci e creditori della controllata e quelle dei soci e dei creditori della controllante, evitando così che i soci esterni di quest’ultima siano inutilmente aggrediti.

Avverso la sentenza sopra descritta, la I. s.r.l., una volta costituitasi in giudizio, eccepisce in sostanza la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2497 c.c., comma 1 e 3, avendo posto una responsabilità nei confronti dei soci della società soggetta all’altrui direzione e coordinamento e dei suoi creditori, in capo alla società che tali attività esercita, qualora la società controllata è il soggetto direttamente danneggiato dalla condotta abusiva. Al contrario, non può configurarsi un’azione dei soci esterni e dei creditori avverso la società controllata “abusata”, essendo la condotta abusiva imputabile solo e soltanto alla società capogruppo.

Pertanto, ribadisce la ricorrente, l’art. 2497 c.c., comma 3 non pone affatto un beneficio d’escussione, in particolare quanto all’azione dei soci, difettando un’obbligazione, tantomeno plurisoggettiva, in capo alla società dominata, posto  che i soci non si pongono come creditori della stessa, né possono avanzare pretese circa il risarcimento dei danni cd. riflessi: a sostegno, si ricordi che non è contemplata la chiamata in giudizio della dominata; mentre la tesi seguita dalla Corte di merito pone a carico dei soci di minoranza i rischi di insolvenza della società holding e di cancellazione della società dominata come avvenuto nel caso di specie.

Questione dirimente per l’accoglimento del ricorso diviene, allora, la possibilità di una preventiva escussione del patrimonio della società controllata, risolta in senso negativo dalla Suprema Corte che, cassando la sentenza impugnata, rinvia la causa per il prosieguo del giudizio dinnanzi alla Corte d’appello di Messina, in diversa composizione, demandando altresì ad essa la liquidazione delle spese di legittimità.

Segnatamente, questa Corte ha già avuto modo di affermare come la società che, ai sensi dell’art. 2497 c.c., abbia abusato dell’attività di direzione e coordinamento, e che per ciò risponde del risarcimento del danno derivante dal cattivo esercizio del potere di direzione sulla società eterodiretta, non possa dirsi condebitrice solidale con essa, in forza del terzo comma di tal disposizione, onde non si trova obbligata al pagamento dei debiti cd. insoddisfatti verso i creditori di questa[4].

A sostegno di tal argomentazione, viene evidenziato il dato letterale sia del terzo comma che del quarto comma della norma in questione. Quest’ultimo, qualora vi sia il fallimento della società eterodiretta, attribuisce infatti al curatore della società la legittimazione dell’azione spettante ai creditori, mettendone in luce il carattere di azione c.d. di massa, carattere proprio della azione risarcitoria per la lesione prodotta al patrimonio della società fallita, e non della distinta azione spettante ai singoli ex art. 2449 c.c. e nemmeno il richiamo al collegamento negoziale tra contratti della società all’interno di un gruppo rileva al fine di giungere ad una conclusione di segno opposto, posto che tale collegamento non può comportare il superamento del principio – frutto dell’applicazione del più generale principio che prevede la piena autonomia patrimoniale della società di capitali rispetto ai socie della stessa – della piena e perfetta autonomia giuridica e patrimoniale delle singole società facenti parte di un gruppo.

Piuttosto, si ribadisce, il terzo comma della predetta norma deve essere interpretato nel senso di una condizione di ammissibilità dell’azione di responsabilità da attività di direzione e coordinamento della holding verso i creditori della società eterodiretta.

Pertanto, nonostante da una lettura sommaria della norma in commento par naturale ipotizzare che i soci esterni della società eterodiretta siano addirittura gravati da un onere di preventiva escussione della medesima è pacifico  ricordare che  essi sarebbero così tenuti a convenire in giudizio la propria società e , solo se insoddisfatti, potrebbero agire contro la capogruppo[5].

Tal ragionamento, comunque, non ha convinto la Suprema Corte la quale ribadisce che l’art. 2497 c.c. parla soprattutto di “agire” con riguardo alla società capogruppo e non alla società dominata. Invero, è stato lo stesso Legislatore che non ha riconosciuto ai soci esterni ed ai creditori il diritto al risarcimento verso la società partecipata, disponendo altresì che il risarcimento del danno vantato verso la società controllante possa farsi valere solo quando essi non siano stati soddisfatti dalla controllata.

Diverso è, quindi, invocare un beneficio d’escussione: esso, come viene ampiamente sottolineato, finirebbe per porsi in chiaro contrasto con la ratio della normativa, posto che la società eterodiretta dovrebbe essere addirittura convenuta ed escussa prima che il socio esterno della stessa società sia abilitato a chiedere il risarcimento del cd. danno riflesso alla società controllante – vera novità della disciplina sui gruppi introdotta con la riforma del 2003-  con sicuri ritardi e rischi a loro carico.

A sostegno di quanto esposto, si ricordi come la Suprema Corte di Cassazione abbia preso le mosse da quella  dottrina, ad oggi maggioritaria[6], la quale ha da sempre segnalato come sia sistematicamente pericoloso affermare che la società eterodiretta sia tenuta a risarcire i suoi soci: non solo perché la società dominata è il vero e proprio soggetto danneggiato, ma anche in quanto i casi di attribuzione patrimoniali ai soci sono tipici ed eccezionali e per il rischio di posizioni volte a svuotare il patrimonio della società dominata.

2. La normativa di riferimento

Il principale riferimento normativo per inquadrare la problematica in esame va ricercato nell’art. 2497 c.c. Come noto, per molti anni la regolamentazione dei gruppi di società è stata frammentaria, dispersa fra poche disposizioni del Codice Civile e varie leggi settoriali.

Con la Riforma del diritto societario (D.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6), il Legislatore ha introdotto, per la prima volta nell’ordinamento italiano, una disciplina organica relativa al gruppo d’impresa.

Il riferimento è al Capo IX, Titolo V, Libro V del Codice Civile (artt. 2497 – 2497-septies) nel cui contesto normativo, in realtà, non si offre alcuna definizione della nozione di gruppo di società[7], ma sono indicati i principali elementi che concorrono a determinare il quomodo dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento di società, che rappresenta l’elemento centrale di tale modello organizzativo.

Eppure già nel lontano 1942 il Legislatore aveva già presente, nei suoi principali aspetti, il fenomeno dei gruppi di società; si veda la  Relazione al codice stesso, dove il gruppo veniva descritto quale «fenomeno che risponde tipicamente agli orientamenti della moderna economia organizzata», destinato a trovare manifestazione esterna nello «sviluppo di un nucleo produttivo iniziale che si integra dando vita ad altre attività sussidiarie e collaterali, alle quali, per ragioni di razionale organizzazione, meglio conviene una gestione autonoma»[8].  Era questa, come è stato ampiamente fatto notare, una “visione” propriamente industriale del gruppo di imprese, non ancora in grado di cogliere i vari aspetti economici, finanziari e normativi del fenomeno.

