venerdì, Marzo 29, 2024
Uncategorized

Diritti audiovisivi sportivi e tutela offerta dal diritto d’autore

Non si può certo sbagliare dicendo che, in Italia, le partite di calcio sono tra gli spettacoli più seguiti dallo spettatore medio. Con gli amici o nella solitudine un po’ “zen” di casa propria, la visione della propria squadra del cuore che scende in campo è diventata un vero e proprio rito per gli italiani, specialmente per chi non ha la possibilità di recarsi personalmente allo stadio ma, sebbene questa sia un’abitudine talmente consolidata da far pensare che sia sempre stato così, ciò non corrisponde al vero.

La trasmissione delle prime partite di calcio in televisione è, infatti, relativamente “giovane”, in quanto coincise con l’introduzione, in Italia, della televisione stessa, ovvero negli anni ‘50 del secolo scorso. Di pari passo con la crescita dell’importanza della televisione emergevano anche le problematiche. All’inizio, negli anni ’60 e ’70, per intenderci, la situazione era, in verità, abbastanza semplice, due soli infatti erano i soggetti “in gioco”, ovvero la Rai, con il proprio monopolio quale unica emittente televisiva italiana, e la Lega Calcio quale venditrice del “prodotto”.

Già negli anni ’80, invece, la situazione si inizia a “vivacizzare”, con l’emanazione, in attuazione alla direttiva comunitaria n. 552 del 1989 C.E.E., dal titolo “Televisione senza frontiere” (essa dava, infatti, una legislazione basilare a tutti i Paesi membri dell’Unione europea e poggiava su due: concetti chiave: libera circolazione dei programmi televisivi europei e creazione di “quote di trasmissione”) della cd. Legge Mammì [1].

Questa legge, che nasce dopo un periodo che aveva visto formarsi un monopolio della televisione privata nelle mani della Fininvest [2], aveva gli obiettivi di imporre limiti alla raccolta pubblicitaria e fissare un numero massimo di tre emittenti nazionali, comprese quelle a pagamento per ogni gruppo, ciò non solo al fine di “congelare” il “duopolio” della Rai e della Fininvest, ma anche per favorire un pluralismo dell’informazione [3] di due tipi:
A) interno: nel senso di “apertura alle diverse opinioni, tendenze politiche, sociali, culturali e religiose” [4];
B) esterno: corrisponde alla possibilità d’ingresso nel mercato di diversi  partecipanti. Per la legge esso si realizza con il concorso di soggetti pubblici e privati (pluralismo degli operatori o emittenti).

Negli anni ’90, va detto, non furono solo la Rai e la Fininvest ad “avere problemi”, anche la Lega Calcio, infatti, vide mettere in discussione la propria figura di unica proprietaria e distributrice del diritto di vedere le partite dall’entrata in scena delle prime società che iniziano a trasmettere sul canale digitale, arrivando a decidere, a seguito dell’ingresso nel mercato di Telepiù, che i diritti in chiaro, da una parte, vengano venduti alla Rai per tre anni e, dall’altra, che i diritti criptati vengano assegnati all’unico operatore sul mercato delle televisioni a pagamento, ossia Telepiù.

Nessuno, tuttavia, aveva fatto i conti con le società calcistiche, le quali, vedendo dai sistemi di diffusione criptati nuove fonti di ricchezza, protestarono fortemente contro la vendita centralizzata ed ottennero soddisfazione, da parte del legislatore, con l’emanazione della legge n. 78 del 29 marzo 1999 [5], che non solo consentiva la negoziazione individuale dei diritti di trasmissione criptata di immagini di partite di campionati di serie A e B, ma ha, per prima, attribuito alle società di calcio di serie A e B della titolarità dei diritti televisivi in forma codificata.

Questo passaggio ad una modalità di vendita di tipo individuale, tuttavia, ebbe l’effetto di avvantaggiare soprattutto le società di calcio più “famose”, garantendo loro profitti molto elevati a danno di quelle società cd. “minori” e generando, così, una sperequazione molto forte tra i diversi club calcistici affiliati ai campionati italiani. È alla luce di tale situazione di fatto che “entrò in gioco”, in attuazione della legge delega 19 luglio 2007, n. 106, [6], il Decreto Legislativo 9 gennaio 2008, n. 9 (cd. Decreto Melandri) [7]. Con questo decreto:

1) si passa dalla titolarità soggettiva (in capo alle singole società di calcio) alla contitolarità tra l’organizzatore della  competizione (la Lega Calcio, su mandato della Figc) e i singoli organizzatori degli eventi, ovvero le società calcistiche;

2) all’organizzatore del campionato, ovvero alla Lega Calcio, è attribuito in via esclusiva il diritto di utilizzazione economica delle immagini in movimento. Sarà, poi, compito della Lega offrire i diritti a tutti gli operatori su tutte le piattaforme possibili tramite procedure competitive di vario tipo, nonché di predisporre linee guida in materia di offerta, assegnazione e formazione dei diritti, le quali devono obbligatoriamente essere approvate, entro 60 giorni dalla loro predisposizione, dall’Autorità per le Comunicazioni, sentita l’Antitrust;

