venerdì, Aprile 19, 2024
Di Robusta Costituzione

Diritto all’abitazione e quarantena: l’adeguatezza degli spazi abitativi

Le restrizioni alla libertà di movimento imposte dal Governo per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19, riassunte nel motto di questi giorni #Iorestoacasa, acuiscono esponenzialmente una questione pur sempre molto importante per la politica economica, urbanistica e abitativa: quale casa? Questo primo articolo di due – il secondo dei quali si occuperà dell’esistenza stessa della casa – indaga le abitazioni degli italiani sotto il profilo della loro adeguatezza alle esigenze di vita, di lavoro, di riposo, di riservatezza e tutela della famiglia e dell’infanzia che si desumono dalla Costituzione italiana.

  1. Principi costituzionali ed europei: come deve essere l’abitazione.

 

Il diritto all’abitazione in quanto tale, pur non trovando esplicito riferimento se non tramite il filtro della tutela del risparmio[1], si ricava da numerose disposizioni costituzionali, strutturato da una costante seppure non granitica giurisprudenza, e trova oggi il più ampio spazio, e dunque ingresso nell’ordinamento italiano, tramite l’art. 117 della Costituzione, nelle convenzioni internazionali ed europee.

In particolare, per cominciare con le previsioni dell’istituzione più estesa sul piano globale, l’art. 25 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo prevede che “ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari”, mettendo in luce fin da subito la connessione con il benessere e con la salute propria e della famiglia dell’abitazione, che dunque non si riduce a fungere da riparo.

Sul piano europeo, invece, diversi richiami al citato diritto sono quelli compiuti dalla Carta Sociale Europea, la quale prima si preoccupa di garantirlo alle categorie che necessitano di particolare protezione, sempre in funzione delle loro migliori condizioni di esistenza – e quindi, nello specifico, ai portatori di handicap[2], alle famiglie cui prevede che la casa debba essere “adattata”[3], ai lavoratori migranti e loro famiglie[4], alle persone anziane[5] – poi, all’art. 31, rubricato proprio “diritto all’abitazione”, per garantirne l’effettivo esercizio le Parti si sono impegnate a prendere misure destinate “a favorire l’accesso ad un’abitazione di livello sufficiente”: ecco che viene in luce esplicitamente il problema del livello sufficiente dell’abitazione.

Sotto il profilo dell’adeguatezza, venendo ora al diritto costituzionale italiano, la prospettiva può essere rovesciata, nel senso che se il diritto all’abitazione in quanto tale si ricava soltanto per implicito, l’adeguatezza del contesto abitativo trova riscontro all’interno di diversi autonomi diritti.

Procedendo con ordine, non si può che prendere le mosse dai principi fondamentali, e tra questi in particolare dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, dei quali oltretutto si deve tener conto al fine di orientare l’interpretazione della normativa più di dettaglio. A questi ultimi si devono i capisaldi dell’impostazione sociale che lo Stato è destinato a perseguire, e cioè il principio personalistico da realizzare attraverso un’impostazione solidaristica dell’economia e della politica ed il principio di uguaglianza sostanziale.

“Se infatti la casa viene concepita come componente essenziale e dunque presupposto logico di quei valori collegati al pieno sviluppo della persona umana che la Costituzione pone, accanto all’istanza partecipativa, quale elemento centrale della democrazia sostanziale, allora è consequenziale ritenere la casa uno strumento di irradiazione degli altri diritti fondamentali, dal momento che la sua garanzia rappresenta il mezzo per renderli non solo effettivi, ma anche dotati di senso”[6].

La giurisprudenza costituzionale, a dire il vero, concentra le sue statuizioni prevalentemente sul diritto ad avere una casa, coerentemente con la previsione normativa che ne è comunemente riconosciuta alla base, cioè l’art. 47 della Costituzione che, incoraggiando il risparmio popolare, qualifica l’accesso all’abitazione come compito dello Stato[7] in piena sintonia con la funzione sociale che l’art. 42 attribuisce al diritto di proprietà[8].

Non manca però, in diverse sentenze nella quali si possono apprezzare i riferimenti alla “dignità umana” o all’“abitazione dignitosa”[9], il riscontro di comune esperienza che porta a qualificare l’abitazione come uno “spazio nel quale trovi espressione adeguata la personalità umana che si traduca nel godimento durevole di un bene provvisto di qualità idonee a garantire, secondo le esigenze di una società determinata, l’armonico sviluppo psico-fisico dei soggetti insediati nel nucleo abitativo”[10].