Ad oggi, supportati da autorevole dottrina,  il “gruppo di società” può essere definito come quella “aggregazione di imprese societarie all’interno della quale più aziende, dotate di autonomia giuridica, sono tra loro coordinate e sottoposte al controllo economico da parte di un unico soggetto, rappresentato dalla società capogruppo (posta al vertice del sistema), che le governa e le condiziona secondo un indirizzo gestionale unitario, al fine di attuare un programma comune ed ulteriore rispetto a quello realizzabile attraverso le singole imprese[9].

Dunque, l’elemento cardine del “gruppo” è rappresentato dall’intreccio fra due realtà sostanzialmente antitetiche, ossia “unicità” e   “pluralità”:

unicità della strategia economica e finanziaria;

pluralità di soggetti giuridici rappresentati dalle singole aziende che, essendo giuridicamente indipendenti, sono centri di imputazione di diritti, di obblighi e di rapporti giuridici[10].

Si può così desumere che la direzione unitaria attribuita alla capogruppo, che si sostanzia nell’esercizio dell’attività di “direzione e coordinamento” nei confronti delle società eterodirette, si presume esistente laddove sussista uno dei requisiti previsti dall’art. 2497-sexies c.c., ossia quando la holding ha l’obbligo di redigere il bilancio consolidato, oppure in virtù di un rapporto di controllo tramite partecipazione al capitale o mediante vincoli contrattuali ex art. 2359 c.c.

Altra ipotesi, invece, si verifica quando la holding esercita attività di direzione e coordinamento sulla base di un contratto con le società stesse o di clausole dei loro statuti ex art. 2497-septies c.c.[11].

È altresì evidente, analizzando attentamente l’impianto codicistico, come il fulcro della disciplina dei gruppi di società sia rappresentato dalla “responsabilità” inerente all’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, come dimostra tra l’altro la rubrica dell’articolo 2497 cod. civ. che apre il corpo di disposizioni dedicate all’argomento.

L’impostazione delineata dal Legislatore ci porta però a svolgere preliminarmente due considerazioni: una circa la legittimità dell’esercizio della direzione e del coordinamento, l’altra circa il contenuto di questa attività, per studiare il cd.  “sostrato fattuale” su cui s’innesta una possibile ipotesi di responsabilità.

Assolutamente condivisibile l’assunto in base al quale gli studiosi vedono nella introduzione della disciplina dei gruppi di società l’esplicito riconoscimento della legittimità dell’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento; questa conclusione trova conferma infatti proprio nel tenore letterale dell’incipit dell’art. 2497 («Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento (…)») che implicitamente ammette tale legittimità.

La stessa giurisprudenza di merito ha specificato, proprio con riferimento all’art. 2497 cod. civ., che «(…) non esistono precondizioni o requisiti di legittimità, che siano previsti dalla norma in questione, la quale designa invece solo i limiti di quella liceità, cioè casi e situazioni in cui essa, in presenza di determinate circostanze, diviene illegittima. Cioè i requisiti stabiliti dall’art. 2497 comma 1 c.c. sono requisiti e presupposti della responsabilità derivante da illegittimo esercizio di quell’attività, non certo – declinati al

contrario – requisiti della sua legittimità »[12].

Premesso ciò, si tratta ora di definire il contenuto dell’attività di direzione e coordinamento, ossia di dare un significato preciso a tal “binomio” che è la chiave per poter comprendere come una società possa esser considerata responsabile.

Da sempre, la dottrina si è chiesta se le attività in questione debbano essere considerate come un “sintagma”, e di conseguenza come due facce della stessa medaglia, o se invece si è in presenza di un’”endiadi”, cioè di due ipotesi differenti di attività, caratterizzate da diverse modalità di manifestazione[13].

La questione, ad avviso dello scrivente, è di assoluta importanza: se infatti si assume che  “direzione e coordinamento” hanno ad oggetto due attività sostanzialmente differenti, si pone la chiara necessità di definire innanzitutto le singole operazioni che sono sussumibili nella definizione di “direzione”, da un lato, e di “coordinamento” dall’altro; in secondo luogo occorre stabilire se le due attività in questione siano tra loro in rapporto paritario, dunque aventi la medesima rilevanza, o se l’una abbia un’incidenza maggiore rispetto all’altra per definire l’esistenza di un gruppo di società e, quindi, per stabilire l’applicabilità delle disposizioni in esame al caso concreto o meno.

Secondo un primo orientamento, “attività di direzione e coordinamento” altro non è che un semplice sintagma[14];in cui la locuzione “coordinamento” altro non sarebbe che un’aggiunta volta a rafforzare il concetto di direzione, della quale il primo è attributo[15]. Altri ritengono, invece, che “direzione e coordinamento” rappresentino un’«endiadi funzionale»[16]; indicando pertanto due differenti tipologie di attività, ciascuna della quali contribuisce a delineare i confini della fattispecie del gruppo di società.

Ad oggi, si può pacificamente affermare che se da una parte l’attività di “direzione” viene vista, come in passato, in termini di facoltà di impartire direttive alle altre società eterodirette, dall’altra il “coordinamento” è definito come quell’insieme di operazioni che consentono di sviluppare sinergie e legami tra gli appartenenti al gruppo. È dunque probabile che sia proprio il coordinamento ad essere quel quid pluris che caratterizza l’etero-direzione quale fonte di responsabilità per la capogruppo.

La giurisprudenza spesso utilizza e ha utilizzato in passato l’espressione “attività di direzione e coordinamento” senza però operare il dovuto distinguo tra le due fattispecie; questo però non deve indurre chi legge a concludere che sia favorevole alla coincidenza dei termini. Invero, i giudici utilizzano l’intera locuzione per indicare tutte quelle attività che rientrano nella definizione della stessa, intesa nel suo complesso, senza inoltrarsi in distinzioni prive di utilità ai fini del giudizio; oppure ancora, spesso accade che ci si riferisca alla sola direzione unitaria, ma ciò per comodità ed esigenze di celerità e semplicità di argomentazione del discorso.

Cosi, supportati da autorevole dottrina e giurisprudenza[17], si potrà arrivare a definire l’“attività di direzione e coordinamento” come l’esercizio di una “pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali.[18]

Parimenti “la direzione unitaria è ravvisabile ogni qualvolta si ravvisi una serie di atti teleologicamente diretti alla realizzazione dell’interesse alla produzione di nuova ricchezza (interesse imprenditoriale), appunto, della società o ente capogruppo che agisce (interesse proprio) e/o delle società che vengono gestite (interesse altrui)».

