giovedì, Aprile 18, 2024
Uncategorized

Diritto alla disconnessione del lavoratore: primi passi italiani.

Qualche tempo fa, poco prima dell’approvazione in senato del disegno di legge sul lavoro autonomo, abbiamo trattato dello “ smart working” o cd.  “lavoro agile”, definendolo come una nuova e sempre più diffusa tipologia di esecuzione della prestazione lavorativa, slegata dalle classiche tempistiche tipiche del lavoro subordinato e permeata dalla logica della flessibilità gestionale del rapporto di lavoro.

Perno del provvedimento legislativo (ddl. n. 2233 recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”, ora in esame presso la commissione lavoro della Camera dei deputati) è la volontà del legislatore di fornire agli attori operanti nel contesto delle relazioni lavorative ed industriali una cornice legislativa atta a regolare un mondo del lavoro costantemente in evoluzione, non più cristallizzato nei classici paradigmi ma tendente alla costante conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nell’ottica di promuovere il benessere fisico e mentale del lavoratore e la possibilità di un suo costante aggiornamento professionale.

Centrale in tale contesto risulta l’uso dei devices tecnologici (pc, smartphone, tablet), strumenti in grado di permettere al lavoratore di svolgere la propria attività lavorativa al di fuori dei locali aziendali e con una regolazione contrattuale del rapporto di lavoro tra prestatore e datore non più rigidamente ancorata alla necessità di definire orari lavorativi predefiniti.

Ma è proprio alla luce di tale evoluzione, che segna il definitivo approdo nell’era dell’industry 4.0, che sorge la necessità di delineare con maggior precisione i limiti entro i quali la “connessione” del lavoratore con l’attività svolta deve arrestarsi e permettere allo stesso di non essere più reperibile.

Nasce così un vero e proprio ”diritto alla disconnessione” dagli strumenti tecnologici in dotazione al lavoratore per lo svolgimento della propria attività lavorativa con la contestuale tutela dei periodi obbligatori giornalieri di non reperibilità. Tale diritto poggia sulla constatazione che forme di lavoro agile, connotate da un uso intensivo della tecnologia, rendono “poroso” (da qui il termine “time porosity” o “spill over”) il confine tra ciò che configura esercizio della prestazione lavorativa (ad es. scambio di email, telefonate, videoconferenze)e quella che è la vita privata del lavoratore.

Alcune grandi multinazionali si sono dimostrate sensibili rispetto a tale problematica: la Deutsche Telekom e la Volkswagen hanno inserito specifiche norme nei contratti lavorativi relative al diritto del lavoratore di “disconnettere” i propri devices lavorativi in determinate fasce orarie, prevedendo rigorosi limiti alla reperibilità del lavoratore al di fuori delle tempistiche contrattualmente regolate.

E’ da guardare quindi con particolare interesse a tal proposito l’art.55 della Loi Travail  (la recente riforma del diritto del lavoro francese promossa dal ministro Myriam al Khomri) che, modificando l’art. 2242-8 del codice del lavoro francese, ha espressamente sancito (attualmente solo per le aziende con più di 50 dipendenti) il diritto alla disconnessione del lavoratore, stabilendo che i contratti collettivi aziendali o, in mancanza, specifici accordi tra prestatore e datore di lavoro, regolino le modalità con cui possano essere rispettati i tempi di riposo lavorativi (compreso il periodo feriale) e le esigenze del lavoratore connesse alla vita privata e familiare.

In Italia non vi è ancora una precisa normativa in tema di diritto alla disconnessione del lavoratore, ma segnali positivi giungono proprio dalle legge che regola lo “smart working”:  l’art. 3 co.7 ddl n.2233 prevede che “nel rispetto degli obiettivi concordati e delle relative modalità di esecuzione del lavoro, nonché delle eventuali fasce di reperibilità, il lavoratore ha diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche di lavoro senza che questo possa comportare, di per sé, effetti sulla prosecuzione del rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.

Sebbene tali embrionali segnali di consapevolezza del legislatore siano da accogliere con favore, appare ancora fortemente limitante la previsione di tale diritto solo nel contesto dello “smart working”, lasciando prive di tutela ( o quantomeno di inquadramento normativo) fattispecie professionalmente eterogenee ma sostanzialmente accomunabili quanto alle istanze di fondo.

La futura (ed auspicabile) disciplina di dettaglio della materia dovrà necessariamente tenere conto del legame, previsto espressamente all’art.36 della Costituzione, tra orario di lavoro e retribuzione, non essendo possibile escludere la possibilità di prevedere forme di retribuzione ulteriori per i lavoratori che sono obbligati ad essere costantemente connessi o sono soggetti a fasce di reperibilità più estese rispetto a coloro che svolgono mansioni equivalenti, allo scopo di rendere effettiva la volontà del legislatore di creare un sistema di regolazione dei rapporti di lavoro in grado di cogliere la complessità delle trasformazioni in atto e delle contestuali mutevoli esigenze delle parti sociali implicate.

Rossana Grauso

Studentessa della facoltà di giurisprudenza dell'Università degli studi di Napoli "Federico II" e tesista in diritto finanziario, è socia di Elsa Napoli. Appassionata di tributaristica e diritto del lavoro, prende parte al progetto "Ius in Itinere" a giugno 2016, divenendone nel gennaio 2017 responsabile dell'area di diritto tributario e diritto del lavoro. Dall'ottobre 2017 è collaboratore editoriale per AITRA - Associazione Italiana Trasparenza ed Anticorruzione. Nel futuro, un master in fiscalità d'impresa e contrattualistica internazionale. Email: rossana.grauso@iusinitinere.it

Lascia un commento