Se i principi che guidano questa ricerca di fondamento costituzionale sulle qualità intrinseche dell’abitazione sono quelli anzidetti, che puntano alla realizzazione del singolo nelle formazioni sociali ed in condizioni di uguaglianza rispetto ai consociati, la formazione sociale che più immediatamente viene ricondotta al tema dell’abitazione è senza dubbio la famiglia, tutelata dagli articoli 29[11] e 31[12] della Costituzione anche e specialmente con riguardo ai figli.

Ogni membro della famiglia, dunque, anche e sotto un certo profilo specialmente nella sua dimora dovrebbe trovare l’ambiente adeguato per il proprio sviluppo secondo i parametri stabiliti dai principi fondamentali.

Successivamente, desunto a sua volta dall’inviolabilità del domicilio ai sensi dell’art. 14 della Costituzione, c’è il diritto di riservatezza, il quale non ha naturalmente consistenza in mancanza di spazi adeguati. Commenta sinteticamente Temistocle Martines, al proposito, che «costituzionalmente rilevante non è qualsiasi riparo bensì l’alloggio che, per le sue caratteristiche, risulti inviolabile»[13].

Per quanto possa sembrare un’associazione non sempre ovvia quella tra abitazione e lavoro, inoltre, proprio la situazione di emergenza sanitaria che ha caratterizzato il 2020 si è incaricata di far emergere l’attualità anche di questo problema. Normalmente, infatti, il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa è da considerarsi una delle “formazioni sociali”[14] ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, ma nel caso di specie, che si pone oltretutto in una fase di diffusione del telelavoro – o smart working, senza entrare nel merito della pur rilevante differenza tra le due accezioni – come modalità sempre più comune e, spesso, incentivata dalle aziende di svolgimento della propria attività lavorativa.

Il lungo periodo di emergenza epidemiologica generato dal virus Covid-19, in cui tutte o quasi tutte le aziende che ne hanno la possibilità hanno inevitabilmente imposto ai dipendenti la modalità di lavoro telematica, all’interno delle più sicure mura domestiche, non ha fatto quindi che portare in luce in modo improvviso e certo più dirompente una questione già da tempo problematica, cioè quella della trasformazione dell’abitazione in luogo di lavoro.

Come minimo – ma vengono qui in considerazione ben altri problemi di tipo contrattuale e giuslavoristico, in relazione alle prestazioni svolte presso la propria abitazione – il lavoratore necessita di un adeguato impianto di corrente elettrica, di illuminazione idonea anche dal punto di vista della salute, di uno spazio di dimensioni sufficienti pena la trasformazione di vaste aree della casa in ufficio, di cui risente l’intero nucleo familiare e specialmente i bambini cui ne verrà presumibilmente tolto il godimento; necessita dunque di stanze o spazi appositi, computer e altre attrezzature che non sempre vengono fornite dall’azienda, silenzio, tranquillità e sufficiente concentrazione.

Tanto più l’abitazione è piccola, modesta e incastrata tra quelle altrui, tanto più queste ultime condizioni saranno impossibili a realizzarsi, conoscendo una limitazione esponenziale in caso di presenza di bambini. A proposito di questi ultimi, poi, oltre alla specifica tutela dell’infanzia ex art. 31 Cost. di cui sopra, per cui proprio loro dovrebbero godere più di chiunque altro delle migliori condizioni per lo sviluppo della propria personalità, come stabilito dall’art. 2, nel medesimo ambiente in cui la madre o il padre lavorano devono esercitare due altre fondamentali attribuzioni: il gioco, specie per i più piccoli, e la scuola[15].

Non meno importante, infine, vi è il diritto alla salute contemplato dall’art. 32: la salute fisica, per cui l’abitazione deve essere prima di tutto un ambiente salubre, ma anche la salute mentale, messa a dura prova dalla quarantena, ma sempre in pericolo all’interno di spazi ristretti, bui, troppo rumorosi o comunque inadeguati al trascorrere di una vita serena.

 

  1. Limitazioni e orientamento sociale della proprietà privata.

 

Non è dunque un lusso, ma un diritto, la pretesa che l’abitazione – qualunque essa sia – soddisfi dei requisiti di idoneità allo sviluppo e al trascorrere sereno della vita delle persone che vi risiedono.

Certamente però non si tratta di un problema che si possa risolvere per decreto, ammesso che altri ve ne siano. La risposta concreta, al contrario, tanto nell’edilizia popolare pubblica quanto nella regolamentazione civilistica e amministrativa, non può che essere rimessa alla sensibilità politica non solo di livello nazionale, che certo potrebbe valorizzare i principi costituzionali nella normativa vigente, ma ancor più al livello degli enti locali, poiché specialmente ai Comuni spetta il cuore della regolamentazione amministrativa dell’edilizia pubblica e privata.