Distinguendosi dal “mero controllo”, l’attività di direzione e coordinamento si riferisce ad un’attività[19] permanente e sistematica di ingerenza a cura degli amministratori della capogruppo nelle scelte gestorie di carattere finanziario, industriale e commerciale della società subordinata: ciò che rileva a tal fine è che le scelte di gestione strategiche nei settori nevralgici della società siano nelle mani della capogruppo[20].

Ponendo successivamente lo sguardo sulle modalità con le quali l’attività di direzione e coordinamento trova attuazione, la giurisprudenza sottolinea che essa “si potrà ad esempio sostanziare mediante atti formali (delibere del Cda della capogruppo che rechino le indicazioni gestionali da seguire da parte della controllata, a cui la detta delibera sia trasmessa formalmente), atti di indirizzo (quali ordini di servizio, istruzioni, regole di comportamento, parimenti diramati alla società eterodiretta), o ancora mediante la codificazione in appositi patti parasociali o, infine, mediante meri fatti quali incontri sistematici tra i manager della capogruppo e di quelle eterodirette o scambi di comunicazioni aventi ad oggetto specifiche richieste e risposte relativamente alle decisioni gestionali di maggior rilevanza della società che si assume sia eterodiretta[21].”

In concreto, la direzione unitaria dovrebbe concretizzarsi in:

  • atti formali a carattere negoziale, quali deliberazioni o accordi contrattuali tra le società interessate;
  • atti di indirizzo, quali istruzioni, regole di comportamento;
  • codificazione in appositi atti parasociali;
  • meri fatti, idonei ad influenzare significativamente le scelte gestionali della società.

Altresì, non configura un’ipotesi di direzione e coordinamento il compimento di un singolo atto, o di atti sporadici, ancorché rilevanti, o, comunque di dettaglio[22].

Alla luce di quanto esposto, si evidenzia che le scelte di gestione strategiche nei settori nevralgici delle società che fanno parte del gruppo sono inerenti al potere decisionale attribuito alla capogruppo.

Pertanto, è compito della holding:

– definire le linee strategiche, nonché i programmi finanziari e produttivi del gruppo;

– attuare una preventiva raccolta delle informazioni di mercato prima dell’avvio di nuove operazioni, valutando, in base ad esse, l’entità e la natura dei rischi connessi e la possibilità di finanziamento delle operazioni, effettuando, infine, un’analisi comparativa tra rischi, costi e benefici immediati e futuri[23];

– emanare direttive;

– fornire istruzioni;

– richiedere atti di gestione alle società sottoposte per perseguire l’interesse di gruppo considerato nel suo complesso, tenendo conto delle conseguenze prodotte nella singola società diretta e coordinata.

Specificatamente, spetterà alla capogruppo valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile del gruppo nel suo complesso; predisporre i piani strategici, industriali e finanziari, nonché i budget annuali del gruppo; esaminare ed approvare preventivamente quelli delle società che ne fanno parte e inoltre le operazioni sul capitale delle stesse, o quelle di trasformazione, fusione o scissione, gli atti di disposizione delle partecipazioni, le operazioni concernenti l’acquisto o la cessione di aziende o di rami di esse, l’assunzione o la concessione di finanziamenti oltre determinati importi, la stipulazione di patti parasociali e, in generale, tutte le operazioni di maggior rilevanza economica, patrimoniale e finanziaria[24] ed infine, valutare, sulla base della relazione degli organi delegati ex art. 2381, 5° comma, c.c., il generale andamento della gestione del gruppo.

Ed è proprio con riferimento alla tematica affrontata nella sentenza oggetto di commento che  non si può negare  la difficoltà  nello stabilire in che misura l’attività di direzione e coordinamento della holding possa ingerirsi nella sfera dell’autonomia gestionale delle singole società controllate consci che la regolarità dell’attività svolta dalla società capogruppo e dai suoi amministratori nei confronti delle società eterodirette consiste non solo nella correttezza delle istruzioni impartite, in tema di gestione dell’impresa, ma anche nella correttezza nell’individuazione dei punti di equilibrio fra l’interesse globale e quello delle controllate. In sostanza, devono convergere gli interessi di tutte le società coinvolte nell’operazione o nella strategia, con possibilità di soddisfazione, anche se con modalità, entità e tempistiche differenti, per ciascuna società[25].

 3. Il problema della responsabilità della società eterodiretta: analisi dell’art. 2497, co. 3, cod.civ.

Individuati i presupposti necessari alla definizione dell’attività di “direzione e coordinamento”, è interessante analizzare in che modo l’azione ex art. 2497 possa essere esperita dai soggetti legittimati (soci e creditori sociali in primis) e le eventuali situazioni problematiche che potrebbero sorgere alla luce della disciplina introdotta dalla riforma del 2003.Occorre ricordare che il Legislatore del 2003 non si è assolutamente preoccupato di individuare due azioni differenti a seconda che il legittimato attivo sia il socio ovvero il creditore sociale nonostante sia chiara la diversità del danno che questi soggetti potrebbero subire.

Al contrario, è stato inserito nella norma il 3° comma con il quale viene precisato che “il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento” con la conseguenza che una disposizione di questo tipo deve essere sicuramente interpretata in funzione del contesto in cui è stata posta.

Cosi, ad avviso di chi scrive, il 3° comma non può quindi essere interpretato in maniera isolata e prescindendo dall’art. 2497 nel suo complesso, bensì si ritiene necessario analizzarlo  tenendo conto sia di quanto sancito in particolare dal 1° comma sia del ruolo centrale attribuito dal Legislatore della riforma del 2003 alla responsabilità diretta del soggetto capogruppo nei confronti dei soci e dei creditori sociali delle società soggette al suo potere direttivo[26].

Ed è proprio sulla sua esegesi che numerosa dottrina[27] e giurisprudenza[28] hanno infatti elaborato teorie e argomentazioni differenti per cercare di inquadrare questa disposizione normativa  in una precisa cornice giuridica.

3.1 La Dottrina

Secondo un primo orientamento dottrinale[29], la disposizione oggetto d’esame conferirebbe “carattere sussidiario” all’azione verso la holding e prevedrebbe la preventiva azione dei soci di minoranza e dei creditori sociali contro la società eterodiretta, alla stregua di una condizione di procedibilità nei confronti della capogruppo; solo in tal ipotesi, non soddisfacendo l’eterodiretta integralmente gli attori, questi possono aggredire in giudizio il patrimonio della holding.

Viceversa, secondo un altro orientamento[30], sicuramente meno rigido del primo, il comma in esame consentirebbe di agire nel giudizio di cognizione nei confronti della sola capogruppo, eventualmente instaurando il contraddittorio contro la società abusata al solo fine dell’accertamento della responsabilità da direzione unitaria, sancendo però un beneficium excussionis da far valere in sede esecutiva: il patrimonio della società dirigente potrà esser quindi aggredito solo successivamente all’infruttuosa escussione di quello della società eterodiretta.

