Il diritto alla prova: emblema del sistema accusatorio.
L’attuale sistema processuale penale è di impronta tipicamente accusatoria, dunque la formazione delle prove avviene pubblicamente e in contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, sul tema posto dall’accusatore e dinanzi ad un giudice terzo e imparziale che ha il compito di decidere nel merito. Vi è poi un rapporto diretto tra il giudice e le prove, dunque colui che ascolta e assume le prove dovrà anche adottare una decisione. Vi è inoltre una netta distinzione tra la funzione del giudice e quello dell’organo dell’accusa, tutto al fine di assicurare l’equidistanza tra le parti.
Ebbene i caratteri di tale sistema sono evidenti anche nella disciplina relativa alle modalità di ammissione della prova: l’art 190 del codice di procedura penale riconosce, infatti, alle parti un vero e proprio diritto alla prova laddove sancisce che “le prove sono ammesse a richiesta di parte”, ordinando al giudice di “provvedere senza ritardo e con ordinanza” alla valutazione di ammissibilità delle stesse.
Quindi come possiamo articolare il diritto alla prova? Emerge dall’art 190 c.p.p. una duplice attribuzione per le parti:
- in primo luogo il diritto di richiedere l’ammissione di determinate prove, le parti godono quindi del potere di disporre della intera gamma delle prove ammissibili, salvo il caso in cui sia consentito l’intervento ex officio del giudice, ex art 190 2° comma c.p.p. Tale potere, come spesso accade, comporta un corrispondente onere di iniziativa affinché le prove siano acquisite al processo.
- In secondo luogo le parti hanno il diritto di ottenere la prova richiesta laddove sia considerata ammissibile, o comunque godono del diritto di ottenere una celere pronuncia sulla richiesta formulata, rigorosamente distinta dalla sentenza finale.
Il diritto alla prova però non è solo enunciato in via generale e astratta dall’art 190 c.p.p., presenta infatti delle specificazioni in altri articoli del codice, tra questi vale la pena menzionare l’art 495, secondo comma, che esplica il diritto alla controprova, in quanto da un lato, attribuisce all’imputato il diritto ad ottenere l’ammissione delle prove a discarico sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico, dall’altro, attribuisce al pubblico ministero il diritto di ottenere l’ammissione delle prove a carico sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico. Al fine di corroborare l’esistenza di tale diritto, il legislatore configura anche all’art 606 comma uno, lettera d, uno specifico motivo del ricorso in cassazione con riferimento alla mancata assunzione di una prova decisiva, qualora sia stata richiesta dalla parte ed ignorata dal giudice.
Una volta presentata la richiesta di parte, dobbiamo chiederci quali sono le valutazioni che spettano al giudice al fine di procedere alla acquisizione delle prove in giudizio. Ebbene proprio il disposto dell’art 190, primo comma, ci esplica il rigoroso compito del giudice del dibattimento:
- Innanzitutto il giudice è tenuto ad effettuare una valutazione di diritto, di conseguenza dovrà escludere le “prove vietate dalla legge”, ovvero quelle prove per cui esiste un espresso divieto in ordine al soggetto o all’oggetto della prova, oppure in ordine alla procedura di acquisizione della stessa.
- Successivamente il giudice è tenuto ad una valutazione di fatto, dunque, riscontrata l’assenza di divieti legislativi, dovrà escludere le prove che in concreto risultino “manifestatamente superflue o irrilevanti”. Che cosa si intende con questi due concetti? Le prove si configurano come rilevanti qualora siano riconducibili all’oggetto delineato dall’art 187 c.p.p., oggetto rappresentato dai fatti che si riferiscono alla imputazione, alla punibilità dell’imputato e alla determinazione della pena e della misura di sicurezza. Dunque è richiesta la pertinenza delle prove al così detto “thema probandum”. Per quanto riguarda invece la non superfluità, è necessario verificare la potenziale utilità della prova, più specificamente la sua attitudine a introdurre elementi interessanti per il giudizio. Tali criteri sono gli stessi che orienteranno la eventuale decisione del giudice di revocare il provvedimento di ammissione della prova, una volta sentite le parti in contraddittorio, ex art 190 terzo comma c.p.p.