Analizzando innanzitutto la regolamentazione offerta del diritto civile, dunque, si vedrà come lo Stato, sulla base del contratto sociale che lo anima, ponga dei limiti all’incontrastato dominio tipico della proprietà: si tratta della sostanziale limitazione dell’antico brocardo – marcatamente individualista – usque ad sidera, usque ad inferos.

Ad una prima lettura potrebbe apparire soltanto come una questione di conflitto tra diritti di libertà, come si trattasse cioè di preservare la libertà e dunque il pari diritto di proprietà dell’uno dagli eventuali abusi altrui, ma a ben vedere già la disciplina civilistica in tema di proprietà fondiaria sottende una, pur non ancora del tutto sviluppata, attenzione alla sfera del benessere.

In effetti, come si diceva, tanto si può argomentare a partire dalle disposizioni del Libro 3, Titolo 2, Capo 2 del Codice Civile, intitolato “Della proprietà fondiaria”. Se nelle disposizioni generali e tra quelle concernenti la bonifica dei territori, o i vincoli idrogeologici e le difese fluviali, già è facile individuare interessi pubblici di immediata rilevanza per i singoli cittadini, oltre che per il benessere della comunità di appartenenza dei medesimi[16], più che mai dettagliate nel preservare il godimento di ciascuno sono la Sezione 5, intitolata “Della proprietà edilizia”, la Sezione 6 a proposito “Delle distanze nelle costruzioni, piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi interposti tra i fondi”, la Sezione 7 “Delle luci e delle vedute”, la Sezioni 8 e 9 che si occupano rispettivamente “Dello stillicidio” e “Delle acque”.

Partendo dalla Sezione 6, la legge ha predisposto un’articolata cornice normativa al fine di garantire a ciascuno, e per converso alla comunità intera, che la proprietà del singolo non possa in alcun caso improntarsi a logiche violente di “prepotenza” o comunque di predominanza conseguenti ad una concezione eccessivamente potestativa e assoluta del diritto di proprietà, sciolta cioè dal bene comune[17].

Al contrario, l’orientamento sociale di questo diritto, consacrato dall’art. 42 della Costituzione, oltre a essere fonte di politiche attive sia da parte di Stato e Regioni, sia in ogni caso dei Comuni, comporta delle limitazioni che sono immediatamente connesse al godimento dei diritti costituzionali sopra delineati cui la proprietà, e lo sviluppo edilizio e urbano nel loro complesso, devono essere funzionali.

Tracciando un percorso esemplificativo tra le previsioni più rilevanti, non si può che partire dalla distanza tra costruzioni su fondi finitimi, che oltretutto può essere derogata – soltanto in senso restrittivo – dai regolamenti locali[18]; tralasciando tutta la regolamentazione riguardante la comproprietà dei muri di vario tipo, gli artt. da 889 a 896-bis ritornano al tema delle distanze, con una prospettiva tutto sommato non dissimile da quella sottesa ai limiti generali sulle emissioni: al fine di garantire il migliore godimento del terreno attribuito a ciascuno, si prevedono distanze adeguate dal fondo del vicino per la costruzione di pozzi, cisterne, fosse e tubi[19], per la fabbricazione di forni, camini, magazzini di sale, stalle, macchinari o depositi di materiali pericolosi o nocivi[20], per la realizzazione di fossi o canali[21], per gli alberi di ogni tipo sia nei confronti dei fondi limitrofi privati[22] e sia presso strade, canali e boschi[23], persino per la collocazione di apiari[24].

Il contemperamento  e – dunque – l’estrema rilevanza degli interessi in gioco si possono apprezzare con riferimento alla regolamentazione su luci e vedute[25]. Ai sensi dell’art. 900 “le finestre o altre aperture sul fondo del vicino sono di due specie: luci, quando danno passaggio alla luce e all’aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino; vedute o prospetti, quando permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”.

Ecco che si rende necessario, da un lato, fornire l’abitazione dell’uno di aria e luce, quali condizioni indispensabili per il godimento della stessa e della vita che vi trascorre all’interno; per converso, la tranquillità e, perché no, la privacy del vicino non deve esserne turbata. Si capisce l’estrema importanza che nella progettazione di nuovi edifici o quartieri queste considerazioni vengano tenute nella massima considerazione fin dal primo momento.

Si noti che la maggior parte di questi articoli del Codice Civile fanno comunque espressamente salvi, quando non vi si riferiscono direttamente, i regolamenti locali.