L’orientamento prevalente[31] e, ad avviso dello scrivente quello più condivisibile, ritiene invece che il comma 3 dell’art. 2497 non preveda né un’ipotesi di responsabilità sussidiaria della capogruppo, né un beneficium excussionis (per cui l’azione contro la holding è procedibile ma suscettibile di essere arrestata dall’eccezione di preventiva escussione della eterodiretta), né un beneficium ordinis[32] (per cui l’azione contro la holding è possibile ma solo a seguito dell’assolvimento dell’onere di una preventiva richiesta di adempimento alla eterodiretta), ma ritiene semplicemente che esso abbia esclusivamente una finalità “organizzativa[33]; ossia  una garanzia a favore della capogruppo, la quale potrà evitare costi ed oneri (anche danni all’immagine) legati ad azioni giudiziarie che dovessero essere intraprese nei suoi confronti; così disponendo, il comma 3 parrebbe sollecitare la holding ad un intervento risolutivo informale della controversia, ad esempio mettendo a disposizione della eterodiretta le somme necessarie a tacitare le pretese avanzate da soci e creditori danneggiati.

3.2 I precedenti giurisprudenziali

Il problema relativo all’esegesi dell’art. 2497, 3° comma e nello specifico della possibilità di una preventiva escussione della società controllata è stato oggetto di numerose e variegate interpretazioni giurisprudenziali.

Si ricordino, a sostegno dell’esistenza di un beneficium excussionis in favore della holding, due pronunce, a dire il vero, ormai risalenti nel tempo: il Tribunale di Pescara, infatti, ha ritenuto che «Quanto alla legittimazione passiva dell’azione di responsabilità in esame, si condivide la posizione di autorevole dottrina per la quale la norma di cui al 3° comma dell’art. 2497 c.c. (…) pone soltanto un onere di preventiva escussione del patrimonio della società sottoposta all’altrui abusivo esercizio di direzione unitaria e non riguarda l’azione di cognizione»[34].

Orientamento peraltro condiviso dai giudici siciliani di Palermo per i quali «Il Tribunale, dissentendo da quella opinione dottrinaria secondo cui la preventiva messa in mora della società costituisce presupposto per l’esercizio dell’azione, ritiene di condividere il contrapposto indirizzo, sostenuto dalla giurisprudenza di merito (…) e da altra dottrina, per il quale la norma contempla solo un onere di preventiva escussione del patrimonio della controllata, da far valere in fase esecutiva, dopo avere comunque ottenuto un accertamento giudiziale che abbia confermato la sussistenza della responsabilità della holding e il danno subito dal socio. In altri termini, “ai fini di esercitare l’azione prevista dall’art. 2497 c.c., non è necessario che venga preventivamente messa in mora o, addirittura, escussa la società soggetta al controllo, perché il giudizio di cognizione è destinato all’accertamento della sussistenza degli elementi costitutivi della fattispecie e solo allorquando il socio avrà ottenuto una statuizione di condanna dovrà previamente agire esecutivamente sul patrimonio della società di cui fa parte»[35].

Di tutt’altro avviso è stato  il Tribunale di Milano, con la pronuncia del 2010, il quale, aderendo all’orientamento che ad oggi sembrerebbe maggiormente condiviso e condivisibile, ha sostenuto che «questa norma, a parere del Collegio, non sottende alcun tipo di responsabilità della società etero diretta nei confronti dei suoi soci, in ipotesi per avere subito senza opporsi o senza opporsi efficacemente ad una diminuzione patrimoniale causata dall’altrui illegittima attività di direzione/coordinamento ed a sua volta causativa di una diminuzione del valore delle partecipazioni (…). E ciò sia perché “quelle condotte non sono ascrivibili alla società eterodiretta ma, semmai, ai suoi amministratori, contro i quali essa ben potrà rivalersi ex artt. 2393 e 2476 c.c., sia “perché il danno riflesso subito dai soci trova origine proprio nel danno subito in prima battuta dalla società eterodiretta, sia “perché – almeno con riferimento al danno indirettamente provocato al valore della partecipazione – ai soci, proprio in quanto portatori di partecipazioni rappresentative di conferimento di capitale di rischio ed elementi costitutivi di un ente che gode di autonomia patrimoniale, non è mai consentito di chiedere all’ente ristoro per la diminuzione del valore della partecipazione che derivi dalla diminuzione del valore del patrimonio sociale”.

È opportuno sottolineare che ai soci è bensì consentito, al massimo, agire per conto della società nei confronti degli amministratori per i danni che questi le abbiano arrecato (artt. 2393 bis, 2476 comma 3 c.c.) e per ottenerne il risarcimento in favore della società, mai invece l’azione risarcitoria diretta nei confronti della società.

Si aggiunga, inoltre, che l’ipotesi di un diritto al risarcimento dei soci della società eterodiretta nei confronti della medesima finirebbe anche per contrastare con il principio di postergazione delle ragioni dei soci rispetto a quelle dei creditori sociali, risolvendosi in forme incontrollate di restituzione (almeno parziale) di conferimenti prima che siano estinti tutti i debiti sociali verso i terzi.  

Dunque la norma in esame, ribadisce il collegio milanese, “deve essere interpretata in senso letterale”, ossia un onere di richiesta di soddisfazione, posto in capo al socio e al soggetto creditore che ben può essere assolto anche citando in giudizio la società controllata in chiave di denuntiatio litis volta a stimolarla all’azione verso la controllante, verso gli amministratori di quella e verso i propri amministratori; la mancata soddisfazione consente loro di agire verso la holding senza che sia previsto in alcun modo che essi debbano (né che possano) agire previamente verso la loro società o, addirittura, escuterla infruttuosamente; la previa intervenuta soddisfazione dei soci danneggiati da parte della loro società preclude loro la possibilità di agire verso la holding. E questo è del tutto conforme ai principi generali, se si considera che i soci indirettamente lesi ben potranno essere indirettamente soddisfatti (eventualmente anche) attraverso appropriate iniezioni patrimoniali e/o finanziarie dalla controllante alla controllata che ripristinino valore e redditività delle loro partecipazioni al livello ante atto lesivo e consentano di ristorarli dei danni subiti medio tempore. Ciò significa “che non è previsto a favore della holding e rispetto alla società soggetta alla sua direzione, alcun beneficium excussionis nel senso proprio del termine – né di alcun beneficium ordinis – in realtà, come si è detto, la società controllata, rispetto ai suoi soci, non è un debitore che si pone accanto alla holding -, ma solo la possibilità di inibire l’azione dei soci qualora, prima della sua proposizione o durante il suo corso, essa attui, agendo verso la controllata, quelle misure che consentono la soddisfazione dei socie della controllata stessa”. D’altro canto, come già ampiamente evidenziato, è lo stesso art. 2497 comma 3 c.c. che prevede la possibilità di una previa sollecitazione da parte dei soci alla società etero diretta finalizzata a che essa ottenga dalla società dirigente i mezzi per risarcire il danno che essa abbia indirettamente provocato al valore delle loro partecipazioni, rimanendo escluso che tali mezzi possano provenire dal patrimonio della stessa società eterodiretta.  Soltanto quando, a seguito di tale sollecitazione (o per spontanea iniziativa della holding), i soci abbiano ottenuto soddisfazione prima o nel corso dell’azione, essi perderanno interesse ad agire nei confronti della holding.