3) è data alla Lega la possibilità di scegliere tra l’attuare più gare per l’assegnazione dei diritti sulle diverse piattaforme o mettere le piattaforme in concorrenza fra loro (o utilizzare entrambe le modalità);

4) possono partecipare alle gare per l’assegnazione dei diritti audiovisivi solo gli operatori che hanno il titolo abilitativo a trasmettere. È, poi, severamente vietato acquisire in esclusiva tutti i pacchetti relativi alle dirette, fermi restando i divieti in materia di posizioni dominanti: ciò per assicurare la presenza di più operatori nel settore, nonché per accertarsi che sia l’effettivo acquirente dei diritti ad avvalersene. La durata massima per tali contratti di licenza è pari a tre anni;

5) è obbligatorio che una quota delle risorse dei diritti venga destinata a sviluppare i settori giovanili delle società, a sostenere gli investimenti per la sicurezza degli stadi e a finanziare ogni anno almeno due progetti di particolare rilievo sociale a sostegno di discipline sportive diverse dal calcio;

6) per quanto riguarda la ripartizione delle risorse: è stabilito che una quota non inferiore al 40% venga distribuita in parti uguali fra tutti i partecipanti a ciascuna competizione. Quanto al campionato di serie A, il 40% viene diviso in parti uguali fra tutte le squadre, il 30% sulla base dei risultati sportivi conseguiti e il 30% secondo il bacino di utenza. Del 30% relativo al risultato sportivo, il 10% viene determinato in base dei risultati conseguiti da ogni squadra dalla stagione 1946/47, il 15% in base ai risultati delle ultime 5 stagioni e il 5% in base all’esito dell’ultima competizione. Del 30% relativo al bacino di utenza, il 25% viene determinato in base al numero di sostenitori di ogni squadra e il 5% in base alla popolazione del comune di residenza.

Fino a questo punto, si è parlato di diritti audiovisivi sportivi senza fornire alcun elemento che potesse ricollegarli al diritto d’autore. Questo perché, prima dell’entrata in vigore del detto decreto del 2008, la questione sul se le riproduzioni audiovisive degli eventi sportivi godessero o meno della tutela offerta dalla disciplina del diritto d’autore e connessi era oggetto di molti dubbi, specie in giurisprudenza.

Sino alla fine degli anni ’90, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario non era del parere che uno spettacolo sportivo costituisse opera dell’ingegno e, pertanto, non si riteneva rientrasse nell’ambito della tutela offerta dal diritto d’autore. In particolare, si dubitava, da una parte, dell’inquadramento degli incontri di calcio nell’ambito delle opere dell’ingegno, poiché in essi sarebbero stati privi della creatività (anche minima) necessaria ex art. 1 legge 22 aprile 1941 n. 633, consistendo invece in una “pura e semplice applicazione di un set di regole” appartenenti ad una certa disciplina sportiva [8] e, dall’altra, della possibilità di tutelare la prestazione (sportiva) dell’atleta a titolo di artista interprete esecutore ex artt. 80  e ss. Legge 22 aprile 1941, n. 633 [9].

La giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha però proposto soluzione parzialmente diversa. Nella sentenza FAPL, infatti, la Corte ha affermato che, nonostante l’evento sportivo in sé non sia qualificabile come “opera” dell’ingegno data l’assenza dell’attività creativa di un autore, i singoli ordinamenti giuridici degli Stati membri possono concedere una tutela analoga a quella prevista in materia di diritto d’autore per il fatto che gli eventi sportivi hanno un carattere unico e, in tal senso, originale [10].

Il decreto Melandri ha preceduto di poco la detta sentenza, trovando una sorta di “scappatoia” nello stabilire che le disposizioni previste dalla legge sul diritto d’autore, con particolare riferimento all’art. 78-quater della detta legge n. 633 del 22 aprile 1941 [11], fossero applicabili ai diritti audiovisivi sportivi nel limite della compatibilità di questi ultimi alle stesse.

È d’obbligo una piccola precisazione, i diritti audiovisivi di cui all’oggetto non hanno caratteristiche analoghe a quelli sulle opere dell’ingegno e sui prodotti culturali tutelati da diritti connessi, tuttavia presentano alcuni elementi in comune con essi, quale, ad esempio, la dissociazione tra titolarità ed esercizio del diritto (prevista per le opere collettive e per quelle cinematografiche rispettivamente dagli artt. 38 e 45 della legge 22 aprile 1941 n. 633 [12]).

Situazione diversa per quanto riguarda, invece, le riprese televisive di un evento sportivo, in cui le competenze necessarie per le inquadrature in rapido movimento e la creatività della regia nella posizione e nella tempistica di ripresa forniscono all’opera finale un’originalità rilevante ai sensi della Legge sul diritto d’autore del 22 aprile 1941 n. 633. L’entrata a far parte delle riprese televisive di un incontro di calcio nell’ambito delle opere dell’ingegno è stata, altresì, “ufficializzata” da Corte di cassazione che, in un caso di illecita trasmissione via internet di partite del campionato di calcio, ha affermato che in astratto “la trasmissione di un evento sportivo calcistico, per le tecniche delle riprese, può considerarsi una opera dell’ingegno e che anche qualora le trasmissioni non fossero da qualificare come opere di ingegno, possa trovare applicazione la ipotesi di reato di cui alla l. n. 633 del 1941, art. 171, lett. f, nella interpretazione estensiva fornita dalla giurisprudenza, che tutela i programmi coperti dal diritto di esclusiva indipendentemente dalla loro qualificazione come opere di ingegno” [13].