  1. Il ruolo dei Comuni nella progettazione del territorio.

Giunti all’esame della Sezione 5 del Capo del Codice Civile, dedicato alla proprietà fondiaria, appositamente demandato a queste ultime note, è particolarmente interessante notare come sia già il primo articolo ad attribuire direttamente al livello locale e cioè precisamente ai Comuni l’essenziale compito di progettare e vincolare i privati cittadini al benessere comune che è l’obiettivo primario e forse unico del diritto di abitazione. L’art. 869, infatti, rubricato “piani regolatori” recita: “i proprietari d’immobili nei comuni dove sono formati piani regolatori devono osservare le prescrizioni dei piani stessi nelle costruzioni e nelle riedificazioni o modificazioni delle costruzioni esistenti”[26].

Questa singolare previsione operata all’interno del c.c., si noti, risponde proprio allo spirito della sussidiarità ex art. 118 della Costituzione come meglio non potrebbe essere intesa e come più che in ogni altro ambito si adatta a quello edilizio: è infatti evidente che, all’interno di una legislazione di cornice volta ad evitare abusi, il livello più adeguato a occuparsi delle caratteristiche territoriali del singolo quartiere o isolato sia quello cittadino e comunale.

L’altra importantissima previsione per quanto concerne l’onere e la responsabilità attribuita ai Comuni, è quella contenuta nel primo comma dell’art. 871, recante “norme di edilizia e di ornato pubblico”, ai sensi del quale “le regole da osservarsi nelle costruzioni sono stabilite dalla legge speciale e dai regolamenti edilizi comunali”.

Ai sensi dell’art. 117, come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, il “governo del territorio”, che sostituisce la previgente “urbanistica”, è materia concorrente. Molte Regioni, dunque, si sono dunque dotate di autonoma Legge Urbanistica; quanto agli strumenti regolamentari, alla Regione spetta oggi la predisposizione del Piano Urbanistico Territoriale Regionale, che prevale in via gerarchica su quelli comunali. Alle Province residua il compito di predisporre i Piani Territoriali di Coordinamento, mentre sono i Comuni, inevitabilmente, ad avere tra le mani lo strumento più incisivo e dettagliato, il Piano Regolatore Generale ed il relativo Regolamento Edilizio, con tutti i piani attuativi – primo tra tutti il Piano Particolareggiato – che siano necessari.

Delle finalità intrinseche e delle potenzialità dei mezzi loro attribuiti, per il benessere dei cittadini e la crescita solidale della città, i sindaci sono sempre più consapevoli[27]. La duplicità dei loro compiti amministrativi si rivolge sia alla tradizionale limitazione della proprietà privata come prevista già nel Codice Civile, mediante l’implementazione dei limiti a seconda della concreta conformazione del contesto urbano, sia e forse soprattutto mediante la programmazione del territorio che risponde al c.d. “potere di pianificazione”[28], con cui proprio il Comune ha l’opportunità di incidere sulla funzione sociale della proprietà.

Diviene dunque sempre più evidente che, con il progredire di un’urbanizzazione ormai quasi ovunque compiuta, il sempre attuale obiettivo di rilevanza costituzionale, da realizzarsi in gran parte al livello civico e cittadino, sia quello di progettare il divenire delle moderne città nel senso dell’eguaglianza e del welfare condiviso e comune a tutti i cittadini, a partire proprio dall’architettura della città e, dunque, dal contesto abitativo della medesima.

Al contrario, mentre città specialmente medio-piccole si sono già avviate lungo questo sentiero, diversi commentatori hanno notato la contraddizione che caratterizza il modello di sviluppo della c.d. Smart city: la tendenza all’accentramento e, correlativamente, all’esclusione[29], la marginalizzazione ai confini della città delle fasce più deboli e subalterne della popolazione, l’abbandono delle istanze egualitarie che si traduce in architettura ostile[30] e differenziata secondo la classe di appartenenza economica di ciascuno.

[1] Art. 47 Cost.

[2] Art. 15 ESCR

[3] Art. 16 ESCR

[4] Art. 19 ESCR

[5] Art. 23 ESCR

[6] G. Scotti, Il diritto alla casa tra la Costituzione e le Corti, Forum di Quaderni Costituzionali, 18/09/2015.

[7] Art. 47 Cost.: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”.

[8] Art. 42 co. 2 Cost.: “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

[9] Corte cost., 25 febbraio 1988, n. 217; Corte cost., 24 marzo 1999, n. 119.

[10] U. Breccia, Il diritto all’abitazione, Milano, Giuffrè, 1980 (parte della citazione è riportata da G. Scotti, opera cit.).