Rimane perciò escluso che la sollecitazione di cui si tratta sia identificabile come condizione di procedibilità dell’azione verso la società dirigente. Tutto ciò, tuttavia, significa anche che i soci della controllata ben possono chiamare in giudizio la loro società in chiave di denuntiatio litis per consentirle di partecipare al giudizio e di prendere posizione rispetto alle domande rivolte alla holding e per stimolarla a richiedere alla stessa ed agli altri partecipi al fatto lesivo il risarcimento del danno subito per effetto dell’illegittima attività di direzione/coordinamento, affinché si creino i presupposti per l’adozione delle misure che potrebbero soddisfarli.

Pertanto, “il socio della società controllata non può proporre nei confronti di quella un’azione ex art. 2497 c.c. volta ad ottenere dalla medesima il risarcimento del danno che egli abbia indirettamente subito al valore della sua partecipazione come riflesso di un danno provocato al patrimonio sociale dall’illegittimo esercizio dell’attività di direzione/coordinamento da parte della società controllante. Tuttavia, “non pare potersi dubitare della possibilità che la società eterodiretta partecipi, nella veste che meglio ritenga di assumere, al giudizio promosso dai suoi soci nei confronti della società dirigente»[36].

Argomentazioni riprese più recentemente dal Trib. di Milano, sez. VIII, sent. 27 febbraio 2012, n.2464 nella quale si è affermato che “La società soggetta ad attività di direzione e coordinamento è legittimata ad esercitare l’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 2497 c.c. Non sussiste alcun obbligo di preventiva escussione della società controllata a carico del socio che eserciti l’azione di responsabilità nei confronti della società controllante ai sensi dell’art. 2497 c.c.” E cosi, ai fini della sussistenza della responsabilità ex art. 2497 c.c., occorre la prova: “a) dell’esercizio da parte di una società di attività di direzione e coordinamento nei confronti di altre; b) dell’antigiuridicità della condotta, cioè dell’esercizio di quell’attività che nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui, dunque estraneo a quello della società soggetta alla sua direzione e coordinamento, e in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società sottoposte ad essa; c) dell’evento dannoso, ovvero del pregiudizio arrecato al valore o alla redditività della partecipazione; d) del nesso di causalità tra condotta ed evento”[37].

Inoltre, la  pronuncia del 2015 sempre del Tribunale di Milano il quale ha  ribadito che “la decisione della capogruppo di stornare il core business di una controllata e di cessare ex abrupto ogni forma di assistenza finanziaria, determinando l’annichilimento imprenditoriale della società e l’annullamento del valore in essa delle partecipazioni dei soci esterni al controllo, viola i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e comporta la responsabilità della capogruppo e, in solido, dell’amministratore e del socio di controllo, senza alcun beneficio di preventiva escussione”[38].

Recentemente, è tornato sul punto anche il Tribunale di Catanzaro il quale ha evidenziato che “Il terzo comma dell’art. 2497 c.c. si giustifica con la necessità di assicurare alla società controllata un margine di iniziativa, rendendo lecita una facoltà il cui esercizio sarebbe altrimenti foriero di responsabilità per gli amministratori della società controllata”. Pertanto, “deve  essere condiviso l’orientamento espresso da quella giurisprudenza di merito secondo cui la suddetta norma si interpreta in senso debole, ovvero semplicemente in senso letterale: essa pone soltanto un onere di richiesta di soddisfazione in capo al socio (e al creditore), che ben può essere assolto anche citando in giudizio la società controllata in chiave di denuntiatio litis, volta a stimolarla all’azione verso la controllante, verso gli amministratori di quella e verso i propri amministratori. La mancata soddisfazione consente loro di agire verso la holding senza che sia previsto in alcun modo che essi debbano (né che possano) agire preventivamente verso la loro società o, addirittura escuterla infruttuosamente”.

Cosi, “né la messa in mora né la preventiva escussione della società controllata costituiscono, pertanto, condizioni dell’azione e di proponibilità della domanda volta a far valere la responsabilità dell’ente capogruppo, ma ciò non esclude che sussista comunque, in capo a chi agisce ai sensi dell’art. 2497 c.c., un onere (minimo) di dimostrazione di aver richiesto alla società l’adempimento del debito[39].

Aderendo a tali ed esaurienti argomentazioni, la Cassazione, con la pronuncia 05/12/2017, n. 29139,  arriva ad escludere categoricamente la preventiva escussione della controllata posto che l’art. 2497, comma 3, c.c. non prevede una condizione di procedibilità dell’azione contro la società che esercita attività di direzione e coordinamento, costituita dall’infruttuosa escussione, da parte del socio della controllata, del patrimonio di questa o della previa formale richiesta risarcitoria ad essa rivolta, avendo lo stesso Legislatore posto unicamente in capo alla società capogruppo l’obbligo di risarcire i soci esterni danneggiati dall’abuso dell’attività di direzione e coordinamento.  Nonostante la normativa in commento sembri far ricadere sui soci esterni della società eterodiretta un onere di preventiva escussione della medesima, la Cassazione non è convinta né dal punto di vista letterale né della ratio.

Così disponendo si condivide l’indirizzo di coloro che evidenziano la natura “organizzativa” del comma 3 dell’art. 2497 e l’opinione che nega chiaramente la legittimazione passiva alla società eterodiretta; se non altro perché il considerare responsabile la stessa, ponendola sullo stesso piano della holding in quanto a conseguenze dell’illecita attività di direzione e coordinamento, rappresenta una “inaccettabile equiparazione” tra soggetti giuridici che, non solo giocano un ruolo decisamente differente nel contesto di gruppo, ma che, nel fatto lesivo, risultano essere non concorrenti, ma rispettivamente autore e vittima dell’illecito. Si ricorda infatti che se spettasse in primis alla società diretta il soddisfacimento delle pretese attorie, il pregiudizio che si verrebbe a creare a carico della stessa sarebbe duplice: il danno diretto da fatto lesivo conseguente ad illecita direzione unitaria, e l’ulteriore “sacrificio” imposto per la riparazione di quel danno di cui la stessa è “vittima[40].

Da tal siffatto ragionamento si ribadisce che non sussiste alcuna condizione di procedibilità dell’azione contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita da beneficium excussionis o da beneficium ordinis, in assenza di un obbligo solidale nel debito risarcitorio. Se non sussiste un beneficio d’escussione, in via di cognizione o di esecuzione, né un onere di formale messa in mora stragiudiziale della controllata, neppure è configurabile la pretesa di essere da questa risarciti per fatto altrui (della controllante), ossia non si ha azione risarcitoria con quel petitum e con quella causa petendi contro la società eterodiretta, priva di legittimazione passiva, sia pure quale coobbligata, nell’azione risarcitoria per direzione abusiva ex art. 2497 c.c.

