giovedì, Aprile 18, 2024
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Il diritto del condomino ad usare il bene comune

Il cortile, le scale, i muri perimetrali, le facciate, il lastrico solare, il vano caldaia, i pianerottoli, sono solo alcune delle parti comuni di un condominio. Parti sulle quali tutti i condomini godono di un diritto di comproprietà e che possono essere utilizzate dai singoli anche per soddisfare esigenze particolari.

Ma in che modo può esercitarsi il predetto uso ? Quando è giusto chiedere al vicino di non posizionare oggetti sul pianerottolo o sul terrazzo condominiale? È sempre corretto pensare che il sig. Rossi al piano terra o la sig.ra Bianchi dell’ultimo piano stiano operando un abuso?

Anche per questi casi la norma di riferimento è dettata dal codice civile che, all’art. 1102, prevede “ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”.

Esercizio del diritto e limiti

Secondo legge pertanto ogni comunista/condomino ha il diritto di utilizzare un bene in comune, purché anche gli altri possano parimenti godere dello stesso.

Chiamata a dirimere svariate fattispecie, la Suprema Corte ha ripetutamente affermato la legittimità dell’utilizzo particolare del bene comune da parte del singolo se lo stesso si esplica nel rispetto dei due limiti imposti dalla norma sopra richiamata:

  • mantenere la destinazione propria della cosa
  • permettere un uso paritetico agli altri condomini

“Pari uso”

Ed è proprio sul concetto di “pari uso” che sono intervenute le pronunce della Cassazione che, unanimemente statuiscono che proprio la norma codicistica, nel dettare i limiti sopra evidenziati, simmetricamente legittima il singolo condomino “a servirsi della cosa comune anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi intendere la nozione di uso paritetico in termini di assoluta identità di utilizzazione della res, poiché una lettura in tal senso della norma de qua, in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio” (da ult. Cass. Civ., Sez. VI, n. 15705/2017- n. 16260/2017). Pertanto, deve escludersi che ad ogni condomino spetti un uso identico della cosa comune; il giudice chiamato a verificare la legittimità dell’uso particolare, più intenso, fatto dal singolo, dovrà constatare che non sia alterato il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio, valutando non l’utilizzazione concreta della cosa da parte di altri condomini in un determinato e specifico momento, bensì l’uso “potenziale in relazione ai diritti di ciascuno” (Cass. Civ. n. 3368/1995).

Proprio in virtù del richiamato principio solidaristico, che deve permeare i rapporti condominiali, è stato affermato che “qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima”.

Sulla scorta di tali orientamenti la Corte di legittimità, con sentenza n. 16260 del 28.06.2017 (sez. VI), ha recentemente confermato che la liceità dell’utilizzo da parte di una condomina del lastrico solare va ricercata valutando l’effettiva limitazione della futura utilizzazione del bene da parte degli altri proprietari e dell’eventuale modifica della destinazione dello stesso.

Nel caso di specie alcuni condomini avevano contestato la variazione effettuata da una condomina al proprio appartamento, consistente nella trasformazione di una finestra in una portafinestra che le consentiva di accedere direttamente al terrazzo di copertura dell’edificio, sul quale aveva altresì installato una ringhiera e posizionato attrezzatura da giardino. La Corte di Appello, territorialmente competente, aveva rinvenuto che tali opere fossero in contrasto con il disposto dell’art. 1102 c.c. in quanto il bene condominiale era stato adibito ad uso esclusivo della condomina, modificandone la naturale destinazione.

La Suprema Corte ha cassato la pronuncia di appello, sulla scorta delle osservazioni mosse dalla ricorrente, con le quali veniva evidenziato che il lastrico solare non era accessibile in nessun modo se non dal proprio appartamento e che i manufatti ivi collocati non coprivano l’intera superficie del bene comune e la destinazione di copertura non era stata in alcun modo alterata o modificata.

La Cassazione, ribadendo i principi sopra enunciati, ha affermato che i giudici di merito “non hanno considerato che il più ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non configura ex se una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, ove, ad esempio, esso trovi giustificazione nella conformazione strutturale del fabbricato”, confermando che occorre sempre verificare, caso per caso, la modalità e l’entità del predetto utilizzo al fine di apprezzare l’effettiva e “definitiva sottrazione della relativa porzione di bene comune ad ogni possibilità di utilizzazione degli altri condomini e la compromissione della sua funzione” nel caso di specie di copertura e protezione dei piani sottostanti.

In assenza di tali verifiche, nessuna presunzione di lesione può ritenersi sussistente.

Usucapione

Aspetto da non sottovalutare è infine la possibilità per il singolo condomino di sottrarre il bene comune al regime di comproprietà, facendo rientrare lo stesso nella sua esclusiva disponibilità invocandone ad esempio il relativo acquisto per usucapione.

Un primo orientamento giurisprudenziale escludeva tale possibilità affermando che è “in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell’orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal modo alla possibilità di godimento degli altri condomini” (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 4372/2015; n. 8119/2014).

Di recente tale impostazione è stata modificata ed è stata riconosciuta come possibile l’usucapione della quota di proprietà degli altri condomini da parte del singolo, senza necessità di un’interversione del possesso.

In particolare con la sentenza n. 20039/2016 (Cass. Civ., Sez. II) ha riconosciuto che “il condomino che deduce di avere usucapito la cosa comune deve provare di averla sottratta all’uso comune per il periodo utile all’usucapione, e cioè deve dimostrare una condotta diretta a rivelare in modo inequivoco che si è verificato un mutamento di fatto nel titolo del possesso, costituito da atti univocamente rivolti contro i compossessori, e tale da rendere riconoscibile a costoro l’intenzione di non possedere più come semplice compossessore, non bastando al riguardo la prova del mero non uso da parte degli altri condomini, stante l’imprescrittibilità del diritto in comproprietà”.

Pertanto l’acquisto per usucapione è ritenuto possibile, ma chi pretende di far valere la proprietà esclusiva su un bene comune, dovrà provare di aver goduto dello stesso, per il tempo necessario, “uti dominus” e non “uti condominus” non essendo sufficiente la semplice allegazione del non uso da parte degli altri comproprietari.

 

 

 

Avv. Paola Minopoli

Avvocato civilista specializzato in contrattualistica commerciale, real estate, diritto di famiglia e delle successioni, diritto fallimentare, contenzioso civile e procedure espropriative. Conseguita la laurea in Giurisprudenza, ha collaborato con la II cattedra di Storia del Diritto Italiano dell'ateneo federiciano, dedicandosi poi alla professione forense. Ha esercitato prima a Napoli e poi nel foro di Milano, fornendo assistenza e consulenza a società e primari gruppi assicurativi/bancari italiani. Attualmente è il responsabile dell’ufficio legale di un’azienda elvetica leader nella vendita di metalli preziosi, occupandosi della compliance, fornendo assistenza per la governance e garantendo supporto legale alle diverse aree aziendali. Email: paola.minopoli@iusinitinere.it

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