[11] Art. 29 co. 1 Cost.: “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.

[12] Art. 31 Cost.: “la Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

[13] T. Martines, Opere, Libertà e altri temi, IV, Milano, Giuffrè, 2000.

[14] Questa si può considerare la connessione tra l’art. 2, la partecipazione dei lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale ai sensi dell’art. 3 co. 2 e l’art. 4 Cost., che prevede il diritto al lavoro e recita:“la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

[15] Oltre che nella Costituzione italiana, di questi diritti si occupa nello specifico la Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, siglata nel 1989.

[16] A titolo esemplificativo: l’art. 843 che regolamenta l’accesso al fondo, l’art. 844 sulle immissioni, la tutela dei boschi e delle acque ex artt. 866, 867, 868.

[17] F. Santoro- Passarelli, in Enciclopedia del Novecento, Treccani, 1980: “l’ambito della proprietà è determinato dai limiti che la investono dall’interno, per commisurare il diritto al concreto interesse del titolare, e dall’esterno, per commisurare il diritto agli interessi che meritano tutela degli altri consociati, sia quali singoli, sia come collettività. Si consideri al riguardo che la pertinenza del bene al singolo intanto ha ragione di essere tutelata mediante l’elevazione a diritto di proprietà, in quanto il singolo fa parte della società: fuori della società non è concepibile alcun diritto, e nemmeno la proprietà”.

[18] Art. 873, Distanze nelle costruzioni: “Le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore”.

[19] Art. 889: Distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi.

[20] Art. 890: Distanze per fabbriche e depositi nocivi o pericolosi.

[21] Art. 891: Distanze per canali e fossi.

[22] Art. 892: Distanze per gli alberi.

[23] Art. 893: Alberi presso strade, canali e sul confine di boschi.

[24] Art. 896-bis: Distanze minime per gli apiari.

[25] Artt. 900-907.

[26] Completato dall’art. 890: “Quando è prevista la formazione di comparti, costituenti unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento, gli aventi diritto sugli immobili compresi nel comparto devono regolare i loro reciproci rapporti in modo da rendere possibile l’attuazione del piano. Possono anche riunirsi in consorzio per l’esecuzione delle opere. In mancanza di accordo, può procedersi alla espropriazione a norma delle leggi in materia”.

[27] Il recentissimo Regolamento Edilizio del Comune di Padova (D.C.C. 17/02/2020, n. 13), per esempio, all’art. 1 co. 2 stabilisce espressamente il “fine di migliorare la qualità della vita” dei cittadini, e non solamente di perseguire uno sviluppo ordinato del territorio.

[28] G. Mazzella, Il potere di pianificazione: interventi giurisprudenziali del Consiglio di Stato, Ius in Itinere, 04/02/2018, <https://www.iusinitinere.it/potere-pianificazione-interventi-giurisprudenziali-del-consiglio-7516 >:  “tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica che non è circoscritto solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico – sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati”.

[29] F. Pizzolato, Economia globale e città: note introduttive su una dialettica centrale per le democrazie del XXI secolo, Economia Pubblica, marzo 2020.

[30] P. Costa, La sicurezza della global city: prassi globale e critica costituzionale, Costituzionalismo.it, n. 2/2018.

Davide Testa

Davide Testa è dottorando di ricerca presso la LUISS - Guido Carli e City Science Officer a Reggio Emilia, cultore della materia in Diritto Costituzionale e avvocato nel Foro di Padova. Dopo aver conseguito gli studi classici presso il Liceo Marchesi,  ha studiato Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova, svolgendo un periodo di mobilità di due semestri presso l’University College Dublin. Nel 2019 si laurea in Diritto Costituzionale con una tesi intitolata “Fondata sul lavoro: dall’Assemblea costituente alla gig economy”. A partire dallo stesso anno, collabora con l’area di Diritto Costituzionale della rivista Ius in Itinere e partecipa ai lavori del gruppo di ricerca "Progetto Città", promosso dal Dipartimento di Diritto Pubblico, Internazionale e Comunitario dell'Università di Padova. Nel 2020-2021 è inoltre stato titolare di un assegno di ricerca FSE intitolato "Urban Data Regulation – Best practices locali per un uso condiviso" presso il medesimo ateneo. Dal 2022 è dottorando di ricerca industriale presso LUISS - Guido Carli e, nell'ambito del dottorato, svolge attività di ricerca applicata presso il City Science Office attivato presso l'amministrazione di Reggio Emilia, nell'ambito della City Science Initiative promossa dal JRC della Commissione Europea. È inoltre avvocato presso il Foro di Padova.

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