 4.Commento

Concludendo, la normativa introdotta dal Legislatore con la riforma del diritto societario non può essere assolutamente considerata soddisfacente. L’ampia diffusione che la forma dei “gruppi di società” sta avendo nella nostra prassi commerciale avrebbe richiesto sicuramente un intervento legislativo idoneo ad ovviare (o quanto meno a ridurre) gli aspetti patologici connessi a tale forma organizzativa[41].

Come si è visto, i problemi che sorgono a carico dei soci di minoranza e dei creditori dal fenomeno oggetto d’esame non sono di poco conto.

Tal disciplina appare caratterizzata da un evidente  paradosso[42]: ossia, quello di essere al contempo «di una semplicità quasi disarmante»[43] e porre in essere soluzioni di una  complessità che a volte sembrano  insuperabili.

Caratterizzata dal predetto paradosso è proprio la formulazione del 3º co. dell’art. 2497 c.c., oggetto di commento, la quale evidenzia la possibilità per “il socio ed il creditore sociale” di agire contro “la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento”.

La disposizione individuerebbe cosi un patrimonio, quello della controllata, che ‘‘in prima battuta’’ è chiamato a far fronte alle pretese risarcitorie dei creditori e soci di quella stessa società`: il 3º co. quindi, sembrerebbe introdurre un vero e proprio beneficio di escussione in favore della holding ed in un primo momento, parte della giurisprudenza di merito aveva pure ritenuto che tale disposizione introducesse un vero e proprio onere di escussione del patrimonio della società controllata che opererebbe, per alcuni, sin dal giudizio di cognizione e, per altri, solo in sede esecutiva[44]. Tuttavia, nel caso de quo, la Corte di Cassazione ha ribaltato tal schema e ha sviluppato il proprio percorso argomentativo a partire dal dato letterale evidenziando in particolare che:

1) l’articolo in esame fa riferimento a un’azione unicamente diretta nei confronti della capogruppo e non della società eterodiretta;

2) l’unico impedimento all’azione è l’avvenuta soddisfazione del socio o del creditore che ricorre quando gli stessi non abbiano più nulla a pretendere.

Si evidenzia cosi un “meccanismo meramente fattuale” che ha il chiaro effetto di eliminare il pregiudizio e che comporta il venire meno della responsabilità della capogruppo, al pari di quanto si verifica con la teoria dei vantaggi compensativi.

Come sottolineato da autorevole  dottrina[45], la tacitazione del debito può intervenire, ad esempio, laddove la capogruppo compia un’attribuzione patrimoniale a favore della eterodiretta che provvede a risarcire i propri soci oppure quando si riconosca la legittimazione della controllata ad agire per il risarcimento dell’intero pregiudizio arrecato al suo patrimonio.

Alla luce di tali considerazioni, ciò che preme evidenziare è come il Legislatore avrebbe potuto espressamente utilizzare il termine tecnico “beneficio di escussione” se nelle sue intenzioni ci fosse stata la volontà che la eterodiretta venisse convenuta in giudizio per l’escussione del proprio patrimonio. E questo non è stato assolutamente fatto.

Anzi, si è preso coscienza del fatto che l’azione ex art.  2497 c.c., sollevata dai soci contro la eterodiretta, ossia la società di cui possiedono le partecipazioni, produrrebbe effetti negativi nei confronti dell’intera compagine sociale, anche relativamente ai soci che ne sono rimasti estranei: cosi, le partecipazioni sociali subirebbero, per effetto di tale azione, una evidente  perdita di valore.

In aggiunta, si conviene come pacifico l’evidente paradosso di considerare quale convenuta nel giudizio risarcitorio la stessa società eterodiretta che ha subito un pregiudizio al proprio patrimonio in forza della condotta abusiva della holding: così opinando fondi necessari per risarcire i soci risulterebbero tratti dallo stesso patrimonio della società danneggiata.

In ultima istanza, l’affermare che la norma oggetto di commento non preveda una condizione di procedibilità dell’azione del socio contro la società che esercita l’attività di direzione e coordinamento, costituita dall’infruttuosa escussione della controllata e di conseguenza, affermare che, da un lato, il socio non ha il diritto di essere risarcito dalla controllata per fatto altrui, cioè della controllante, e, dall’altro, che la società  eterodiretta non è considerabile legittimata passiva, sia pure quale coobbligata nell’azione risarcitoria ex art. 2497 c.c. è  condivisibile poiché, da un lato, rispettosa della volontà del Legislatore e del dato letterale della disposizione e, dall’altro, coerente con il fatto che la società eterodiretta danneggiata non debba avere l’obbligo di risarcire i soci pregiudicati dall’attività di direzione e coordinamento della holding[46].

[1] È bene ricordare come l’ipotesi di responsabilità ex. art. 2497 c.c. era peraltro considerata ed evidenziata da notevole giurisprudenza e dottrina già prima della riforma del diritto societario del 2003: ad oggi, con la novella del 2003 e nel nuovo art. 2497 c.c. tale ipotesi di responsabilità trova specifica disciplina.

[2]Illuminante sul punto TOMBARI U., Crisi d’impresa e doveri di “corretta gestione societaria e imprenditoriale” della società capogruppo. Prime considerazioni in Riv., dir. Comm., 2011, I, p. 631 ss il quale chiarisce come “la formula “principi di corretta gestione imprenditoriale e societaria induce a ritenere che l’esercizio abusivo dell’attività di direzione e coordinamento includa  sia l’emanazione di Direttive o l’adozione di Decisioni idonee a compromettere la solvibilità, la continuità e l’equilibrio aziendale della controllata, sia la violazione degli obblighi di prevenzione della crisi e di tempestiva attivazione dei rimedi volti alla soluzione o quantomeno a non aggravare il dissesto”.

[3]Conforme a quanto esposto si veda Trib. S. Maria Capua Vetere 16 aprile e Trib. Palermo 15 giugno 2011 in Foro it., 2011, 3184 in cui: “non è la mera possibilità di esercitare un’influenza dominante su una o più società, ma l’esercizio effettivo di tale influenza attraverso un’attività di direzione e coordinamento Il rapporto tra le norme viene risolto, quindi, esaminando il binomio controllo – direzione. Tale presunzione non deve essere considerata esaustiva, ma al contrario esplicita una delle possibili ipotesi dell’attività di direzione e coordinamento, che potrebbe esistere anche al di fuori di una stretta nozione di controllo e, quindi, anche in presenza di partecipazioni minoritarie e/o indirette, con l’effetto che non può essere associata la direzione e coordinamento al solo concetto di controllo”.