In conclusione, per quanto sull’argomento ci sarebbe da discorrere ulteriormente, possiamo dire con certezza che anche la partite di calcio trasmesse in televisione hanno avuto la loro giusta fetta di tutela.

[1]Legge 6 agosto 1990, n. 223, disponibile qui: http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1990-0809&atto.codiceRedazionale=090G0270&elenco30giorni=false;

[2] Fininvest S.p.A. è una holding che detiene il reparto azionario della famiglia Berlusconi, con a capo il suo fondatore Silvio Berlusconi;

[3] Nelle scienze sociali, con il termine pluralismo si intende “una struttura di interazioni nella quale i diversi gruppi e/o soggetti mostrano rispetto e tolleranza reciproci, vivendo ed interagendo in maniera pacifica, senza conflitti e senza prevaricazioni (e, soprattutto, senza che nessuno tenti di assimilare l’altro)”, definizione disponibile qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Pluralismo;

[4] cfr. sentenza n. 826 del 1988 della Corte Costituzionale della Repubblica Italiana in cui si definisce il pluralismo come la concreta possibilità di scelta tra programmi che garantiscano l’espressione di tendenze aventi caratteri eterogenei (pluralismo dell’informazione), disponibile qui: http://www.giurcost.org/decisioni/1988/0826s-88.html;

[5] disponibile qui: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/99078l.htm;

[6] Legge delega 19 luglio 2007, n. 106, disponibile qui: http://www.parlamento.it/parlam/leggi/07106l.htm;

[7] Decreto Melandri, disponibile qui: http://www.camera.it/parlam/leggi/deleghe/08009dl.htm;

[8] cfr. L. Nivarra, I diritti esclusivi di trasmissione di eventi, in AIDA, 2008, p. 34 ss;

[9] Testo della legge 22 aprile 1941, n. 633, disponibile qui: http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm;

[10] CGUE, sent. 4 ottobre 2011, FAPL cause riunite C-403/08 e C-429/08. Secondo la Corte UE, «gli incontri di calcio non possono essere qualificati come opere protette dal diritto d’autore. Il diritto dell’Unione europea non li tutela ad alcun altro titolo nell’ambito della proprietà intellettuale. Ogni stato membro può tuttavia legittimamente tutelare gli incontri sportivi, eventualmente a titolo della proprietà intellettuale, istituendo una normativa nazionale specifica, ovvero riconoscendo loro una tutela garantita da strumenti convenzionali»; in particolare secondo le parole della Corte gli incontri ora detti «sono disciplinati dalle regole del gioco» e conseguentemente “non lasciano margine per la libertà creativa ai sensi del diritto d’autore». Da ciò discende che: (i) il diritto d’autore UE non protegge gli incontri di calcio come opere dell’ingegno o prodotti culturali tutelati da diritti connessi neppure in base ad altri diritti di proprietà intellettuale; (ii) le norme europee di armonizzazione prevedono un livello minimo di tutela che gli Stati membri possono innalzare, conseguentemente gli incontri di calcio possono essere eventualmente tutelati attraverso gli strumenti di diritto della proprietà intellettuale; (iii) oppure con la predisposizione di diritti esclusivi non riconducibili ai diritti di proprietà intellettuale, potendo lo Stato membro prevedere una disciplina specifica o riconoscere la tutela garantita aliunde per mezzo di “strumenti convenzionali”. Disponibile qui:
http://curia.europa.eu/juris/liste.jsf?language=it&num=C-403/08;

[11] “Ai diritti audiovisivi sportivi di cui alla legge 19 luglio 2007, n. 106, e relativi decreti legislativi attuativi si applicano le disposizioni della presente legge, in quanto compatibili” art 78-quater, Legge 22 aprile 1941, n. 633, disponibile qui: http://www.interlex.it/testi/l41_633.htm;

[12] Cfr. L. Nivarra, I diritti esclusivi di trasmissione di eventi, in AIDA, 2008, p. 38;

[13] Cass. pen., Sez. III,4 luglio 2006, n. 33945, disponibile qui: https://www.ictlex.net/?p=574;

Valentina Ertola

Dott.ssa Valentina Ertola, laureata presso la Facoltà di Giurisprudenza di Roma 3 con tesi in diritto ecclesiastico ("L'Inquisizione spagnola e le nuove persecuzione agli albori della modernità"). Ha frequentato il Corso di specializzazione in diritto e gestione della proprietà intellettuale presso l'università LUISS Guido Carli e conseguito il diploma della Scuola di specializzazione per le professioni legali presso l'Università degli Studi di Roma3. Nel 2021 ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense. Collaboratrice per l'area "IP & IT".

Lascia un commento