Descritta in tal modo la disciplina potrebbe sembrare semplice e lineare, tuttavia non possiamo dimenticare la fondamentale deroga rappresentata dall’art. 190 bis del codice di procedura penale, operante nei soli procedimenti per i delitti di criminalità organizzata elencati dall’art. 51 comma 3 bis. Tale norma dispone che, nel corso di questi procedimenti, qualora sia necessario l’esame di un testimone o di uno dei soggetti a cui si riferisce l’art. 210 c.p.p. che abbiano già reso dichiarazioni in sede di incidente probatorio o di dibattimento, in contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime devono essere utilizzate, ovvero all’interno di altro procedimento abbiano reso dichiarazioni in cui verbali sono stati acquisiti ai sensi dell’art. 238, l’esame di tali soggetti è ammesso solo qualora riguardi fatti e circostanze diversi da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni, ovvero quando il giudice o una delle parti lo ritengano necessario sulla base di specifiche esigenze. Infine il comma 1 bis dell’art 190 bis estende questa disciplina all’esame di un minore e della persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità nei processi per i gravi delitti indicati.
Quale è la ratio sottesa a questa norma? L’obbiettivo è sicuramente quello di scongiurare il pericolo di “usura psicologica” collegato alla reiterazione di deposizioni su temi già approfonditi, a questo si aggiunge, però, una ulteriore esigenza nel caso dei delitti di criminalità organizzata, ovvero quella di evitare che le persone da esaminare siano soggette a ripetuti rischi e disagi personali. Nel caso poi, in cui ricorrano delle specifiche esigenze, la valutazione spetterà al giudice, secondo i principi generali in tema di ammissione della prova, e si concentrerà sulla eventuale incompletezza e lacunosità del quadro probatorio.
Possiamo concludere affermando che il contenuto precettivo dell’art. 190 c.p.p. è in linea di principio applicabile anche in sede di incidente probatorio e nel corso della udienza preliminare, ricordando le opportune modifiche date dalla diversità della fase processuale. Tuttavia la fase dibattimentale è la sede per eccellenza di esplicazione di tali principi generali in tema di prova, così come consacrati anche a livello costituzionale dall’art 111 della Costituzione in merito alla controprova e all’esame testimoniale diretto e incrociato. Niente di cui stupirsi, ci troviamo in perfetta linea con le linee programmatiche del nuovo codice, secondo le quali il processo di primo grado ed in particolare il dibattimento, rappresenta il momento centrale del processo.
Claudia Ercolini, ha ventiquattro anni ed è laureata in giurisprudenza con il massimo dei voti. Il suo obiettivo è accedere alla magistratura, la considera la carriera più adatta alla sua personalità, al suo istinto costante di ricercare meticolosamente le ragioni alla base di ogni problema. Svolge il tirocinio presso la Procura generale della corte di appello. Ha partecipato al progetto Erasmus in Portogallo dove ha sostenuto gli esami in lingua portoghese e ha proceduto alla scrittura della tesi. Ha deciso di fare questa esperienza all’estero per arricchirsi e scoprire come viene affrontato lo studio del diritto al di fuori dell’Italia. Ha conseguito il livello B2 di lingua inglese presso il British Council e il livello A2 di lingua portoghese. La sua tesi di laurea è relativa ad una recente legge di procedura penale: il proscioglimento del dibattimento per tenuità del fatto. Con questa tesi ha coronato quello che rappresenta il suo sogno sin da bambina: si è iscritta, infatti, a giurisprudenza proprio per la sua passione per il diritto penale, per il suo forte carattere umanistico e perché da sempre si interroga sul connesso concetto di giustizia. E ‘ membro della associazione ELSA che le ha permesso di partecipare alla “moot competition” relativa al diritto internazionale. Ha già partecipato alla stesura di articoli di giornale relativi al diritto penale e alla procedura penale. Le è sempre piaciuto scrivere, anche semplici pensieri e riflessioni, conciliare dunque la scrittura con la materia che maggiormente la fa sentire viva, rappresenta per lei una grandissima soddisfazione. Chiunque la volesse contattare la sua mail è: claudia.ercolini@virgilio.it