[4] Sul punto si veda Cass. Civ., Sez. I, 12 giugno 2015, n. 12254, in banca dati DeJure, Giuffrè, disponibile su www.iusexplorer.itesprimendo il principio secondo cui il terzo comma dell’art. 2497 c.c. (“Il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l’ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento”) non prevede una responsabilità della holding debitrice sussidiaria e aggiuntiva rispetto a quella prevista dal primo comma per cui le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all’integrità del patrimonio della società.

[5] Trib. S.Maria Capua Vetere 16 luglio 2014 in ilcaso.it in cui “ La disposizione contenuta nel terzo comma dell’articolo 2497 c.c., in tema di responsabilità della capogruppo per i danni provocati alle società controllate nello svolgimento dell’attività di direzione e coordinamento in violazione dei principi di corretta gestione, precisa che il creditore può agire contro la capogruppo solo se non è stato soddisfatto dalla società diretta o controllata, con la conseguenza che rilevano solo le lesioni alla integrità patrimoniale da cui derivi una insufficienza a soddisfare le ragioni dei creditori sociali”, disponibile qui: http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/11765

[6] Si veda sul punto SALATINO G., La responsabilita` della holding nel nuovo art. 2497 c.c.: davvero una ‘‘nuova frontiera’’ della responsabilita` civile?, in Resp. civ., 2010, 4.

[7] Dalla Relazione accompagnatoria al D.lgs. n. 6/2003  viene rimarcata la difficoltà di utilizzare “le innumerevoli definizioni di gruppo esistenti nella normativa di ogni livello”, sono “funzionali a problemi specifici”; mentre qualunque nuova nozione sarebbe risultata inadeguata di fronte all’incessante evolversi della realtà sociale, economica e giuridica sottostante .

[8] RORDORF R., I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in Le Società, n. 5/2004, pp. 538  il quale parla  della “visione” industriale del gruppo di imprese.

[9] FERRI G., Manuale di diritto commerciale, XIV ed., a cura di C. Angelici e G. B. Ferri, Wolters Kluwer Italia, Milano, 2015, p. 480 ss.

[10] SCOGNAMIGLIO G., in Commentario del Codice Civile, diretto da E. Gabrielli, Delle società – dell’azienda della concorrenza (artt. 2452 – 2510), a cura di D. U. Santosuosso, Utet Giuridica, Torino, 2015 .

[11] MARCELLO R., LOIA A.M., Direzione e coordinamento di società: regime pubblicitario e informativa di bilancio, in Il fisco, fasc. 1, 2011.

[12] Trib. di Milano, sez. VIII, 17 febbraio 2012 n. 2085 tratta da archivio di Giurisprudenza delle Imprese.

[13] ALPA G., La responsabilità per la direzione e il coordinamento di società. Note esegetiche sull’art. 2497 cod. civ., in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, parte seconda, 2004, pp. 659 ss.

[14] DI MAJO A., La responsabilità per l’attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 3, 2009, pp. 537 ss

[15] SALAFIA V., La responsabilità della holding verso i soci di minoranza delle controllate, in Le Società, n. 1/2004, pp. 5 ss.

[16]  LEMME G., Il diritto dei gruppi di società, 2013, Il Mulino, p. 22.

[17] Si veda in merito Trib. di Torino, sez. I, 21 dicembre 2012 (tratta da banca dati DeJure – Giuffrè). Più preciso è stato invece il Tribunale di Pescara 2 febbraio 2009 in Foro it., 2009, 2829)  il quale solo con riferimento all’attività di direzione parla appunto di «(…) pluralità sistematica e costante di atti di indirizzo idonei ad incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali.» mentre riferendosi nel successivo capoverso proprio all’attività di coordinamento la definisce come «(…) realizzazione di un insieme di sinergie tra diverse società del gruppo nel quadro di una politica strategica complessiva, estesa all’ “insieme” di società»; conclude puntualizzando che «La direzione opera – potrebbe quindi dirsi – in senso verticale; il coordinamento in senso orizzontale.»

[18] MONTALENTI P., Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. soc., fasc. 2-3, 2007, p. 320 ss. A supporto è opportuno menzionare la recente  App. Venezia 19 dicembre 2017 in ilcaso.it la quale ribadisce con forza che “ L’attività di direzione e coordinamento consiste nell’esercizio effettivo di un’ingerenza qualificata nella gestione di una o più società, espressione di una posizione di potere tale da incidere stabilmente nelle scelte gestorie e operative dei singoli organi amministrativi e tuttavia concretizzata in comportamenti estranei alla sfera della corretta gestione societaria e imprenditoriale, animati dal perseguimento di interessi propri o di terzi”.

[19] E’intesa come “pluralità di atti”.

[20] In tal senso SBISA’ G., Commento all’art. 2497 c.c., in Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Direzione e coordinamento di società, a cura di G. Sbisà (artt. 2497-2497-septies c.c.), Giuffrè, Milano, 2012. Inoltre, DI MAJO A., La responsabilità per l’attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, in Giurisprudenza commerciale, fasc. 3, 2009, pp. 537 ss., ritiene che definire l’attività di direzione e di coordinamento comporta, come diretta conseguenza, la definizione del presupposto soggettivo ed oggettivo di applicazione della disciplina; consente dunque di individuare i soggetti che si definiscono responsabili e l’oggetto attorno a cui ruota la loro responsabilità.

[21] Su tutte si veda Tribunale di Mantova, Sez. II, 16 ottobre 2014, in banca dati DeJure, Giuffrè.

[22] Sulle modalità di svolgimento della direzione unitaria si veda CALLEGARI M., I gruppi di società, in Il nuovo diritto societario – nella dottrina e nella giurisprudenza: 2003-2009, commentario diretto da G. Cottino e G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Zanichelli, Torino, 2009.

[23] SALAFIA V., La responsabilità della holding nei confronti dei soci di minoranza delle controllate, in Le Società, fasc. 2-bis, 2003.

[24] SBISA’ G., cit.

[25] SALAFIA V., cit.

[26] ROSSOTTO , CRESTA, Direzione e coordinamento di gruppo nella riforma societaria: prime riflessioni, in Corr. Giur. n. 6, 2003, 824.

[27]ANGELICI C., La riforma delle società di capitali, op. già cit., 208 – 209; ABBADESSA P., La responsabilità della società capogruppo verso la società abusata: spunti di riflessione, op. già cit., 287; SCOGNAMIGLIO G., Danno sociale e azione individuale nella disciplina della responsabilità da direzione e coordinamento, op. già cit., 953; GUIZZI G., Eterodirezione dell’attività sociale e responsabilità per mala gestio nel nuovo diritto dei gruppi, in Riv,. dir. comm. 2003, I, 454; MAGGIOLO , L’azione di danno contro società o ente capogruppo (art. 2497 3° c.), in Giur. comm. 2006, I, 176; BADINI, CONFALONIERI, op. già cit, credono che non ci sia addirittura una responsabilità della società etero gestita verso i propri soci o creditori sociali, una responsabilità autonoma o solidale con la responsabilità della capogruppo. Si afferma in tal senso che la norma, nel limitare la possibilità di agire contro la capogruppo, “sarebbe riferita ai casi in cui proprio la società etero gestita abbia deciso di soddisfare i suoi soci e creditori sociali nonostante la mala gestio della capogruppo, e lo abbia fatto per evitare la loro azione contro quest’ultima”  .

[28] Si menziona la pronuncia del Tribunale Milano 23 aprile 2008, Soc. 2009, 86 che sostiene che “il nuovo art. 2497 c.c., nella sua formulazione strettamente letterale, mostra di fare riferimento ad un esercizio attivo di funzioni di direzione e coordinamento, secondo condotta intenzionalmente orientata, all’interno di uno schema che prevede un’influenza attiva sulla vita della controllata consapevolmente esercitata dalla capogruppo e, almeno in via ordinaria, una altrettanto consapevole cooperazione da parte degli amministratori della medesima controllata” ed è proprio l’inadempimento da parte degli amministratori della società diretta e coordinata a giustificare, secondo i giudici milanesi, la previsione dell’art. 2497 3° comma c.c.

[29] Su tutti LEMME G., Il diritto dei gruppi di società, 2013, Il Mulino., p. 35, per il quale «Né, a nostro avviso, si può aderire alla tesi in base alla quale l’obbligo di preventiva escussione varrebbe in sede esecutiva, ma non in sede di processo di cognizione, se non nel senso che l’azione nei confronti del soggetto che ha abusato di attività di direzione e coordinamento possa essere proposta contemporaneamente a quella nei confronti della società di cui è socio l’attore. Se ciò in effetti sembra possibile (salvo poi dover agire in sede esecutiva preventivamente verso la società soggetta a direzione e coordinamento) non ci sembra viceversa che la norma consenta di avviare un giudizio verso la sola capogruppo, prima di aver agito nei confronti della controllata».

[30]GALGANO F., Le partecipazioni azionarie e i gruppi di società, in Diritto Commerciale, Vol. II, 2013, Zanichelli, p. 265, il quale riferendosi alla responsabilità da direzione unitaria sostiene che «(…) è una responsabilità sussidiaria e che la società o l’ente (…) gode del beneficio della preventiva escussione della società per il tramite della quale la holding ha cagionato il danno al socio o al creditore agente. (…) il beneficio della preventiva escussione opera in sede esecutiva e non anche in sede di processo di cognizione. (…) La holding potrà essere convenuta in giudizio, insieme alla controllata, dal socio o dal creditore danneggiato per l’accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno; ma l’azione esecutiva non potrà essere promossa nei confronti della prima se la pretesa risarcitoria del socio o del creditore possa trovare soddisfacimento nel patrimonio della seconda, e perciò solo dopo aver inutilmente escusso il patrimonio di questa o sulla prova della sua insolvenza».

[31] CARIELLO V., Primi appunti sulla c.d. responsabilità da attività di direzione e coordinamento di società, in Rivista di Diritto Civile, 2003, p.339 per il quale «(…) la norma non mi pare creare un beneficium excussionis o d’ordine della società diretta e coordinata (…)»; o v. ancora A. NEGRI-CLEMENTI e F. M. FEDERICI, La natura della responsabilità della capogruppo e la tutela del socio di minoranza, in Le Società, n. 5/2013, p. 527, per cui «È da ritenersi, invece, che l’onere previsto dalla norma non esiga una vera e propria preventiva escussione del patrimonio, come ad esempio è previsto per effetto degli artt. 2268 e 2304 c.c.»

[32] «Invero, l’onere previsto dalla norma non pare esigere una vera e propria preventiva escussione del patrimonio, come ad esempio succede per effetto del disposto di cui all’art. 2268 c.c., essendo sufficiente provare di aver chiesto senza successo l’adempimento del debito scaduto.» così F. FIMMANÒ, Abuso di direzione e coordinamento e tutela dei creditori delle società abusate, in Rivista del Notariato, fasc. 2, 2012, p. 283.

[33]SILVESTRINI S., La legittimazione attiva e passiva nell’azione di responsabilità per scorretto esercizio dell’attività di direzione e coordinamento, in Le Società, n. 8-9/2013, p. 941.

[34] Trib. di Pescara, 2 febbraio 2009 (in Foro it., 2009, 2829), superando l’unico precedente (Trib. di Messina, 7 maggio 2008, n. 917), che considerava la responsabilità della capogruppo come sussidiaria e l’art. 2497 comma 3 come previsione di un beneficium excussionis forte, tale da obbligare ad instaurare dapprima un giudizio di cognizione contro la eterodiretta e solo in caso di mancato soddisfacimento da parte di questa contro la holding.

[35] Trib. di Palermo, 15 giugno 2011, n. 2982 (in Foro it., 2011, 3184).

[36] Trib. di Milano, sez. VIII, 7 ottobre 2010 (tratta da banca dati DeJure – Giuffrè).

[37] Trib. di Milano, sez. VIII, 27 febbraio 2012, n. 2464.

[38] Trib. Milano 18 dicembre 2015 in www.giurisprudenzadelleimprese.it

[39] Trib. Catanzaro 8 marzo 2017 disponibile in ilcaso.it

[40] Si contribuirebbe cosi a depauperare la redditività e il valore della partecipazione del socio e ad intaccare l’integrità patrimoniale in favore del creditore; un meccanismo questo che, se portato alle sue estreme conseguenze, legittimerebbe ad agire, secondo l’ipotesi del regresso all’infinito, soci e creditori nuovamente contro la società eterodiretta.

[41] SALATINO G., La responsabilità della holding nel nuovo art. 2497 c.c.: davvero una ‘‘nuova frontiera’’ della responsabilità civile?  in Resp. civ., 2010, 4.

[42] Sul punto si veda ZAMPERETTI. G., La responsabilita` di amministratori ecapogruppo per ‘‘abuso di direzione unitaria’’ con la nota alla sentenza del Trib. Milano 22 gennaio 2001, in Fall., 2001, 1156.

[43]MONTALENTI P., Conflitto di interessi nei gruppi di societa` e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, I, 710 ss.

[44] Si ricordino le sentenze Trib. Palermo 3 giugno 2010; Trib. Pescara 3 febbraio 2009, Trib. Palermo 15 giugno 2011.

[45] Su tutti si veda MAUGERI M., “Partecipazione sociale e attività d’impresa”, Milano, 2010, 384.

[46] Si ricordi l’indirizzo che evidenzia la natura “organizzativa” del comma 3 dell’art. 2497 e l’opinione che nega legittimazione passiva alla società eterodiretta.

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